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I problemi relativi all’introduzione del reato di tortura in Italia

LA TORTURA IN ITALIA

6. I problemi relativi all’introduzione del reato di tortura in Italia

All’indomani dell’entrata in vigore della Convenzione ONU, il senatore Nereo Battello presenta il 4 aprile 1989 il primo disegno di legge per l’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano: da allora sono trascorsi quasi trent’anni, dove i diversi governi che si sono susseguiti hanno presentato varie proposte di legge le quali non si sono mai tradotte nell’approvazione di una disposizione ad hoc, reiterando così l’omissione legislativa. Il governo italiano si è sempre difeso di fronte alle ammonizioni e sollecitazioni degli organi internazionali argomentando sull’esistenza nel codice penale di norme capaci di

341 Corte EDU, Bartesaghi Gallo e altri contro Italia.

342 Ad aprile, l’Italia ha riconosciuta la propria responsabilità per le violenze subite presso la

caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova raggiungendo una risoluzione amichevole con sei dei sessantacinque cittadini -italiani e stranieri- che avevano fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. La risoluzione, di cui la Corte ha preso atto, prevede il versamento di 45,000 euro ciascuno per danni morali e materiali e spese processuali. – A. Gagliardi, Italia

riconosce maltrattamenti e patteggia a Strasburgo, risarcite vittime Bolzaneto, 6 aprile 2017, in

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punire le violenze nei confronti di chi si trova limitato nella libertà personale, «una bugia dalle gambe corte cui governi seri non dovrebbero ricorrere343». La necessità impellente dell’introduzione di una disposizione ad hoc è ulteriormente confermata dalle recenti sentenze della Corte EDU che hanno sottolineato l’inadeguatezza del sistema normativo italiano a fronte dei fatti del G8 di Genova. Probabilmente, è stata questa la causa scatenante dei più recenti tentativi da parte della classe politica di accelerare l’approvazione di un testo capace di porre l’Italia in linea con gli obblighi internazionali.

Negli anni, si è assistito a ripetute partenze e arresti del Parlamento italiano dove la consapevolezza di un necessario adeguamento si è scontrata più volte con le preoccupazioni emerse dai numerosi emendamenti apposti ai disegni di legge di volta in volta proposti, che hanno ritardato l’approvazione del testo.

Le difficoltà maggiori riscontrate nell’elaborazione di un testo condiviso e condivisibile sono le stesse che hanno interessato gli altri ordinamenti europei che, ad ogni modo, sono riusciti a pervenire ad un risultato utile - sebbene non perfetto - molti anni fa. Il primo (e forse più grande) problema è rappresentato dalla definizione stessa di tortura e, conseguentemente, di quali siano i reati di tortura; una soluzione per evitare lo stravolgimento totale del termine suscettibile di interpretazioni equivoche – e che sia dunque conforme al dettato costituzionale e convenzionale - sarebbe quello di attingere dalla definizione contenuta nella Convenzione ONU, ricalcandone in qualche modo il contenuto: è infatti necessario stabilire quale sia la linea di confine tra ciò che è tortura e ciò che non è tortura. Se è vero che le definizioni possono essere pericolose, è vero anche che talvolta possono servire a sgomberare il campo da possibili interferenze: in questo senso, attribuire un significato specifico serve a «indicare un maltrattamento fisico o morale di una gravità tale che non possa essere considerato alla stregua di una semplice violenza344», distinguendola dalle fattispecie già contemplate dal codice penale che sono altro rispetto alla tortura. Allo stesso tempo, la definizione contenuta nella Convenzione ONU è costruita nell’ottica di una tutela omnicomprensiva dei diritti umani ma al suo interno bisogna distinguere due diverse tipologie di tortura: la tortura giudiziaria e la

343 V. Zagrebelsky, Tortura, ci vuole una legge che la punisca, Articolo tratto dall'edizione in

edicola il giorno 08/04/2015, in www.lstampa.it

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tortura- fine. Secondo Serges, non si tratterebbe solo di una questione concettuale perché

L’uso di tecniche tormentatorie ad eruendam veritatem, dal punto di vista del diritto interno, comporta la violazione di un ventaglio di norme parzialmente diverso e, forse, più ampio, sia al livello “primario” che al livello costituzionale. Da un lato, infatti, vengono violate le norme processuali sulla raccolta di prove. Dall’altro, oltre all’art. 13, comma 4, vengono violati il diritto al giusto processo (art. 111 Cost.) e quello di difesa (art. 24 Cost.), al quale la Corte Costituzionale ha riconosciuto la particolare valenza democratica ed il carattere di principio supremo dell’ordinamento e diritto fondamentale della persona umana.345.

Tutti gli altri trattamenti inumani e degradanti (che non siano volti ad ottenere informazioni, confessioni o testimonianze) comportano invece la violazione degli Artt. 13 e 27 Cost. e, dunque, una sfera parzialmente diversa di tutela costituzionale.

Il secondo problema attiene alla configurazione del reato di tortura come reato proprio o come reato comune; sia la Convenzione ONU che la norma costituzionale impongono di pensare ai reati di tortura come reati propri: anche se ad una prima lettura l’Art. 13, comma 4 Cost. non sarebbe ostativo alla configurazione di un reato comune, la ratio della norma non può prescindere completamente dal suo contesto e dalla sua genesi: l’obiettivo della norma era ed è quello di imporre al legislatore di punire gli atti dei pubblici ufficiali nei confronti di chiunque sia sottoposto a restrizione della libertà. La configurazione del reato di tortura come reato comune, dunque, non sarebbe di per sé incostituzionale ma ciò non toglie che la volontà del costituente fosse quella di imporre al legislatore l’introduzione di un reato proprio, determinando una diversa previsione l’incompleta se non addirittura la mancata attuazione del dettato costituzionale346.

Per quanto riguarda la collocazione sistematica, sulla scorta delle scelte operate dagli altri legislatori europei, il reato dovrebbe trovare posto in una sezione specifica ad essa dedicata al Libro II “Dei delitti in particolare”, Titolo XII “Dei delitti contro la persona” sotto il capo III “Dei delitti contro la libertà individuale”.

L’ultimo problema attiene al difficile rapporto con le scriminanti contemplate dall’ordinamento penale: i reati di tortura infatti potrebbero essere scriminati in virtù delle cause di giustificazioni previste dal codice penale347; è dunque

345 Ibidem. 346 Ibidem.

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necessario che il legislatore assuma anche in questo caso una posizione al fine di evitare di creare lacune costringendo il giudice a doverle colmare in base ai casi concreti di volta in volta sottoposti al suo esame, con le relative conseguenze che ciò comporta.

Tutti questi profili sono stati al centro del dibattito parlamentare concentratosi attorno alle varie proposte di legge in materia di tortura sottoposte negli anni all’esame della Commissione giustizia per le quali, essendo un numero cospicuo, non è possibile ripercorrerne le tappe, dovendo circoscrivere brevemente l’attenzione solo all’ultima proposta formulata. Dopo trent’anni di tentativi falliti, il testo che intende introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura (d.d.l. S 10, di iniziativa parlamentare a prima firma del senatore Luigi Manconi) arriva alla Commissione giustizia del Senato il 15 marzo 2013348: il disegno di legge, elaborato dalle associazioni Antigone e A Buon Diritto Onlus e fortemente voluto da Amnesty International, mira a colmare l’intollerabile vuoto normativo.

«Art. 608-bis. - (Tortura). – Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che infligge ad una persona, con qualsiasi atto, lesioni o sofferenze, fisiche o mentali, al fine di ottenere segnatamente da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o su di una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su ragioni di discriminazione, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.

La pena è aumentata se ne deriva una lesione personale, è raddoppiata se ne deriva la morte.

Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che istiga altri alla commissione del fatto, o che si sottrae volontariamente all’impedimento del fatto, o che vi acconsente tacitamente».

La tortura è configurata come un delitto proprio, ovvero commesso da pubblico ufficiale o da incaricato di pubblico servizio: la qualificazione della tortura come delitto generico, senza che lo Stato ne sia autore diretto indiretto, costituisce uno scivolamento semantico.

La tortura è un crimine che in considerazione della sua storia, dei suoi contenuti, del bene giuridico protetto attiene direttamente all’esercizio del potere punitivo dello Stato. Una tortura tra privati oltre a non collimare formalmente con la definizione delle Nazioni Unite non è sostanzialmente coerente con la sua essenza di crimine contro l’umanità… la tortura è sempre l’esito ulteriore e criminale di una attività pubblica dove le due parti sono gli attori di un rapporto non paritario, determinato da un obbligo di custodia o controllo per fini di giustizia o di sicurezza349.

La violenza è un ingrediente necessario del reato; le sofferenze possono essere fisiche o psichiche; il dolo deve essere specifico.

348 Il testo integrale è reperibile in www.senato.it. 349 P. Gonnella, op. cit., p. 74.

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Il delitto di tortura non è assimilabile a quello di lesioni personali per molte ragioni: protegge la dignità umana e non solo il corpo; non dipende dalla profondità e dalla durata delle lesioni prodotte; deve essere sempre perseguibile d’ufficio; deve avere pene appropriate e tempi congrui di prescrizione350.

Successivamente, dal risultato dell’unificazione di altri cinque disegni di legge che hanno comportato già una qualche modifica rispetto al testo originario, il testo finale viene approvato dal Senato il 5 marzo 2014, per poi essere approvato con ulteriori modifiche dalla Camera il 9 aprile 2015. A distanza di due anni, tra promesse di approvazione e rinvii, viene nuovamente sottoposto al vaglio del Senato, che lo approva con ulteriori modifiche il 17 maggio 2017, per poi essere approvato definitivamente in quarta lettura dalla Camera il 5 luglio 2017.

La legge n.110/17 del 14 luglio 2017 approda tra i reati previsti dal nostro codice penale dopo quattro anni di discussioni, modifiche e rinvii e presenta un testo completamente diverso rispetto a quello originariamente previsto dal senatore Manconi il quale lo ha definito «un testo stravolto di cui rimane ben poco»; lo stesso Manconi non ha partecipato al voto del 16 maggio al Senato. Le perplessità maggiori, sottolinea Manconi, emergono da alcuni termini (le «reiterate violenze», l’agire «con crudeltà» e il «verificabile trauma psichico») introdotti nelle successive modifiche al testo che fungono da condizione per l’applicazione della pena. Il testo è stato criticato prima ancora della sua approvazione definitiva anche dal Presidente della Commissione per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Miuznieks, il quale, con una lettera ufficiale inviata ad alcune cariche dello Stato italiano e ai presidenti dei due rami del Parlamento a giugno scorso, li aveva invitati ad intervenire con le opportune modifiche al testo di legge, avendo espresso preoccupazione rispetto alla proposta formulata in quanto divergeva profondamente da quella prevista dalla Convenzione ONU e delineata dalla giurisprudenza internazionale

«Taluni aspetti – scrive il commissario per i diritti umani dell’organizzazione internazionale – sembrano essere disallineati rispetto alla giurisprudenza della Corte EDU, alle raccomandazioni della Commissione europea per la prevenzione della tortura e delle pene e trattamenti inumani e degradanti e alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura»351.

Anche Antigone e Amnesty International avevano espresso il proprio dissenso prima ancora dell’approvazione, ritenendo la proposta di legge carente sotto diversi profili: nonostante venga considerato un passo importante, nessuna delle

350 Dal comunicato alla Presidenza del 15 marzo 2013.

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due associazioni sembra essere soddisfatta del lavoro del legislatore dal quale, dopo quasi trent’anni, si pretendeva qualcosa in più.

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