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La teleologia invertita nell'ambito delle scienze sociali e politiche

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 86-92)

I. NATURA E INVERSIONE DELLA TELEOLOGIA. LA MINACCIA

3. L'inversione della teleologia

3.1. La teleologia invertita nell'ambito delle scienze sociali e politiche

Con l'espressione “inversione della teleologia”, Spaemann intende la crisi generale “della concezione finalistica dell'uomo, della sua apertura perfettiva al mondo, agli altri, a Dio, e la sua riconversione in termini di autoconservazione”132. Questo fenomeno riguarda di conseguenza numerosi contenuti antropologici, che interessano ogni uomo sotto aspetti diversi del suo essere al mondo e del suo esservi con altri. Implicazioni evidenti sono presenti quindi anche all'interno della moderna filosofia sociale, i cui grandi sconvolgimenti dipenderebbero secondo Spaemann proprio dal venir meno di una riflessione sulla natura umana in chiave di finalità, sia all'interno della cultura tradizionalista, che si attesta su posizioni conservatrici, sia nell'ambito della prospettiva progressista e rivoluzionaria, i cui progetti politici si impongono astrattamente, e quindi con violenza, alla naturale dinamica dei soggetti storici.

Spaemann perciò – nonostante il suo noto conservatorismo – prende le distanze in questa analisi sia dalla collocazione politica di “destra”, sia dall'ala della “sinistra”, riconoscendole entrambe come termini di quella “antinomia inesorabile”133 in cui il rifiuto della teleologia getta la società dalla fine del Medioevo ai giorni nostri. Per Spaemann infatti i fini che guidano e caratterizzano le due fazioni, rispettivamente il principio di “autoconservazione” da parte della destra e di “autorealizzazione” da parte della sinistra, personificano l'antitesi di civiltà e natura, che Freud individua come propria della condizione umana e allo stesso tempo come responsabile della sua infelicità; l'uomo, infatti, è secondo il pensiero freudiano un essere che, seppur spronato dalla libido verso la soddisfazione immediata e incondizionata dei suoi desideri (tendenza all'autorealizzazione), è costretto poi dalle condizioni della realtà civile, cioè dalle costrizioni legate a morale e tradizione, ad assoggettarsi alle regole di comportamenti accettati dalla società (tendenza all'autoconservazione)134. In politica il ruolo della realtà, della ragione nel senso di

132 Ibidem.

133 ALLODI L., Destra e sinistra dopo la modernità, “Ideazione”, IX (2), 2003, pp. 191-198, qui p. 193.

134 Il tema freudiano a cui Spaemann qui si riferisce è il rapporto tra “principio di piacere” e “principio di realtà” nell'uomo: tutte le scelte della psiche sono per Freud dettate dal principio del

“ragionevole”, sarebbe quindi interpretata dalla destra, mentre il ruolo del piacere, dell'immaginazione e dell'utopia dalla sinistra.

Il principio di realtà viene però a coincidere con il principio di conservazione della civiltà, in contrapposizione alla spontaneità della natura; questo concetto risalta in tutta la sua chiarezza, secondo Spaemann, nel pensiero di Jean Jacques Rousseau, in particolar modo nella distinzione tra l'uomo e il cittadino (l'homme et le citoyen), e nella descrizione della volontà generale come principio di conservazione dell'unità dello Stato, distrutta, secondo Rousseau, dall'emancipazione moderna, in primis, dal Cristianesimo, che egli vede come una religione naturale e non civile.

La frattura tra civiltà e natura, però, non è certo frutto di un'invenzione moderna, ma rappresenta anzi un importante tόpos filosofico e letterario già nella cultura greca antica, nella forma dell'antitesi tra nόmos e phýsis (basti ricordare la diatriba tra diritto positivo e diritto naturale-divino che anima l'Antigone di Sofocle). All'interno del pensiero di Platone ed Aristotele, tuttavia, tale dicotomia viene superata, e questo proprio grazie alla visione teleologica, per cui l'uomo è “per natura” un essere sociale, politico e in grado di comunicare con i suoi simili. La necessità di riproporre allora una concezione finalistica della natura e dell'uomo anche nella modernità, al fine di risanare la vecchia ferita, rinnovatasi soprattutto con il contrattualismo, viene recepita a cavallo tra XVIII e XIX secolo da Louis De Bonald, il quale tenta quindi una sua riabilitazione scientifico-sociologica. Tale tentativo, però, secondo Spaemann, seguirà una falsa linea e finirà solamente per capovolgere ancora una volta quella concezione che mirava a ristabilire, come ci si propone di mostrare in Der Ursprung der Soziologie aus dem Geist der Restauration (1959), frutto della tesi di dottorato di Spaemann nel 1952 e sette anni più tardi pubblicazione 'pioniera' della sua lunga carriera divulgativa135.

Vediamo allora insieme la critica che Spaemann rivolge a De Bonald e le

piacere, cioè dalla libido, ma tale principio si scontra quasi sempre dalla realtà, data appunto dai doveri civili legati alla morale comune e alla tradizione sociale, che costringono l'uomo alla frustrazione dei suoi desideri. Come soluzione adattativa, al principio del piacere subentra allora il principio di realtà, per cui l'uomo cerca di soddisfare i suoi desideri in una maniera più moderata che sia compatibile con i comportamenti socialmente accettati.

135 SPAEMANN R., Der Ursprung der Soziologie aus dem Geist der Restauration. Studien über

L.G.A. de Bonald, Kösel, München 1959; L’origine della sociologia dallo spirito della Restaurazione. Studi su L.G.A. de Bonald, a cura di C. Galli e L. Allodi, Laterza, Roma – Bari

conseguenza che l'inversione della teleologia produce sullo scenario sociologico.

3.1.1. La teleologia invertita di De Bonald e il nichilismo della destra e della sinistra La critica di Spaemann a De Bonald è sostanzialmente quella di interpretare il concetto di finalità della natura in un modo che noi considereremmo “evoluzionistico”, ossia in termini di autoconservazione. Lo scopo dell'essenza dell'uomo e della società diventa allora la propria conservazione immanente, quella che il motto spinoziano esprime nella formula “conatus sese conservandi est ipsa rei

essentia”136 e non più invece il perseguimento della propria finalità interna, secondo la massima del finalismo classico nel suo carattere trascendente di “omne agens agit

propter finem”137. Il risultato è quel fenomeno distorto che Spaemann chiama “teleologia invertita” (invertierte Teleologie): l'uomo non tende più al raggiungimento di quello che è il senso della sua esistenza, ma subordina la stessa alle condizioni della sua conservazione; allo stesso modo, non è più il vivere in società che favorisce le condizioni di una “vita buona”, ma è l'uomo che sacrifica la propria libertà per la conservazione della comunità politico-religiosa.

Proprio un autore come De Bonald, il “maître de la contre-révolution” per dirla con Louis Dimier, colui che critica radicalmente l'emancipazione e la Rivoluzione per dare fondazione alla Restaurazione, appartiene in realtà agli occhi di Spaemann, quindi, ancora al modernismo, di cui anzi si pone come il rappresentante ultimo, in quanto è colui che ha portato tale corrente al suo compimento, proprio tramite un insegnamento anti-teleologico, ossia attraverso la funzionalizzazione della vita dell'uomo alla propria conservazione e l'elevazione della sociologia a philosophia

prima.

Ciò che Spaemann rileva come particolarmente interessante della critica alla rivoluzione di De Bonald è il fatto che vi emerga per la prima volta, insieme all'esigenza di una filosofia prima, una teoria rigorosamente funzionalistica della società, in cui gli argomenti della filosofia, l'idea di Dio e l'uomo stesso vengono

136 SPINOZA B., Etica, IV, Prop. 22 Dim., cit., p. 446.

ridotti alle loro funzioni sociali. Il commento di Spaemann è lapidario: “porre sullo stesso piano la buona vita e la sottomissione alle condizioni della sua conservazione mi è sempre parsa una forma di nichilismo, del nichilismo della destra”138. Il nichilismo, così come lo intende Spaemann, nasce nel momento in cui la verità viene strumentalizzata al servizio della conservazione di qualcosa, conservazione che, però, proprio perché basata su una verità soltanto relativizzata e quindi astratta, non è in grado di preservare il valore in sé di ciò che essa stessa conserva, ossia in questo caso della società e degli uomini stessi che la costituiscono.

Per Spaemann il nichilismo politico è un fenomeno che si presenta non solo nella destra, ma anche nella sinistra e che nasce là dove le due posizioni “si intendono come visioni del mondo, come teorie totali del mondo e dello Stato”139, perché, come dice Hegel, quando una posizione astratta pretende di comprendersi come un tutto, diventa dialettica e finisce per rovesciarsi nel suo opposto, contraddicendo i valori in difesa dei quali si era affermata. Nel caso della sinistra, Spaemann riconosce come “arma” del nichilismo lo stesso funzionalismo della destra invertito però di senso, ossia rivolto non più al mantenimento, bensì alla distruzione dell'ordine stabilito, portatore soprattutto per il marxismo – immagine esemplare della sinistra – della disuguaglianza classista che viola l'essenza sociale dell'uomo (das Kommunistische Wesen des Menschen). La critica generale che Spaemann rivolge al pensiero rivoluzionario di sinistra, è diretta alla presenza spesso evidente di un atteggiamento utopistico, che deriva secondo lui dalla pretesa di spingere la società verso una sua forma “perfetta”140. Questa pretesa si rivela infatti ai suoi occhi lesiva dell'uomo, in quanto tende a valorizzare maggiormente la realizzazione ultima della comunità politica piuttosto che il rispetto della forma incondizionata della

138 SPAEMANN R., L’origine della sociologia dallo spirito della Restaurazione, cit., p. X (Pref. alla 2. ed.).

139 ALLODI L., Destra e sinistra dopo la modernità, cit., p. 195.

140 Per Marx la società perfetta, verso cui procede la storia, non coincide con uno Stato perfetto, ma al contrario con una società senza Stato, cioè con una società anti-politica, che riesce ad organizzarsi da sola tramite organi di autogoverno che svolgono tutte le funzioni pubbliche necessarie ad una vita ordinata in comunità. Lo Stato infatti per Marx ha senso solo là dove deve difendere il favore della classe sociale dominante mantenendo nell'oppressione tutte le altre; ma una volta eliminata la divisione per classi della società, esso diventa “alla fine effettivamente il rappresentante di tutta la società, [e non avendo più soggetti da reprimere] si rende, esso stesso, superfluo”. (ENGELS F., L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, nota introduttiva di G. Prestipino, Editori Riuniti, Roma 1976, pp. 112-113).

libertà umana, la quale eccede il progetto sociale sia verso l'alto, per la sua esigenza in assoluto, sia verso il basso, per la singolare fragilità dell'individuo.

Lo scopo di una politica non-nichilistica, sia nel senso della destra che in quello della sinistra, deve essere allora quello di realizzare una società “buona”, non perfetta, in cui la riflessione sociale si coniughi con il destino etico dell'uomo, di modo che non sia questi a sottoporsi al soddisfacimento di fini politici, ma sia piuttosto la società a mettersi al servizio di fini umani, nel significato umano di fine in sé.

3.1.2. L'anti-teleologia sociale oggi: la crisi ecologica

Da quanto detto sopra, risulta chiaro in definitiva che, nonostante l'opposizione contenutistica che le allontana l'una dall'altra, entrambe le posizioni politiche che caratterizzano la società europea si rivelano alla luce della contraddizione interna che le avvelena sorprendentemente somiglianti.

Dal terreno comune dell'antifinalismo, su cui si muovono come abbiamo visto sia destra che sinistra, si è sviluppata infatti negli ultimi tre secoli della nostra storia una realtà unidirezionale di tipo tecnocratico, che ha portato l'idea della “lotta contro la natura” ai suoi limiti estremi, rappresentati secondo Spaemann dalla crisi odierna dell'ecologia mondiale.

La colpa del problema ecologico è difficilmente riferibile al potere di una fazione piuttosto che dell'altra; entrambe sono ricorse per anni ad uno sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, che ora sono limitate. Alcuni sostengono che la sinistra saprebbe gestire meglio la scarsità delle risorse rispetto al capitalismo, immagine attuale di un consumismo sfrenato. Altri rivendicano tradizionalmente il compito della gestione delle risorse alla destra, riconoscendole, forse più per la sua età storica che altro, maggior esperienza nell'organizzazione della vita sociale. Per Spaemann, di fronte ad un problema che egli descrive come “l'evento epocale nella coscienza presente”141, le categorie di “destra” e di “sinistra” diventano puri nomi e

mettono a nudo entrambe i propri limiti: finché la questione ecologica rimarrà per loro soltanto un nuovo problema tecnologico, esse si limiteranno a “ri-aggiornare” moderatamente l'organizzazione di produzione e distribuzione e non vedranno motivo di attivarsi oltre, con l'unico risultato di posticipare di pochi anni l'esaurimento totale delle risorse142.

La reazione che può fare la differenza richiede invece per Spaemann una riflessione più profonda sull'essenza di questa crisi. Bisogna saper riconoscere, infatti, che la questione ecologica è ancora una volta un problema teleologico: l'uomo secondo Spaemann deve di nuovo domandarsi qual è il tipo di relazione che lo lega alla natura e perché lo sfruttamento incontrollato delle sue risorse rappresenti un pericolo per se stesso, che credeva grazie alla conoscenza dei suoi meccanismi di esserne il padrone143. Solo così possiamo di nuovo capire che c'è qualcosa di profondo che ci lega ontologicamente alla natura, qualcosa che condividiamo con lei e che ci rende ad essa simili, qualcosa che addirittura ci fa ricomprendere in essa e riconoscerci come sua parte, senza che questo limiti in alcun modo il nostro essere né lo renda passivo, quel qualcosa insomma che Spaemann chiama la struttura finalistica della realtà.

Spaemann sembra però voler evitare che questa sua conclusione sulla costituzione teleologica del mondo nella totalità delle sue forme venga generalizzata al punto da attribuire un valore in sé ad ogni cosa esistente e dedicarle dunque la stessa attenzione che rivolgiamo agli uomini in quanto fini in sé. Ciò nonostante, non ritiene sbagliata una visione di questo tipo, e sente che una sua diffusione potrebbe

142 È bene far presente a questo proposito che l'esaurimento delle risorse naturali non è più un problema che riguarda epoche future a noi lontane, bensì un problema già in atto: secondo le stime del Global Footprint Network, l'associazione che calcola il livello di impatto ecologico dell'uomo sul pianeta, già dal 1986 l'umanità si ritrova ad utilizzare più risorse di quelle messe a disposizione dalla biocapacità del nostro pianeta, ossia dal capitale biologico rinnovabile della natura, attingendo quindi dalle risorse che spetterebbero alle generazioni future. Ogni anno si anticipa di qualche giorno la data di esaurimento di quella quantità di risorse che secondo i calcoli scientifici si può utilizzare annualmente senza incidere seriamente sulla vita del pianeta, la quale, secondo le previsioni delle Nazioni Unite, se non cambia il nostro modo di rapportarci con le fonti di energia naturali, nel 2050 cadrà il primo luglio, esattamente a metà dell'anno, il che significa che “avremo bisogno di un secondo pianeta a disposizione”. (CIANCIULLO A., Da

domani la Terra è in rosso. Le risorse dell'anno esaurite, da “La Repubblica”, 22 settembre 2008.

Per altre informazioni sulle ricerche del Global Footprint Network cfr. il sito web www.footprintnetwork.org).

143 Cfr. SABANGU P.S., Natura, persona e ragione: un'impostazione antropologica, “Ideazione”, IX (2), 2003, pp. 204-209, qui p. 205.

anzi giovare in rapporto alla crisi ecologica attuale, incidendo sulla sensibilità sociale e ambientale delle persone, in modo da insegnare agli uomini ad avere maggior rispetto per gli altri esseri viventi e a tener conto del fatto che tutte le azioni, che tolgono ad un animale o ad una pianta le condizioni che sono loro naturali e in cui essi solo possono essere ciò che sono per natura, “richiedono una giustificazione”144. Sulla misura in cui le azioni dell'uomo debbano essere giustificate e su quali siano i criteri in base ai quali si possa parlare di una buona o cattiva giustificazione, Spaemann però non si pronuncia in maniera esaustiva e lascia la questione della crisi ecologica sotto una luce di accusa generica, come ulteriore minaccia, figlia della civiltà moderna e di un rifiuto radicale di un'interpretazione teleologica dell'uomo e dell'ambiente in cui egli realizza la propria esistenza.

Ritengo interessante ora ricercare nell'analisi di Spaemann le principali critiche concrete che l'autore rivolge al pensiero antitelogico moderno, questa volta su un piano puramente filosofico, più che scientifico o sociale. L'opposizione dell'autore prende le mosse sempre dal programma evoluzionistico – in cui l'antiteleologismo esprime nella maniera più evidente il suo carattere apodittico – per smascherare infine, anche alla base dello stesso, un utilizzo implicito del finalismo, e rivendicare l'esigenza di una nozione fondamentale che la civiltà post-cartesiana sembra aver cancellato: la nozione di vita.

3.2. La critica filosofica di Spaemann all'antiteleologismo evoluzionistico

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 86-92)