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La rinuncia alla certezza

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 36-40)

I. NATURA E INVERSIONE DELLA TELEOLOGIA. LA MINACCIA

1. Il confronto con la scienza moderna tra scientismo e teoria

1.1. Il concetto di sapere classico e moderno e la costante minaccia dello

1.1.1. Spaemann: il conservatore illuminato

1.1.2.3. La rinuncia alla certezza

La terza trasformazione che Spaemann individua nella scienza moderna riguarda infine il rapporto dell'uomo con la certezza del sapere, nonché con l'intera metafisica.

La epistéme greca (ἐπιστήμη) designava, come abbiamo visto, un sapere certo, sicuro, che non poteva assolutamente incorrere in errore, in quanto portatore in se stesso della verità. Tale significato è già oltretutto intuibile dall'etimologia del termine stesso, dal greco epí- (su) e hístamai (stare, porre, stabilire), che indica proprio l'idea di un sapere che “resta fisso” in maniera attiva, cioè che non si lascia abbattere da voci opposte, così come uno scoglio non si lascia sbilanciare dalla potenza delle onde che le si scagliano addosso, o così come un buon nuotatore non si lascia portare indietro da una corrente molto forte, ma la contrasta con pari energia

rimanendo fisso sul posto; di contro le opinioni e le credenze, dόxa, sono il nuotatore debole, le costruzioni con la sabbia, i castelli di carta: finché non incontrano una certa resistenza possono apparire sicure di sé, solide, ben costruite, ma alla prima ondata o colpo di vento si rivelano cedevoli e vengono calpestate e sostituite da nuove convinzioni condannate al medesimo destino.

Nel mondo della scienza moderna, come emerge dall'attenta analisi di Spaemann, la situazione appare totalmente rovesciata: “la scienza europea ha fatto sua piuttosto la concezione degli empiristi. Ha rinunciato alla fondazione metafisica. Ha rinunciato all'ideale della certezza e ha rinunciato all'idea di compiutezza”26. In essa non si ha più a che fare con il sapere vero, nessuno possiede o può raggiungere la verità con la theoría, con la conoscenza del Bene. Il paradigma della ricerca del sapere è l'esperimento. Il metodo è quello empirico, che procede per tentativi, successi o insuccessi. Si lavora con dati iniziali che offrono la base su cui costruire delle ipotesi, le quali non sono altro che opinioni, convinzioni basate sulle conoscenze teoriche, possibili in linea di principio, ma non vere; se le ipotesi vengono confermate dall'esperimento – che ne rappresenta la ricostruzione pratica, ossia l'applicazione delle conoscenze che le fondano alla realtà – esse vengono riconosciute corrette e acquistano maggior fiducia man mano che falliscono i tentativi di falsificarle, altrimenti vengono giudicate sbagliate e sostituite da ipotesi alternative, anch'esse ugualmente da dimostrare.

Come afferma Spaemann in maniera lapidaria, non esiste “alcun sapere assoluto e perciò definitivo”27. Esistono di fatto poche nozioni affidabili e si è consapevoli che le stesse potrebbero un giorno venir falsificate dalla scoperta di nuove informazioni, il che porta ad abbandonare la convinzione che esista una verità incondizionata e ad abituarsi piuttosto all'idea che vi siano invece tante verità relative, ossia dati che si possono definire veri, cioè non negabili o falsificabili, soltanto “per ora e in relazione agli accertamenti finora compiuti”.

1.1.2.3.1. Punti di unione e distacco della scienza moderna con il cartesianesimo

26 SPAEMANN R., Ars longa vita brevis, cit., pag. 255. 27 Ibidem.

Nonostante Spaemann conosca ormai profondamente i caratteri propri della scienza moderna e sembri aver compreso a fondo i suoi cambiamenti costitutivi, individuando con precisione nella storia della filosofia e del sapere le visioni ontologiche da cui questi sono derivati, compare nella sua analisi però anche una peculiarità ulteriore dell'atteggiamento moderno di cui egli appare ancora sorpreso. Mi riferisco all'allontanamento della scienza moderna da Cartesio per quanto riguarda la considerazione del sapere metafisico28.

“Il potere fondamentale della nostra civiltà moderna è la scienza di un certo tipo, la scienza di tipo cartesiano”29, scrive Spaemann, lasciando intendere, qui e in altri luoghi, come una tale concezione del mondo, della natura e della conoscenza umana quale ci si presenta oggi abbia avuto origine dalla distinzione rivoluzionaria di res cogitans e res extensa e si sia sviluppata di conseguenza sulla scia di tale intuizione. La separazione netta tra l'uomo e la natura in qualità rispettivamente di soggetto e oggetto dell'osservazione scientifica corrisponde chiaramente, di fatto, alla considerazione della “sostanza pensante” da un lato, dotata di attività e di libertà di pensiero ed azione, e della “cosa estesa” dall'altro lato, come esteriorità passiva. L'implicazione più grave del suddetto pensiero è la presenza del dualismo non solo nella realtà, ma nell'uomo stesso, la contrapposizione non solo dell'uomo con l'ambiente che lo circonda, ma dell'uomo con se medesimo, della mente pensante con il corpo fisico, della ragione con la materia, da cui nasce quello che per Spaemann rappresenta il problema cruciale della modernità: la dialettica tra spiritualismo e naturalismo.

Dopo la divisione cartesiana di pensiero ed estensione, il modo di concepire la realtà in maniera scientifica ha assimilato a tal punto la concezione dualistica da aver raggiunto almeno apparentemente un punto di non ritorno. Essa sembra non vedere più strade alternative. Perfino le teorie più innovative delle neuroscienze che oggi cercano di riabilitare una visione unitaria di mente e cervello (altro dualismo ricorrente nelle scienze contemporanee), rimangono tuttavia impigliate in una sorta di 'cartesianesimo latente': ogni tentativo di superare una dicotomia viene vanificato

28 Cfr. ivi, p. 254.

da un nostro radicato atteggiamento mentale, spesso inconscio, che ci porta inevitabilmente a pensare i termini che vogliamo riunificare ancora come divisi, e a cercare tuttalpiù di metterli insieme in una unità che li riconsidera al suo interno come due realtà nuovamente separate. A infierire ulteriormente su questa nostra incapacità è inoltre la povertà del linguaggio, che ci costringe a dire espressioni quali “l'unità di mente e cervello” o “la considerazione monista di ragione e natura”, in cui i due termini interessati risultano sì uniti in una unità, ma non sono ancora una unità. Il carattere dunque 'cartesiano' della scienza moderna appare sotto questo punto di vista innegabile.

L'analisi di Spaemann evidenzia tuttavia a questo punto un passo ulteriore che il 'nuovo sapere' compie andando oltre Cartesio: la scienza moderna incanalata nel processo di oggettivazione della natura riscopre a un certo punto l'uomo come parte di quella natura estesa, materiale che si può analizzare scrupolosamente e lo sottopone interamente – anche nella sua parte 'pensante' – allo stesso trattamento oggettivante. È a questo punto, mi sembra, che emerge quell'interpretazione 'scientista' che esagera il potere della scienza a scapito di una visione degenerante e superficiale della realtà e della vita umane: invece che riconoscere la complessità della sfera non-fisica dell'uomo e l'importanza di affidare lo studio di questa alle scienze umane come la filosofia o la teologia, lo scientismo vuole ricondurre, o meglio, 'ridurre' anche il pensiero stesso, la res cogitans, per quanto possibile ad oggetto della fisica, oppure relegarlo nella stanza degli oggetti inutili, lontano da qualsiasi interesse conoscitivo. Da questo passaggio nascono due atteggiamenti filosofici concomitanti che credo si possano definire, almeno nelle loro teorie più radicali, scientisti: da un lato il riduzionismo, che pretende di spiegare qualsiasi cosa in termini di materia e quindi – in filosofia della mente – di considerare la coscienza come epifenomeno o prodotto del cervello, accantonando il delicato problema della coscienza come illusorio30; dall'altro lato l'eliminazione della metafisica e con essa il rifiuto dell'esistenza di un sapere assoluto, definitivo e la volontà di muoversi nell'assenza di certezza31.

30 Cfr. WEGNER D.M., The illusion of conscious will, MIT, Cambridge, London 2002.

31 Il riduzionismo, predicato soprattutto all'interno di correnti di pensiero come il materialismo e l'eliminativismo, presenta di per sé un superamento del dualismo, in cui però invece che

In Cartesio l'interpretazione del compito della scienza è molto diversa: la sua teoria dell'analisi oggettivante della realtà fisica non presuppone mai l'oggettivazione della res cogitans: le due dimensioni di ragione e natura possono sì comunicare tra loro, ma nessuna delle due ingloba in sé l'altra, nonostante il soggetto pensante ricopra una posizione di superiorità nei confronti della materia. La sua rappresentazione della scienza si organizza a struttura d'albero, in cui le radici sono la metafisica, il tronco la fisica, i frutti la meccanica, la medicina e la psicologia32. La metafisica quindi rimane una dimensione essenziale, seppur in una posizione inversa rispetto a quella degli antichi: mentre per il pensiero classico essa rappresentava il vertice degli sforzi teoretici dell'uomo, ora essa è “il mezzo con cui raggiungere in se stessi la certezza e la stabilità che occorre avere nel momento in cui si intraprende l'avventura della scienza”33. Chi ha la capacità di cimentarsi nella ricerca scientifica – che essendo volta alla felicità umana diventa per Cartesio un dovere morale – deve infatti preparare in maniera solida il suo animo, comprendendo quelle idee ontologiche che danno fondamento a tutto ciò che facciamo. L'attenzione da dedicare alle questioni di questo tipo è comunque per Cartesio limitata: ciò che importa è che, una volta apprese, esse non occupino la nostra mente in misura da toglierci il tempo che dobbiamo invece più ragionevolmente dedicare alla scienza.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 36-40)