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La storia del concetto di persona e la svolta determinante della

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 133-136)

I. NATURA E INVERSIONE DELLA TELEOLOGIA. LA MINACCIA

2. Cosa vuol dire “persona”. La differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”

2.2. Perché nel rapporto con le persone abbiamo a che fare con “qualcuno”

2.2.1. La storia del concetto di persona e la svolta determinante della

cristiana

Per comprendere cosa voglia dire essenzialmente l'essere persona, Spaemann ripercorre il lungo cammino di sviluppo del suo concetto. L'accezione di persona di cui si vuole qui ricercare il significato, allo scopo di contribuire nel dibattito odierno alla discussione su chi è persona e chi, o meglio, 'cosa' non lo è, non è infatti di tipo descrittivo, ma normativo, e come ogni concetto normativo richiede di essere colta alla luce di una storia, che non è “la storia dell'oggetto [del concetto] pensato attraverso il concetto, bensì la storia del concetto stesso”66.

In altre parole, cioè, ricostruendo la storia del concetto di persona, Spaemann non fornisce semplicemente una conoscenza informativa, esplicativa di cosa significhi “persona”, ma cerca di mostrare come il significato che la nozione acquisisce nella storia e che ha tutt'ora è tale da esigere di avere un valore normativo: il risultato del processo di ricostruzione non ci dà solamente la certezza di poter dire chi è persona e perché, ma porta con sé – nel significato stesso del concetto – il dovere di un rispetto assoluto nei confronti di quel modus essendi che il concetto designa. La nozione di persona, quindi, ci conduce in una dimensione che è anteriore alla distinzione tra teoria e pratica e delinea i tratti essenziali di un 'essere' che coinvolge direttamente il nostro agire morale: parlare di “persone” non significa solo sapere chi esse sono e come si caratterizzano, ma significa riconoscere la loro dignità e rispettarle in virtù di essa.

Secondo Spaemann la storia del concetto di persona, per quanto antico, trova il suo momento chiave nel cuore della teologia cristiana, che per prima e unicamente ha riconosciuto l'essere della persona come eccedente rispetto ad un avvenimento

puramente naturale e ha reso la sua nozione definibile67. Con questo egli non vuole dire che il concetto di persona possa essere impiegato oggi solo a partire da un'impostazione teologica, ciò nonostante ritiene ipotizzabile “che la scomparsa della dimensione teologica alla lunga potrebbe implicare anche la scomparsa del concetto di persona”68. Cerchiamo di capire perché.

Nella tradizione greca antica e fino all'epoca imperiale romana il termine persona è stato utilizzato sempre in un'accezione che rimandava al concetto di “ruolo”: come è noto, infatti, la parola latina persona deriva dal greco prόsopon, che indica nella terminologia teatrale la maschera, il personaggio interpretato dall'attore. Già qui Spaemann riconosce un elemento fondamentale presente ancora nel concetto attuale di persona, cioè la dimensione della “non-identità”69: l'attore non è se stesso sul palco, ma il ruolo che interpreta. Rispetto alla concezione attuale, il rapporto tra il se stesso e l'altro da sé è qui però invertito: “persona” non è il soggetto stesso, l'attore come uomo autentico, ma l'altro da sé, il ruolo interpretato, mentre il sé reale, ciò che sorregge il ruolo e ne rende possibile l'interpretazione, è phýsis, natura.

Dal mondo del teatro il significato di persona come ruolo si trasferisce successivamente nella storia alla società: “persona” diventa allora sinonimo di uno

status sociale, nel senso di un ruolo che l'uomo deve interpretare nella società in

quanto non solo animale, ma cives, sottoposto a dei doveri razionali di compostezza e di giusta condotta70. Dal concetto di persona come ruolo nascono inoltre anche i tre ruoli grammaticali della prima, seconda e terza persona, coniati dalla filologia alessandrina e infine, nella giurisprudenza romana, il concetto di status particolare, relativo sia all'uomo libero nei confronti degli schiavi, sia all'uomo nei confronti di ogni altra entità. In questa seconda accezione incontriamo per la prima volta un'equiparazione di persona e uomo, giustificata dalla considerazione dell'uomo non come semplice esemplare di una specie, ma come titolare di uno status giuridico, dietro al quale sta sempre, come presupposto ineliminabile, la natura umana: anche lo schiavo è detto persona rispetto alle cose, solo che invece di possedere un diritto

67 Cfr. ivi, p. 27; Persone, p. 20. 68 Ibidem.

69 Ivi, p. 31; Persone, p. 24.

70 Spaemann ricorda a questo proposito che “gli stoici hanno paragonato la giusta condotta di vita con una buona interpretazione di un ruolo teatrale”. Ibidem.

proprio, è alieno juri subiecto71.

La vera inversione di rotta che porta il concetto di persona a indicare non un ruolo rispetto alla propria natura, ma al contrario proprio quell'essere che prende distanza dalla propria natura come da un ruolo, si ha quindi per Spaemann solo nella dottrina cristiana dei primi secoli, e nasce come soluzione del paradosso neotestamentario della Trinità72.

Nel Prologo del suo Vangelo Giovanni chiama il Logos, incarnatosi in Gesù, direttamente “Dio” e compaiono quindi le prime due entità che si affermano, al di là della relazione tra Padre e Figlio, come una sola. Il Nuovo Testamento parla inoltre dello Spirito di Dio, il Pneuma, che si è effuso sugli uomini attraverso Cristo, aggiungendo alle difficoltà dei teologi un'ulteriore differenza, che deve in qualche modo essere ricondotta all'unicità divina per salvaguardare la forza del monoteismo giudaico-cristiano. La Scrittura viene allora interpretata alla luce della teoria neoplatonica dell'Uno di Plotino, che permette di pensare Logos e Pneuma come due emanazioni 'automediative' dell'Uno, in cui l'Uno resta pienamente in sé. La differenza delle tre 'ipostasi' (come le chiamarono in maniera astratta i teologi greci) rimane allora puramente numerica, non spaziale, e il concetto che può distinguere numericamente un essere, mantenendo tuttavia la sua unicità è proprio il concetto grammaticale di prima, seconda e terza persona, a cui ho sopra accennato: “può essere lo stesso uomo del quale si parla una volta in prima persona [quis loquitur?], un'altra in seconda [ad quem loquitur?] o terza persona [de quo loquitur?]”73.

Il concetto di persona nella Trinità implica una duplice conseguenza fondamentale per le riflessioni di Spaemann sull'essere della persona: l'essere di Padre, Figlio e Spirito si presenta infatti come la prote oủsía di Aristotele, ossia come una sostanza individuale, unica, concreta74, che si realizza in tre persone, le quali trovano la propria realtà (la propria differenza dalle altre) precisamente nel prendere

71 Nelle Institutiones del giurista romano Gaio (II sec. d.C.), unica opera della giurisprudenza romana classica ad esserci pervenuta interamente in maniera diretta, non alterata da compilazioni successive, si legge la differenza tra cittadini liberi e schiavi nei termini rispettivi di persone “di diritto proprio” (personae sui juris) e persone “soggette al diritto altrui” (personae alieno juri

subiectae). GAIUS, Le istituzioni di Gaio I, 48, a cura di M. Balzarini, Giappichelli, Torino 1998,

p. 38.

72 SPAEMANN R., Personen, cit., p. 23; Persone, cit., p. 25. 73 Ivi, p. 35; Persone, p. 28.

distanza dal loro essere-così. Da ciò deriva da un lato l'intrinseca pluralità della persona, che così intesa può essere compresa solo in relazione con altre, e dall'altro, il fatto che la persona, potendosi differenziare dalla propria essenza, dalla propria natura, non sia questa natura, ma vi si rapporti nella forma − su cui insiste più volte Spaemann − del “possedere-questa-natura”75.

A chi obietta che definire le ipostasi della Trinità tramite il concetto di persona sia un antropomorfismo, Spaemann risponde quindi, introducendo un'argomentazione interessante, che è vero piuttosto il contrario: la nozione di persona non è una proiezione dell'uomo in Dio, bensì una proiezione della realtà di Dio nell'uomo; “essa si è sviluppata dapprima nel contesto teologico, e solo in seguito è stata trasferita all'uomo”76. Non è quindi l'uomo a forgiare l'idea di Dio come “persona” sulla base delle caratteristiche della propria specie, ma al contrario egli assume per sé il concetto teologico di “persona”, riferendo a se stesso un modo di essere di cui la figura di Gesù Cristo rappresenta la prima e maggiore esemplificazione.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 133-136)