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Una prospettiva comparatistica: il reato di tortura nei principali ordinamenti europe

LA TORTURA IN ITALIA

4. Una prospettiva comparatistica: il reato di tortura nei principali ordinamenti europe

In ambito europeo, prima della Convenzione ONU del 1984 e del monito contenuto all’Art. 4, questa esigenza di penalizzazione non era avvertita in maniera così pressante, anche perché l’Art. 3 della Convenzione europea fungeva già da garanzia al divieto di tortura, senza però prevedere al contempo la necessità di intervenire a livello interno al fine di introdurre una disposizione penale ad hoc. Una volta avviato il processo di adesione, le legislazioni penali dei Paesi europei hanno proceduto a elaborare alcune soluzioni al fine di sanzionare la violazione del divieto di tortura in ottemperanza agli obblighi assunti. Volgere lo sguardo verso le altre esperienze europee si rivela utile sotto due profili: da un lato, quella di rintracciare i “cattivi esempi” per comprendere come non dovrebbe essere costruito il reato di tortura in Italia; dall’altro, quella di ricercare i “buoni esempi” che invece dovrebbero essere presi in considerazione dal legislatore italiano298.

296 A. Pugiotto, p. 13. 297 F. Trione, op. cit., p. 130. 298 G. Serges, già cit.

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In via del tutto preliminare, è possibile distinguere due linee guida tracciate dalle legislazioni penali europee: la prima, seguita da Paesi come la Francia e il Belgio, hanno costruito la fattispecie di tortura come reato comune; la seconda, percorsa dal Regno Unito, dalla Spagna e dal Portogallo, qualifica il reato di tortura come reato proprio del pubblico ufficiale. Una considerazione a parte merita, infine, la soluzione adottata dalla Germania. Condividendo la tesi del prof. Padovani, sembrerebbero emergere due diversi modelli: un primo c.d. modello francese e un secondo c.d. modello spagnolo.

La soluzione francese è quella indubbiamente più complessa in quanto, in Francia, il legislatore ha previsto una preliminare distinzione (contenuta all’interno del Libro II del Code Pénal rubricato “Dei Crimini e dei delitti contro le persone”) tra “i crimini contro l’umanità e i crimini contro la specie umana” al Titolo I e “gli attentati alla persona umana” al Titolo II299. All’interno della prima

categoria, vengono annoverati quali crimini contro la specie umana i reati di eugenismo e di clonazione riproduttiva; i crimini contro l’umanità, invece, sono il genocidio e gli altri crimini contro l’umanità: è proprio tra questi ultimi che all’Art. 212-1 c.p. si trova un primo riferimento alla tortura. La norma stabilisce per alcuni atti (tassativamente indicati e qualificati come crimini contro l’umanità) la pena dell’ergastolo qualora siano commessi “in esecuzione di un piano concertato nei confronti di un gruppo di popolazione civile nell’ambito di un attacco generalizzato o sistematico”: tra questi atti, al comma 1, n. 6 viene annoverata anche la tortura.

Alla categoria degli attentati alla persona umana, agli Artt. 212-1 ss., il Code

Pénal prevede uno specifico reato “di torture e di atti di barbarie”: ai sensi

dell’Art. 221-1, la sottomissione di una persona a tortura o a degli atti di barbarie è punita con la reclusione fino a quindici anni, senza la possibilità di poter godere di benefici quali la sospensione o il frazionamento della pena. Quando il reato precede, accompagna o segue un reato diverso dall’omicidio, dallo stupro, o quando ha causato la morte della vittima senza intenzione di uccidere, è prevista la pena dell’ergastolo (Artt. 222-2 e 222-6).

299 Questa distinzione operata dal diritto francese comporta una conseguenza non secondaria:

qualora la tortura rientri nella categoria degli attentati alla persona umana, è prevista una prescrizione lunga ai sensi dell’Art. 7 del Code de procédure pénale; il reato di tortura che rientra nella categoria dei crimini contro l’umanità è, invece, imprescrittibile.

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La pena è aumentata a 20 anni qualora la tortura o la barbarie è commessa contro determinate categorie di persone (ad es. tra quelle contemplate all’Art. 222-3 minori di anni quindici, persone particolarmente vulnerabili per età, malattia o infermità, avvocato, magistrato, pubblico ufficiale o ministeriale, ecc.) o se accompagnata da violenze sessuali diverse dallo stupro. In altri casi ancora, la pena è aumentata a 30 anni quando la tortura è commessa su di un minore di quindici anni da parte di un ascendente legittimo, naturale o adottivo o da altra persona con obblighi di podestà sulla vittima, se il reato è commesso su un minore di anni quindici o su di una persona particolarmente vulnerabile o donna incinta da una banda organizzata o in maniera abituale (Artt. 222-3 e 222-4) o se, dalla violenza perpetrata, siano derivate mutilazioni od infermità permanenti (Art. 222- 5).

Come fa notare Serges, dalla disciplina francese emergono sostanzialmente due cose: da un lato, il reato di tortura si configura come reato comune; dall’altro, il legislatore francese non si preoccupa di definire il concetto di tortura, aumentando le perplessità l’accostamento non meno vago della nozione di atti di barbarie.

La soluzione adottata dal Belgio ha portato all’introduzione agli Artt. 417 bis ss. del codice penale (con l’art. 5 della legge n. 2002-06-14/42) di una apposita sezione dedicata alla tortura ed ai trattamenti inumani o degradanti.

La prima preoccupazione del legislatore belga è stata quella di dare una definizione

Per tortura s’intende «qualunque trattamento disumano deliberato che provoca un dolore acuto o delle assai gravi e crudeli sofferenze, fisiche o mentali»; per trattamento disumano s’intende: «qualunque trattamento per il quale delle gravi sofferenze mentali o fisiche sono intenzionalmente inflitte ad una persona, allo scopo di ottenere delle informazioni o delle confessioni, di punirle, di fare pressione su di esse o di intimidire la stessa persona o un terzo»; per trattamento degradante s’intende: «qualunque trattamento che causa a colui che vi è sottomesso, agli occhi proprî o altrui, una umiliazione od un avvilimento gravi»300.

Questa distinzione definitoria, ha comportato una diversificazione delle pene previste dal codice penale: la tortura è punita con la pena base della reclusione da 10 a 15 anni; il trattamento inumano è punito con la reclusione da 5 a 10 anni e il trattamento degradante con l’ammenda da 50 a 300 euro; sono poi previste aggravanti qualora la tortura sia commessa su di una persona vulnerabile in ragione dell’età o dello stato di salute, o se la tortura o il trattamento inumano sia

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commessa da un pubblico ufficiale, o se la tortura o il trattamento disumano hanno causato delle lesioni fisiche o psichiche permanenti. Infine, si specifica che l’ordine di un superiore non può giustificare la commissione di un atto di tortura o di un trattamento disumano.

A differenza della soluzione francese, quella adottata dal legislatore belga prevede una definizione che è quanto mai apprezzabile, rimanendo però qualificato come reato comune.

Nel Regno Unito, il Criminal Justice Act del 1988 prevede una sezione dedicata alla tortura. Ai sensi dell’Art. 134, comma 1 il legislatore definisce la tortura.

«Un pubblico ufficiale o una persona che agisca in veste di pubblico ufficiale, quale che sia la sua nazionalità, commette reato di tortura se nel Regno Unito o altrove infligga intenzionalmente grave dolore o sofferenza nell’esercizio, o nel preteso esercizio, delle sue funzioni». Il comma 2, inoltre, statuisce che commette tortura anche chi infligga «intenzionalmente grave dolore o sofferenza su istigazione di un pubblico ufficiale o una persona che agisca in veste di pubblico ufficiale», qualora quest’ultimo «abbia istigato o consentito il reato, o non si sia opposto ad esso». Il comma 3, infine, chiarisce come sia «irrilevante» se le sofferenze od i dolori che consentono di qualificare un atto quale “tortura” siano di tipo «fisico o mentale» o se «siano stati provocati anche da azioni o da omissioni», con ciò estendendo il reato di tortura anche alla tortura psicologica ed all’istigazione»301.

L’Art. 134, comma 6 prevede che “una persona che abbia commesso il reato di tortura sia condannato, qualora ritenuto colpevole, alla prigione a vita”, rivelandosi la norma una delle più severe nel panorama europeo a punire il reato di tortura302.

La Spagna, prima ancora di prevedere un esplicito divieto nel codice penale, contiene un espresso divieto di tortura ai sensi dell’Art. 15 della Costituzione in base al quale «Tutti hanno diritto alla vita e alla integrità fisica e morale, senza poter essere in alcun caso sottoposti a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.». Le disposizioni di dettaglio sono successivamente contenute nel

Código Penal agli Artt. 173 ss. contenuti al Titolo VII, rubricato “De las torturas y otros delitos contra la integridad moral”. Tra questi è l’Art. 174 a richiamare

la tortura

«Commette tortura l’autorità o funzionario pubblico che, abusando del suo incarico, e con il fine di ottenere una confessione o informazione di qualsiasi persona o di punirla per qualsiasi fatto che abbia commesso o si sospetti abbia commesso, o per qualsiasi ragione

301 Ibidem.

302 Un'ulteriore disposizione normativa è contenuta nello Human Rights Act 1998, la legge che

ha recepito nell'ordinamento interno la Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo, il cui art. 3 recita "Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti". – Camera dei deputati, Servizio Biblioteca, XVII Legislatura (Ufficio Legislazione Straniera), Il

reato di tortura nei principali ordinamenti europei, Note informative sintetiche, n. 11, 5 maggio

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fondata su ogni tipo di discriminazione, la sottopone a condizioni o procedimenti che per la loro natura, durata o altre circostanza, le procurano sofferenze fisiche o mentali, la soppressione o diminuzione delle sue facoltà di cognizione, discernimento o decisione o che, in qualsiasi altro modo, attentino alla sua integrità morale. Il colpevole di tortura è punito con la pena della reclusione da due a sei anni se l’attentato è grave, e con la reclusione da uno a tre anni se non è grave. Oltre alle pene segnalate si applica, in ogni caso, la pena dell’inabilitazione assoluta da otto a dodici anni». A norma del secondo comma, inoltre, «incorrono nelle medesime pene, rispettivamente, l’autorità od il funzionario di un istituto penitenziario o di un centro di protezione o correzione dei minori che commetta, nei confronti dei detenuti, internati o prigionieri, gli atti ai quali fa riferimento il comma precedente»303.

Sulla falsariga del modello spagnolo, si colloca poi la previsione del Código

Penal Português così come modificato con l’ampia opera di riforma intervenuta

del 1995 con la quale si è provveduto a inserire al Titolo III dedicato ai “crimini contro l’identità culturale e l’integrità personale” gli Artt. 243 ss. dedicati alla tortura e agli altri trattamenti crudeli, degradanti e disumani

Ai sensi dell’Art. 243, punisce con la reclusione da 1 a 5 anni chi avendo la funzione di prevenzione, repressione, indagine o la conoscenza dei reati di infrazione amministrativi o disciplinari, l'esecuzione delle sanzioni della stessa natura o di tutela, protezione o di sorveglianza di una persona detenuta o imprigionata, la tortura o il trattamento crudele, degradante o inumano per ottenere da lei o da altra persona confessione, deposizione, dichiarazione, informazione oppure per castigarla per un atto commesso o che si suppone commesso da lei o da altra persona oppure per intimidire lei o altra persona. Ai sensi del comma 3 dell’Art. 243, il legislatore si preoccupa di dare una definizione

È considerato tortura, trattamenti crudeli, degradanti o inumani, l'atto che consiste nell’infliggere disagio fisico o psicologico acuto, grave affaticamento fisico o psicologico o l'uso di sostanze chimiche, farmaci o altri mezzi, naturali o artificiali, con l'intento di distruggere capacità di determinare la dichiarazione della vittima libero o di intenti.

La pena si eleva dai tre ai dodici anni quando dall'atto di tortura consegua un'offesa grave all'integrità fisica della vittima, qualora vengano usati particolarmente gravi torture, mezzi o metodi, tra cui percosse, scosse elettriche, o eseguendo simulazioni allucinogeni o quando l'agente pratichi abitualmente atti di tortura; se dall'atto deriva la morte o il suicidio della vittima, la pena sarà compresa tra gli otto e i sedici anni (Art. 244 comma 1 e 2). All’Art. 245 viene introdotto il reato proprio di omissione di denuncia: la norma punisce, con pena

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compresa tra i sei mesi e i tre anni, i superiori gerarchici che, avendo conoscenza della pratica di torture di loro subordinati, non denuncino il misfatto entro tre giorni dal momento del conoscimento.

Un discorso a parte riguarda la soluzione tedesca, la cui posizione sembra essere la più vicina a quella italiana, non avendo previsto almeno apparentemente uno specifico reato di tortura nel codice penale. In Germania, infatti il divieto dell'uso della tortura (Folter) discende dall'adesione alle convenzioni internazionali, dalla Costituzione e da altre norme di legge304.

L’Art. 1 della Grundgesetz (Legge fondamentale tedesca) stabilisce che «La dignità dell'uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla». Proseguendo, ai sensi dell’Art. 104 comma 1 si legge che le persone arrestate non possono essere sottoposte né a maltrattamenti morali, né a maltrattamenti fisici: la formulazione della norma ricorda grossomodo quella dell’Art. 13, comma 4 della Costituzione italiana. Il codice penale, invece, non contiene una norma che faccia specifico riferimento al reato di tortura essendovi, però, delle disposizioni che si avvicinano di più rispetto ad altre alla fattispecie. L’Art. 240 dello Strafgesetzbuch punisce con la reclusione fino a 3 anni o con la pena pecuniaria chi “con violenza o minaccia di un male sensibile costringe antigiuridicamente una persona a fare, tollerare od omettere”; ai sensi del 2 comma il fatto è antigiuridico se l'impiego della violenza o la minaccia del male sono da considerare riprovevoli per il fine perseguito; è punito il tentativo (comma 3), mentre al comma 4 si prevede nei casi di particolare gravità la pena detentiva da sei mesi a cinque anni: “un caso di particolare gravità ricorre di norma quando l'autore […] commette il fatto con abuso dei suoi poteri o della sua posizione di pubblico ufficiale”.

L’Art. 343 prevede un reato proprio.

Chiunque, come pubblico ufficiale chiamato a collaborare […] compie atti di maltrattamento fisico nei confronti di un'altra persona, le usa altrimenti violenza, minaccia l'uso della violenza o la affligge sul piano psichico per costringerla a fare deposizioni o dichiarazioni nel procedimento o ad ometterle, è punito con la pena detentiva da uno a dieci anni. Nei casi di minore gravità, si applica la pena detentiva da sei mesi a cinque anni.

L’Art. 136a del Codice di procedura penale (Strafprozeßordnung) prevede che «la libertà di decidere e la volontà dell’imputato non devono essere compromesse da maltrattamenti, dallo sfinimento indotto, da atti di violenza fisica, mediante la

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somministrazione di farmaci, da supplizi, dall’inganno o dall’ipnosi305»:

l’articolo vieta, in sostanza, qualunque tipo di costrizione della volontà per le persone sottoposte a procedimento giudiziario.

Posto, dunque, che tale articolo serve a sanzionare le violazioni dell’art. 136a, e che quest’ultimo fa espresso riferimento alla tortura, si può senz’altro affermare che l’art. 343 configuri un vero e proprio reato (proprio) di tortura o, per meglio dire, di un particolare tipo di tortura, quella c.d. ad eruendam veritatem306.

Secondo l’osservazione di Serges, infatti, essendo la parola Quälerei (termine contenuto all’Art. 136a per indicare i supplizi) sostanzialmente un sinonimo di

Folter, può essere tradotta come tortura, tormento o supplizio, ponendosi in

questo modo anche la legislazione tedesca in linea con gli obblighi internazionali.

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