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Teleologia versus pensiero causale

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 32-36)

I. NATURA E INVERSIONE DELLA TELEOLOGIA. LA MINACCIA

1. Il confronto con la scienza moderna tra scientismo e teoria

1.1. Il concetto di sapere classico e moderno e la costante minaccia dello

1.1.1. Spaemann: il conservatore illuminato

1.1.2.1. Teleologia versus pensiero causale

La questione della concezione a-teleologica della realtà nel mondo moderno è uno dei temi fondamentali del pensiero di Spaemann, per cui vi dedicherò il debito spazio in una sessione successiva; qui mi limito comunque ad accennare alcuni aspetti essenziali alla comprensione del contesto ontologico richiamato al primo punto. La rappresentazione della realtà nel mondo classico è in generale “biomorfa”, nel senso che a paradigma dell'essere viene preso il vivente (“vivere viventibus esse”, dice Aristotele) e in particolare “antropomorfa”, dal momento che cosa sia un vivente e cosa significhi vivere lo capiamo per analogia a partire dalla costituzione ontologica e dal modo d'essere dell'uomo. Nell'osservazione del vivente ciò che ci si manifesta come sua caratteristica propria è “l'essere in cerca di qualcosa”, il “tendere-a”17 (Aussein-auf-Sein), l'avere un interesse che ci muove e ci spinge ad agire, quale anche soltanto – tralasciando per il momento la sfera della spiritualità – la sopravvivenza o la conservazione della specie. Conoscere il vivente significa allora in questo quadro interpretativo comprenderne la struttura teleologica.

La scienza moderna al contrario avanza già fin dalla sua nascita un rifiuto programmatico della considerazione finalistica della realtà, che “sterilis est, et

16 SPAEMANN R., Ars longa vita brevis, cit. p. 252.

17 SPAEMANN R., Glück und Wohlwollen. Versuch über Ethik, Klett-Cotta, Stuttgart 1990, p. 112;

tamquam virgo Deo consacrata nihil parit”18, per dirla con le parole di Francis Bacon, che animeranno con entusiasmo la cultura illuminista.Il carattere proprio del nuovo sapere emerge già allora chiaramente dall'affermazione sopraccitata: esso non deve essere sterile, ma produttivo; deve generare qualcosa che abbia un'utilità pratica, deve essere uno strumento efficace nelle mani dell'uomo che se ne può servire in maniera diretta per fare qualcosa, o in maniera indiretta per acquisire nuovo sapere. All'uomo moderno non risulta di alcun interesse sapere che il cuore ha la funzione di pompare il sangue agli altri organi; utile è per lui piuttosto conoscere 'come' esso lo fa (“to-know-how”19) e grazie a che cosa, cioè conoscere le connessioni di causa-effetto con cui si può spiegare il suo alternarsi di contrazione e dilatazione. Il “perché” della scienza moderna è quindi un “perché” causale (a causa di che cosa) non un “perché” finalistico o funzionale (in vista di che cosa). La ricerca dei nessi causali regolari però, a differenza della ricerca del télos, è interminabile, va all'infinito e quindi non può offrire all'uomo alcun elemento che orienti il suo agire, ma solo strumenti e informazioni che lo possono potenziare e rendere più efficiente.

1.1.2.2. Comprensione della natura versus dominio sulla natura; il prezzo da pagare

per controllare la realtà

Arriviamo in questo modo al secondo fattore della trasformazione della scienza, ossia le applicazioni pratiche al servizio delle quali la conoscenza teorica funge da base. L'oggetto di osservazione di scienza antica e scienza moderna rimane lo stesso, ossia la natura, ma si modifica l'atteggiamento dell'uomo nei suoi confronti e le conseguenze di tale osservazione: lo sforzo che sta dietro agli studi naturali non è più infatti volto a 'comprendere' la natura, ma a 'dominarla', ad aumentare il potere di controllo e di intervento manipolativo su di essa in modo da poterla utilizzare per esigenze pratiche. Nella riflessione di Spaemann l'interesse per le conoscenze che gli

18 BACON F., De dignitate et augmentis scientiarum III, Cap. V, in The Works of Francis Bacon, a cura di J. Spedding, 14 voll., Frommann-Holzboog, Stuttgart – Bad Cannstatt 1963, vol. I, pp. 415-844, qui p. 571.

permettono di servirsi della natura è nell'uomo costitutivo, in quanto rappresenta la sua strategia di sopravvivenza, la sua arma peculiare di difesa e di attacco per imporsi nel mondo sopperendo alle deficienze fisiche che lo distinguono dagli altri animali e lo fanno apparire nei confronti delle altre specie naturali un “essere carente”, menomato (Mangelwesen)20

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L'atteggiamento di dominio dell'uomo sulla natura porta con sé implicazioni assai significative. Innanzitutto crea un distacco difficilmente risolvibile tra soggetto e oggetto dell'osservazione scientifica, che scardina inevitabilmente la comprensione dell'essere umano di se stesso e dell'ambiente in cui vive: l'uomo non si considera più parte della natura, non sente più di condividere il movimento vitale con gli altri esseri naturali come gli animali o le piante, ma anzi riduce la comprensione della vita stessa ad un particolare tipo di processo puramente fisico, perché è solo su processi fisici così intesi che egli può intervenire e assumere una posizione verticale nei confronti di tutto il resto, ponendosi al centro di un'orbita che egli può sottomettere in funzione di sé. Di conseguenza “la considerazione antropomorfa dell'uomo viene lasciata all'ermeneutica delle scienze umane, la considerazione biomorfa del vivente non ha più luogo”21 e al posto di entrambi prende piede un antropocentrismo radicale: l'uomo è al centro del mondo, è l'unico soggetto attivo di fronte ad una natura che è per lui passiva materia di studio, oggetto di osservazione e di analisi, fenomeno che esiste solo così come lui lo vede o lo percepisce, e il cui essere in sé non ha alcuna importanza o forse non esiste nemmeno, non essendo passibile di dimostrazione. Come paradigma per ciò che significhi reale vale ora infatti solo ciò che è oggettivo22, ciò che si può osservare empiricamente, che si può inserire nel quadro disciplinato delle connessioni causali o trascrivere sotto forma di un'espressione matematica.

L'oggettivazione di tutti gli aspetti della natura fisica porta chiaramente all'uomo il vantaggio di renderli più facilmente controllabili e usufruibili, di poterli

20 SPAEMANN R., L'“ultimo uomo” e l'uomo nuovo: modernità e cristianesimo, in Il futuro

dell'uomo. Fede cristiana e antropologia. Quarto Forum del Progetto culturale, EDB, Bologna

2002, pp. 41-54, qui p. 42.

21 SPAEMANN R., Ars longa vita brevis, cit. p. 250.

22 Cfr. SABANGU P.S., Persona, natura e ragione. Robert Spaemann e la dialettica del naturalismo

manipolare e gestire a proprio piacimento per risolvere difficoltà fino a prima insormontabili e dischiudere all'umanità possibilità di azione inedite, che le permettono di investire e di progredire con rapidità in diversi settori della società, al servizio dei quali la scienza pone i suoi risultati, per migliorare gli standard di vita umani o la potenza di una nazione; esempi ovvi – rimanendo storicamente agli esordi della modernità – sono il campo medico, l'agricoltura, l'edilizia, la tecnica militare. Ma qual è il prezzo da pagare per una tale emancipazione?

Spaemann ce lo spiega riportando l'esperienza di Gottfried Leibniz23, che a differenza di altri scienziati moderni, ha saputo comprendere quali sono gli 'effetti collaterali' di una fisica matematizzabile – che ebbe inizio tra il resto proprio con lui – e ha optato per un compromesso che definirei 'antiriduzionistico'. Il matematico e filosofo tedesco aveva reso possibile, grazie alla invenzione del calcolo differenziale e integrale (attribuibile contemporaneamente a lui e a Newton) la trattazione matematica del movimento in quanto continuo. Con il calcolo infinitesimale infatti si può scomporre il movimento in stati 'stazionari' con intervalli sempre più piccoli e calcolarne la sequenza. La posta in gioco per la calcolabilità tuttavia è la perdita del movimento in quanto tale, ossia in quanto continuo; matematicamente esso viene infatti descritto come “una serie infinita di minimi stati di quiete, ovvero precisamente [come] la perdita del carattere di movimento del movimento”24.

La vera essenza del movimento non si può tuttavia concepire se non tramite l'idea di anticipazione, un'idea che non ha fondamento in matematica ma solo nell'esperienza che noi abbiamo delle nostre azioni: un corpo che si trova in movimento in un istante t1 può differenziarsi da un corpo immobile nello stesso istante solo per il fatto che nella definizione del suo stato presente è già contenuto il suo stato successivo, ossia il suo trovarsi in un altro luogo nell'istante t2. Un'anticipazione per il futuro non può essere un dato matematizzabile, ma è comunque un elemento che noi riusciamo intuitivamente a capire e a riconoscere come proprio nel momento in cui consideriamo l'analogia con il nostro “tendere-a”, ossia con la nostra struttura teleologica. Ogni definizione del movimento in quanto tale cela dietro di sé perciò sempre un antropomorfismo, negando il quale si nega

23 Cfr. SPAEMANN R., Das Natürliche und das Vernünftige, cit., p. 34; Natura e ragione, cit., p. 36. 24 Ibidem.

inevitabilmente che esista una realtà come quella del movimento nella sua continuità e ci si accontenta di una descrizione riduzionistica e insoddisfacente del movimento come successione di 'non-movimenti'.

D'altro canto questo è ciò che succede anche quando consideriamo l'esperienza di assolutezza che ognuno di noi vive nell'incontro con il dovere morale, con la verità, la bellezza, o la bontà: o accettiamo una lettura antropomorfica e comprendiamo appieno il significato dell'incondizionatezza cui siamo legati intimamente grazie al nostro carattere di autotrascendenza, oppure ci lanciamo nella ricostruzione naturalistica di ognuna di queste esperienze peculiari, al prezzo però di perdere proprio ciò che esse hanno di specifico, ossia appunto la loro l'assolutezza25.

Per uscire da questo impasse, Leibniz ha riconosciuto a fianco alla fisica matematizzata, cioè ad una fisica per così dire 'dall'esterno', una fisica 'dall'interno', ovvero una scienza della natura che non tratta la realtà oggettivabile, bensì la realtà in quanto tale, il che per Spaemann non può significare altro che una trattazione antropomorfica, ossia operata dal punto di vista della sua somiglianza con noi.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 32-36)