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La controversia sul fondamento dei diritti umani e l'inviolabilità

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 68-71)

I. NATURA E INVERSIONE DELLA TELEOLOGIA. LA MINACCIA

2. Uomo e natura

2.2. La nozione di dignità umana

2.2.1. La controversia sul fondamento dei diritti umani e l'inviolabilità

organizzazioni internazionali di sociologi, giuristi, medici, teologi e filosofi e che dovrebbe toccare da vicino in realtà ciascuno di noi, Spaemann riconosce la controversia antica quanto il pensiero occidentale, ma sempre attuale, tra diritto naturale e diritto positivo96.

Mentre la prima teoria ritiene che i diritti umani debbano spettare ad ogni uomo

95 Cfr. Preambolo alla “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”, 1948: “[...] il riconoscimento della dignità specifica e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della famiglia umana è la base di libertà, giustizia e pace nel Mondo” .

“per natura”, sulla base della sua appartenenza alla specie homo sapiens o della presenza effettiva di caratteristiche specifiche di tale specie, la seconda li considera piuttosto come dei riconoscimenti giuridici che gli uomini si concedono reciprocamente sulla base di sistemi di diritto, e che quindi hanno una valenza arbitraria, così come arbitraria è la costituzione stessa dei sistemi che li sanciscono.

Il diritto naturale viene sempre considerato come fondamento o principio di qualsiasi diritto positivo perché rappresenta quel livello “minimo” di inviolabilità dell'uomo che non può venir eliminato con la revoca di un diritto civile (positivo), la quale invece può avvenire in ogni momento. I sostenitori del diritto positivo avanzano l'argomentazione invece che dall'essere uomo deriva un dovere solo se questo essere viene riconosciuto come già fondato in un volere. Una condizione di questo tipo appare a Spaemann però piuttosto debole, perché basa il fondamento del dovere su un presupposto metafisico, che quindi può venir rifiutato da coloro che non lo condividono e lo lascia di conseguenza ancorato fragilmente a convinzioni soggettive.

Ciò che a Spaemann sta particolarmente a cuore nel discorso delle divergenze tra le due teorie è il modo in cui esse si rapportano al diritto alla dignità umana, definita “inviolabile” dal primo articolo della Legge fondamentale della Repubblica Federale Tedesca97. Il concetto di dignità umana è secondo lui, come quello di libertà, un concetto trascendentale e può acquisire quindi significati o interpretazioni diverse a partire dai contesti in cui lo si adopera. Per questo la considerazione del contenuto del primo articolo dello statuto statale tedesco rappresenta una questione delicata, che richiede un certo impegno intellettuale. La dignità, secondo Spaemann, si colloca prima di ogni diritto ed è ciò che ne costituisce il fondamento; allo stesso tempo occupa una dimensione così originaria da collocarsi “prima del dualismo di essere e dovere”98: il suo carattere di inviolabilità infatti, nella profondità del suo significato primo non è ambiguo, mentre noi, che viviamo nella dicotomia di ciò che è e ciò che deve essere, siamo portati a chiederci se questa negatività indichi la sua essenza ontologica (per cui proprio non è possibile violare la dignità), oppure una condizione

97 “Die Würde des Menschen ist unantastbar”, in “Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland” (Legge fondamentale della Repubblica Federale Tedesca), Par. I, Art. I.

posta dall'esterno (per cui invece violarla non è lecito, ma rientra pur sempre nelle possibilità di agire umane).

Inoltre per Spaemann proprio la semplicità originaria della nozione di dignità fa sì che il suo significato sia talvolta più facile da cogliere intuitivamente piuttosto che concettualmente, nell'esperienza concreta di una sua chiara manifestazione. Molto spesso si è portati ad associare il concetto di dignità a qualità o modalità del comportamento umano, come la moderazione o la magnanimità, e talvolta si parla di diversi gradi di dignità, distinguendo azioni e atteggiamenti più dignitosi da altri meno dignitosi o addirittura indegni.

La dignità o indegnità di un atteggiamento però rende degno o indegno l'uomo che lo assume. Ma se abbiamo detto che la dignità dell'uomo è inviolabile, come può un uomo diventare indegno, cioè perdere la propria dignità, o acquistarla, il che ci fa presupporre che in un momento precedente ne sia stato privo?

Per Spaemann il fatto che un uomo sia indegno non è contraddittorio con l'inviolabilità della dignità umana: questa infatti, indica che la dignità di ogni singolo uomo non può assolutamente essere lesa o cancellata “dall'esterno”, cioè da un altro che non sia quel singolo uomo. Ma ogni singolo uomo può, mediante appunto il suo modo di pensare e il suo agire, perdere da sé la propria dignità. L'unica violazione che possiamo fare alla dignità dell'altro consiste nel non rispettarla; anche in questo caso però, secondo Spaemann, “chi non la rispetta non toglie all'altro la sua dignità ma perde la propria”99.

Il modo in cui si può tuttavia ferire l'altro relativamente alla sua dignità consiste nell'impedirgli di esprimerla: per Spaemann il carattere essenziale della comunicazione “personale” e quindi dell'espressione della propria dignità è infatti il “mostrarsi”, inteso come la possibilità dell'uomo di scegliere come presentarsi agli altri, come rapportarsi con loro. Per far capire chiaramente il concetto a cui si riferisce Spaemann porta l'esempio della crocifissione e di altre pene capitali che espongono il condannato ad una lunga sofferenza in pubblico: queste pene mettono colui che aspetta di essere giustiziato nella condizione di impossibilità di esprimere la propria dignità, perché la posizione che gli viene fatta assumere lo getta sotto lo

sguardo di tutti senza che egli possa scegliere come presentarsi a loro, come affrontare il loro sguardo. Tutti lo guardano morire, commentano, piangono o lo insultano, mentre lui sente addosso i loro sguardi, percepisce i commenti, i pianti, gli insulti, ma non può rispondere, vive un confronto unidirezionale a cui lui non può partecipare, diventa un elemento passivo di una realtà che pure gli parla, al punto che il suo “essere uomo” viene offuscato prima della morte del suo corpo.

La dignità è, per Spaemann, “legata allo spessore dell'essere (Seinsmächtigkeit): ne è la manifestazione”100. Impedire all'essere di manifestare il proprio spessore significa quindi esporre il soggetto ad una situazione che anche l'autore definisce di “obiettiva mancanza di dignità”101 e non riconoscere quel rispetto assoluto a cui ogni uomo in quanto partecipe dell'Assoluto ha diritto.

Con questo discorso Spaemann si richiama al carattere incondizionato di alcuni valori, come anche, per esempio, la libertà kantiana, il cui statuto ontologico non viene in alcun caso compromesso dagli eventi empirici: così come, secondo Kant, il fatto che la libertà dell'uomo come fine in sé venga continuamente calpestata nella vita quotidiana dagli scontri tra volontà egoiste non significa che la libertà sia limitata in sé a determinate condizioni, per Spaemann il fatto che la dignità di un uomo venga quotidianamente offuscata dai soprusi e dalla mancanza di rispetto umani non fa della dignità un valore relativo o violabile. La dignità umana è propria di ogni uomo ed ogni uomo la merita e la possiede in maniera incondizionata in virtù della sua natura, della sua intrinseca finalità, e continua a possederla e a meritarla anche nel momento in cui essa non viene rispettata.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 68-71)