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La peculiarità della concezione del rapporto a sé come stilizzazione etica rinvia nel mondo antico ad alcuni degli snodi che appaiono fondamentali anche per la problematizzazione che l'essere postcoloniale fa di sé in quanto soggetto morale, o in quanto è portato a fare dalle tecnologie di potere e di sapere che in quanto tale lo qualificano: tra questi, vi sono le caratteristiche della relazione con il potere e quindi del rapporto tra governo di sé e degli altri, una certa disciplina dell'educazione, ma pure la concezione della povertà, del lavoro, inteso sia rispetto alla considerazione sociale che con riguardo alla vita del soggetto ed alla sua sfera autonoma.

Partendo dalla questione della relazione tra governo di sé e governo degli altri, forse il modo più emblematico di rappresentare in questa sfera il sentire dell'uomo greco nell'antichità classica sta nel focalizzare il suo atteggiamento in una delle attività sociali che svolgeva più di frequente: le gare, poiché la competizione agonistica stringe in un unico momento il rapporto con se stessi, come esercizio, allenamento e dimostrazione delle capacità individuali di padroneggiare se stessi, e il rapporto con gli altri, per il fatto di dovere accettare la possibilità della vittoria altrui.

Così, infatti, se Meier sostiene che “il rapporto greco con il potere sembra offrire addirittura la chiave d'interpretazione per capire il ruolo dell'agonismo”, si può dire anche l'inverso, e cioè che il punto di vista della competizione veniva ad assumere un ruolo rilevante, non solo per il numero e l'organizzazione delle gare e delle attività agonistiche, ma particolarmente in riferimento al modo di relazionarsi al problema della coazione o dell'istituzione possibile di vincoli, anche nel senso produttivo di legami sociali.

Tracciando la distinzione tra “desiderio di sovrastare gli altri” e “desiderio di dominare gli altri”, Meier afferma che il modo greco di relazionarsi si colloca lungo quel bordo in cui questi due termini non si sovrappongono: “vincere una gara è qualcosa di diverso dal conquistare un potere autoritario che si tratta poi anche di mantenere saldamente”620 e tra i greci “il loro basarsi esclusivamente su se stessi, il

mirare all'indipendenza non era proprio solo di coloro che si sarebbe trattato eventualmente di dominare, ma anche degli stessi dominatori”621; questo perché

erano “disabituati alla coazione cui bisogna rassegnarsi per acquisire capacità di

620 C.Meier, Cultura, libertà e democrazia, op. cit., p.186 621 Ibidem

coazione”622.

E' quindi una competizione che mira più a far sì che ci si possa distinguere, definendo il proprio rapporto con se stessi e con gli altri attraverso uno stile, piuttosto che essere finalizzata a vincere per esercitare un potere sugli altri, a maggior ragione perché è sempre uno stile incardinato sul governo di sé che sarà quello richiesto poi a chi potrà gestire gli affari pubblici entrando nelle fila dei più alti ranghi tra i cittadini.

Un certo allenamento finalizzato alla competizione dovette esistere anche all'interno delle assemblee pubbliche: del resto, se una disciplina si può dire che esistesse nel mondo ellenistico nelle prime fasi della democrazia, questa allenò il cittadino inizialmente proprio all'interno dell'agorá, nel luogo stesso della competizione, che difatti era nato dall'esperienza pre-politica della disciplina militare623.

E' quanto accade, come sottolinea Loraux, quando, conformemente ad una visione del conflitto che è già interno alla città e di cui però la politica ha il compito di obliterare, almeno provvisoriamente, la memoria, ad un certo momento “il conflitto, […] appena addomesticato sotto forma di agōn, si trova già al centro della città. […] Il meson è ancora conflittuale. […] Verrà il giorno in cui nella città classica, identificata con Atene, lo scontro, regolato o no, cederà il posto al confronto verbale”624.

E ancora, come si deduce da Meier, la formazione della persona ebbe per l'ambiente civico una funzione di particolare importanza, al fine di “«addomesticare», domare, placare le passioni: ovvero per far attecchire quelle inibizioni e quegli scrupoli nel dire e nel fare, fonte di compostezza comportamentale, che altrove poterono essere trasmessi dai detentori del potere, dalle loro corti, dalle istituzioni religiose e d'altro genere – come la «policey» – preposte a inculcare la disciplina sociale”625.

Si potrebbe dire che in qualche modo il ruolo e l'atteggiarsi delle istituzioni, come la scuola o le istituzioni religiose, da cui solitamente si fa discendere l'insieme delle prescrizioni morali, abbiano assunto un'angolatura nella vita del soggetto, un'apertura tale da costringerlo sempre all'esercizio di un'attitudine a non cadere in uno “stato di minorità”, inteso secondo l'accezione che Kant avrebbe posto a

622 Ibidem

623 Cfr: E.Nuzzo, Tra acropoli e agorá. Luoghi e figure della città in Platone e Aristotele, premessa di M.Vegetti, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2011, p.82

Qui si sottolinea come il carattere isonomico - cioè di uguaglianza di fronte alla legge e attraverso la legge - comune ad entrambe le assemblee, quella militare e quella della città, abbia dato luogo alla possibilità di un passaggio, quasi fosse stato un travaso, da un campo prepolitico ad uno connesso propriamente ad un pensiero politico.

624 N.Loarux, La città divisa. L'oblio nella memoria di Atene, introduzione di G.Pedullà, trad. di S.Marchesoni, Neri-Pozza, Vicenza 2006, p.169

fondamento della capacità critica illuministica e tesa alla composizione del sé secondo un rapporto non viziato tra governo di sé e governo degli altri626

Se questa è l'impronta data al rapporto col potere e alla formazione di una cultura del sé, è evidente che la figura del tiranno, dalla quale i greci si vollero tenere ben a sicura distanza627, rappresenta il vero e proprio capovolgimento del rapporto tra

governo di sé e governo degli altri fondato sul principio di moderazione, in quanto essendo al suo potere connesso il massimo del dominio unito al minimo del governo di sé, il tiranno è un personaggio che viene ad essere definito in termini psicologici e morali, come colui che è dominato da un eccesso passionale, per cui non è padrone di sé ma schiavo della brama di dominio, e sfrutta un bene dominante per governare gli altri, non essendo capace di quella cura di sé, finalizzata alla temperanza, che è propria di chi rispetta se stesso.

In ogni caso, ben oltre il caso estremo del tiranno, il punto d'innesto della problematizzazione morale resta il riferimento alla partecipazione politica, e anche quando la democrazia entrerà in crisi, saranno le modalità di questa partecipazione ad essere riformulate, ma non il suo carattere politico e sostanziale: questo non vuol dire che non ci fossero cittadini apatici, ma vale a mostrare in che modo esistesse una problematizzazione morale del rapporto tra soggetto e potere politico e quanto questa fosse ampia, andando a toccare i principali ambiti del bios e della vita associata.

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