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L'autotrascendenza in senso teleologico come unica fuoriuscita dal

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 63-66)

I. NATURA E INVERSIONE DELLA TELEOLOGIA. LA MINACCIA

2. Uomo e natura

2.1. Natura e natura umana

2.1.4. L'autotrascendenza in senso teleologico come unica fuoriuscita dal

filosofici più importanti del pensiero di Spaemann, in quanto rappresenta per così dire un'equazione concettuale fondamentale, risolta la quale apparirà chiaro ai nostri occhi l'intera struttura ontologica dell'autore e la peculiare non-divisibilità di questa dall'ambito etico.

Per Spaemann l'idea che l'uomo trascende se stesso è sufficiente da sola per eliminare la possibilità di qualsiasi riduzionismo naturalistico: per la natura intesa in senso scientifico ogni organismo costituisce il centro del proprio mondo, cioè si rapporta con l'ambiente che lo circonda come il soggetto con il proprio oggetto. Ogni essere vivente è soggetto agente in uno spazio che è teatro del suo agire, in cui dunque ogni cosa ha un significato non in sé, ma in quanto è per lui, cioè esiste nella forma e nella modalità in cui lui la vede, la percepisce, la considera; ogni ente della realtà però ha a sua volta un essere in sé, che costituisce il suo essere reale, di contro a ciò che il suo osservatore vede di lui, che è invece solo il suo essere apparente84. L'essere vero non è perciò in alcun modo raggiungibile tramite il solo rapporto conoscitivo del soggetto con l'oggetto, e così l'uomo in quanto uomo non può essere conosciuto nella sua essenza da alcuno studio antropologico, perché in ogni caso verrebbe reso oggetto di un'osservazione altrui.

L'unico modo per conoscere l'altro davvero in quanto altro, cioè in quanto 'in sé' e non nel significato che egli ha 'per me' che lo osservo, è allora per Spaemann abbandonare la propria prospettiva naturale di soggetto al centro del proprio ambiente e riconoscere l'altro come soggetto di un suo proprio ambiente, in cui io vengo ricompreso in un ruolo passivo; bisogna dunque percepire l'altro come centro e me stesso come sua controparte. Superare l'unidirezionalità della propria posizione

83 SPAEMANN R., Das Natürliche und das Vernünftige, cit., p. 30; Natura e ragione, cit., p. 33. 84 Cfr. SPAEMANN R., Personen, cit., pp. 75-76; Persone, cit., pp. 65-66.

eccentrica nel mondo, però, significa inevitabilmente superare se stessi in quanto esseri naturali, andare al di là della propria natura e raggiungere quell'ambito in cui la realtà dell'altro si può mostrare in maniera incondizionata, per come è in sé, cioè al di là del mio percepirla85. Quello che mi sembra importante nella riflessione di Spaemann, è la sua costante puntualizzazione del fatto che l'uscita della natura umana da se stessa, il suo autotrascendersi per arrivare a qualcosa che è altro da sé, e quindi il diventare ciò che essa non è, è sorprendentemente proprio la caratterizzazione “che definisce la natura umana in quanto umana. Essa viene cioè definita attraverso qualcosa che essa stessa non è, attraverso un'anticipazione”86 – ossia l'anticipazione del proprio superamento – e solo la presenza costitutiva in lei di questa anticipazione permette di concepire in maniera non contraddittoria l'uomo come essere naturale e allo stesso tempo come essere spirituale che tende liberamente all'Assoluto.

Quest'altra affermazione di Spaemann mi pare inoltre degna di attenzione e particolarmente interessante dal punto di vista anche delle ideologie che si sono talvolta costruite nel corso della storia del pensiero umano a partire dall'idea di autotrascendenza. Il tema dell'anticipazione e del superamento da parte dell'uomo di se stesso è stato infatti oggetto, per esempio, anche di una visione non necessariamente metafisica, ma al contrario cosmologica o sociologica, come nel caso delle teorie di Nietzsche o di Marx, che in modi diversi postulano l'autoaffermazione di un “uomo nuovo” come realizzazione ultima e culminante dello sviluppo storico dell'umanità. In questa prospettiva l'uomo del presente o del passato viene visto solo come uno stadio intermedio, ma necessario per il raggiungimento del fine ultimo, della nascita di un 'superuomo' (nel caso di Nietzsche) o dell'uomo come 'essere generico' (per Marx), ossia di “un essere futuro che non è più paragonabile con quell'essere che noi conosciamo come uomo”87. Agli

85 Cfr. SPAEMANN R., Das Natürliche und das Vernünftige, cit., p. 34; Natura e ragione, cit., p. 36. 86 Ibidem.

87 Ivi, p. 35; Natura e ragione, p. 37. Nietzsche infatti scrive: “L'uomo deve essere superato. (...) L'uomo è una corda tesa tra la bestia e il superuomo, una corda sull'abisso” (NIETZSCHE F., Così

parlò Zarathustra I, 3-4, in Opere di Friedrich Nietzsche, 8 voll., a cura di G. Colli e M.

Montinari, Adelphi, Milano 1968, vol. 6, pp. 6 e 8). Proprio per non perdere il significato di un “superamento” e non solo di una trasformazione dell'uomo con l'avvento del superuomo, alcuni autori, tra cui per esempio Vattimo, preferiscono tradurre il termine tedesco “Übermensch” con “oltreuomo”, perché mentre la nozione di “superuomo” evoca più che altro l'impressione di un

occhi di Spaemann questa interpretazione viaggia però su un binario utopistico che non coglie la realtà immanente della trascendenza umana, insita nella spiegazione teologica. Ragionando così Nietzsche e Marx, infatti, secondo Spaemann, fanno dell'uomo un mezzo presente per il raggiungimento di un fine che si avvererà solo in futuro e che non sarà l'uomo stesso. Per realizzare pienamente l'uomo, perciò, oltre a prospettarlo in una dimensione temporale ancora da venire, e quindi potenzialmente lontana, essi rischiano di perderlo.

La concezione che sostiene invece Spaemann, sulla scia di San Tommaso, vede nell'uomo hic et nunc la realizzazione di se stesso; la sua partecipazione dell'Assoluto è cioè in lui immanente, non postulata nel futuro, nella misura in cui egli non è nei confronti del fine ultimo un puro mezzo, bensì la sua immagine, la sua “manifestazione” (Repräsentation)88. Il rapporto dell'uomo con l'Assoluto è quindi indipendente dal suo sviluppo storico e questo fa sì che gli uomini del nostro tempo non abbiano alcun vantaggio né alcun grado maggiore di perfettibilità nei confronti degli uomini del passato, ma tutte le epoche dell'umanità stiano in un rapporto immediato con ciò che è perfetto.

Dal concetto di uomo come manifestazione dell'Assoluto Spaemann desume infine la sua conclusione al problema del dualismo antropologico. Nella categoria della manifestazione l'uomo supera infatti secondo lui sia la sua autorappresentazione in termini di mezzo per il raggiungimento di un fine futuro, sia la nozione di “immagine dell'uomo”, che può risultare riduttiva e arbitraria nel momento in cui essa viene associata a caratteristiche o standard a cui l'uomo deve in un certo senso apparire conforme. “Nessuna antropologia ci può insegnare come noi dovremmo essere”89.

Le due prospettive – naturalistica e metafisica – attraverso cui l'uomo può essere considerato non possono assolutamente venir ricondotte l'una nell'altra in un nuovo monismo gnoseologico, perché, nel primo caso si avrebbe solo qualcosa che è 'meno' di un uomo (l'aspetto puramente biologico, fisiologico), mentre nel secondo si

rafforzamento dell'uomo, di un potenziamento della sua soggettività nelle forme dell'autocoscienza, dell'autodominio ecc., la parola “oltreuomo”esprime in maniera più fedele al pensiero di Nietzsche l'evento di un oltrepassamento metafisico dell'uomo.

88 Ibidem.

avrebbe soltanto qualcosa che è 'più' dell'uomo (la dimensione divina, assoluta). L'unica soluzione che ci permette di dar merito in maniera completa sia all'una che all'altra può consistere allora solo nel considerare “questo 'più' [ossia il carattere incondizionato della trascendenza] come il destino verso cui l'uomo è diretto e al tempo stesso come l'origine da cui la natura proviene”90. La comprensione di ciò è possibile soltanto riconoscendo la costituzione teleologica della natura.

2.2. La nozione di dignità umana

L'interpretazione offertaci da Spaemann della concezione teleologica della natura umana a favore di una visione completa dell'essere umano come coesistenza non contraddittoria di entrambe le sue dimensioni naturale e metafisica, rappresenta anche un argomento a difesa della sua nozione di dignità umana.

Il fatto che l'uomo sia manifestazione dell'Assoluto, dove per “manifestazione” Spaemann non intende una forma di rappresentazione esteriore e vuota, ma una partecipazione attiva del carattere incondizionato dell'Assoluto, che attraverso l'uomo e nell'uomo si mostra in maniera concreta, implica la considerazione dell'uomo stesso come fine ultimo e preserva la sua dignità da qualsiasi forma di funzionalizzazione.

La dignità dell'uomo si fonda infatti sul carattere dell'uomo come “persona”; la tesi di Spaemann è però che il carattere di “persona” è proprio ciò che si manifesta appunto grazie alla lettura teleologica della natura umana, cioè nella forma della autotrascendenza e che quindi esso appartiene a tutti gli uomini, così come è proprio di tutti gli uomini l'avere un rapporto immediato e autonomo con l'Assoluto. Di conseguenza la considerazione di un uomo come persona è indipendente dalle considerazioni esterne e non è nel diritto di nessun uomo giudicare se un altro uomo possieda o meno i requisiti fondamentali della personalità. Perciò se da un lato i diritti umani spettano specificatamente all'uomo in quanto persona, nel senso che vengono affermati e difesi in virtù della dimensione di incondizionatezza della natura umana, dall'altro essi non autorizzano nessuno a distinguere nella comunità degli

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