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Natura e ragione

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 108-111)

I. NATURA E INVERSIONE DELLA TELEOLOGIA. LA MINACCIA

1. Ragione, vita e realtà. La vita cosciente come paradigma dell'essere

1.1. Natura e ragione

1.1.1. I due significati di “naturale”

Quando Spaemann parla di natura razionale dell'uomo, riprendendo la formula già presente nella definizione di Boezio, è consapevole di andare incontro ad un'obiezione comune: natura e ragione non sembrano infatti due termini facilmente conciliabili l'uno con l'altro, ma anzi costituiscono solitamente un antagonismo, che segue la scia della dialettica classica già citata tra phýsis e nόmos.

La ragione rappresenta infatti lo strumento che permette all'uomo di superare la condizione che lo tiene legato alla natura e che lo sottomette alle sue leggi, rendendolo invece conscio di se stesso come fine in sé e della propria libertà. Spaemann però sottolinea che il termine “natura” e l'aggettivo corrispondente “naturale” assumono nella sua riflessione due differenti significati6. Da un lato essi indicano una “nozione genetica, che rimanda ad una determinata relazione d'origine, [dall'altro invece riflettono] una nozione normativa, che indica un criterio di giudizio per tendenze, azioni, situazioni”7. La funzione di ciò che è normativo, è però sempre quella di assomigliare il più possibile alla natura intesa come ciò che è allo stato naturale (naturwüchsig), al punto da sembrare tale e non più ciò che è, cioè di imitarla, di rendersi conforme ad essa (naturgemäß). Quando una nostra azione riesce a non dare l'impressione di essere guidata dal nostro volere, ma di essere spontanea, diciamo allora che è “naturale”. E proprio questo “vivere in armonia con la natura”8, già formulato dagli Stoici, rappresenta per Spaemann il “vivere secondo

6 Cfr. SPAEMANN R., Das Natürliche und das Vernünftige. Aufsätze zur philosophischen

Anthropologie, Piper, München – Zürich 1987, p. 112; Natura e Ragione. Saggi di antropologia,

trad. it. e presentazione L.F. Tuninetti, Edizioni Università della Santa Croce, Roma 2006, p. 95. 7 Ibidem.

ragione”9.

Ora, l'essere conforme alla natura non avviene però esso stesso “per natura”, ma in modo artificiale. Ne segue paradossalmente che un comportamento o un volere riesce ad esprimere ciò che Spaemann definisce “il naturale” (das Natürliche), nel senso normativo del termine, solo là dove esso si distacca totalmente dal “naturale” in senso genetico10. Ciò che Spaemann chiama il “ragionevole” (das Vernünftige) è allora proprio questa naturalità indiretta, questo seguire la natura che però non si produce da sé. Per cercare di imitare la natura bisogna però conoscerla, scoprirla, e l'unica entità che lo può fare è la ragione umana, in quanto è in grado di oltrepassare la propria natura, di uscire da quella recurvatio in seipsum che ci trattiene nella posizione di egocentrismo tipica di ogni essere vivente, e di cogliere l'essere ─ la natura ─ in sé. La ragione allora rende la nostra natura differente da quella di ogni altro essere vivente, perché ci permette, grazie alla sua attività di 'riflessione', di vivere una doppia esperienza: quella prettamente 'naturale' dell'impulso istintivo, e quella 'normativa' della capacità di prendere distanza dall'immediato. Questo inoltre ci porta a comprendere anche tutte le altre nature, dal momento che riusciamo a cogliere in esse, a partire dal nostro agire libero, la spontaneità semplice di tutte le cose. L'uomo dunque, in virtù della ragione, che è in lui 'naturale', cioè costitutiva della sua natura specifica, è in grado di cogliere la realtà della natura in sé e in tutte le sue manifestazioni, e ne è a propria volta la massima rappresentazione. Come scrive Sabangu chiosando Spaemann, “la natura dell'uomo non è solo natura tra altre specie di natura. Essa ha valore di paradigma”11.

1.1.2. Ragione è scoprire la verità della natura

Natura e ragione stanno quindi per Spaemann in un rapporto di interrelazione reciproca, in quanto, mentre la prima è caratterizzata dal suo essere 'ragionevole', la

9 Ibidem. 10 Cfr. ibidem.

11 SABANGU P.S, Persona, natura e ragione. Robert Spaemann e la dialettica del naturalismo e

seconda porta la natura ad essere se stessa, a venir colta nella sua spontaneità, e quindi allo stesso tempo proprio al suo carattere appunto di vernünftig. Per questo motivo ragione significa esattamente in Spaemann “scoprire la verità della natura”12, dove 'scoprire' è espresso in tedesco dalla formula “an-den-Tag Kommen”13: la ragione non è identica alla natura, ma “soltanto ciò che è secondo ragione è il venire alla luce anche della verità su ciò che è secondo natura e questo venire alla luce si trova esso stesso inscritto nelle teleologia della natura”14. La ragione è il télos e la norma interiore della natura e il suo trascendere la natura non è altro in realtà che il suo modo di realizzarla pienamente.

Né ragione né natura possono tuttavia venir ricavata l'una dall'altra: la natura non può infatti provenire dalla ragione perché ha in sé il principio del proprio essere, ma nemmeno la ragione può derivare dalla natura, perché “il lasciar essere l'ente non è qualcosa che possa essere ricavato da quella condizione originaria dell'essere in sé che chiamiamo 'naturale'”15. La ragione presuppone inevitabilmente la natura, perché il suo compito non consiste nel determinare o nel dare l'essere alle cose, ma nel permettere a queste di mostrarlo; in altre parole, essa svela il senso dell'ente, un senso che però l'ente deve già racchiudere in sé. Allora deve già esistere un qualcosa capace di rivelare se stesso, un qualcosa che esiste da sé ed è spontaneità assoluta, inizio del proprio essere, cioè la natura, altrimenti la ragione sarebbe vuota, priva di contenuto. Ciò che viene alla luce non ha alcun rapporto di produzione con la natura, ma esiste nella totale indipendenza da essa, è l'esistenza di qualcosa che è semplicemente altro, a cui non corrisponde alcun mental state nel soggetto che vi si pone di fronte e che per questo non può essere conosciuta in maniera completa. La ragione infatti, lascia nella realtà dell'altro degli spazi vuoti di incomprensione, proprio perché lo coglie come esso è in sé senza fargli violenza.

Solo attraverso questa prospettiva, l'altro si mostra a me come colui che egli è in sé, cioè come l'altro reale, non come ciò che io vedo di lui. In questo senso Spaemann descrive l'essere vero dell'uomo come “l'aldilà del pensiero”16, ossia come

12 Ivi, p. 38.

13 SPAEMANN R., Das Natürliche und das Vernünftige, cit., p. 123. 14 Ibidem; Natura e Ragione, p. 105.

15 Ivi, p. 126; Natura e ragione, p. 107.

ciò che appunto non si lascia penetrare dallo sguardo che rivolgiamo a qualsiasi nostro oggetto di conoscenza, e lo definisce piuttosto – in termini fortemente kantiani – come un'esistenza libera, che emana dalla sua realtà il suo principio di autodeterminazione e un senso di rispetto incondizionato della sua persona, che frena in noi l'intento di strumentalizzarlo per i nostri fini.

Il destarsi della ragione conduce perciò al destarsi della realtà, una realtà che si può scoprire per Spaemann solamente oltrepassando l'atteggiamento puramente teoretico e immergendosi nella dimensione pratica del riconoscimento. Prima di soffermarmi sul passaggio dalla metafisica all'etica vorrei però esaminare qui di seguito il rapporto che la ragione intrattiene con la vita.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 108-111)