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La minaccia moderna alla dignità umana

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 80-85)

I. NATURA E INVERSIONE DELLA TELEOLOGIA. LA MINACCIA

2. Uomo e natura

2.3. La minaccia moderna alla dignità umana

La motivazione che spinge Spaemann a riflettere profondamente sulla dignità umana sgorga dalla tesi secondo cui la dignità risulta minacciata nella e dalla civiltà moderna più che in qualunque altra epoca storica. Questo parere può oggettivamente apparire difficile da condividere, se pensiamo alle immagini di violenza e di misconoscimento della dignità umana delle epoche del passato. Nelle civiltà più antiche interi popoli o razze sono stati ignorati nella loro dignità, basti pensare all'intera storia della schiavitù, alle stragi di nativi dei nuovi paesi conquistati nei programmi di espansione degli stati europei dalla scoperta dell'America alla nascita delle colonie in Africa e in Asia, per non parlare della pratica della tortura, considerata con le sue varie tecniche alla stregua di un'arte, di cui molti musei oggi ci portano testimonianza. Al contrario di allora, ci verrebbe da dire, la nostra civiltà prende la questione della dignità umana in grande considerazione: essa istituzionalizza il suo rispetto e la sua difesa con la definizione dei diritti umani, lavora attivamente tramite organi nazionali e internazionali perché sia riconosciuto

ad ogni uomo un minimo di dignità, lotta contro ogni tipo di discriminazione per un

principio di uguaglianza che in altre epoche e culture gli strati più alti della società non avrebbero accettato. Come può allora Spaemann esporre con convinzione

un'affermazione così dura? Cosa intende per “minaccia alla dignità”?

Spaemann non ignora né rifiuta le testimonianze storiche dei tanti episodi che hanno macchiato di inciviltà e di mancanza di dignità la storia umana, ma, alla luce di un'attenta analisi socio-antropologica sulla società moderna, afferma che, paradossalmente, proprio quella stessa civiltà che da un lato rivendica l'universalità della dignità umana, dall'altro è già scivolata in una corrente che tende a distruggerne totalmente l'idea123. Questa corrente non è altro che il modo moderno di fare scienza, ossia l'atteggiamento cartesiano dell'uomo nei confronti del mondo. Siamo così dunque ritornati al problema della scienza moderna, o meglio, al problema dell'atteggiamento scientista che in essa ha origine, e possiamo ora forse comprenderne meglio le critiche alla luce di ciò che abbiamo imparato sulla nozione di natura e dignità umana.

2.3.1. L'attacco alla dignità da parte della civiltà odierna

Il processo scientista di oggettivazione della natura e in un secondo momento anche dell'uomo, non solo non può essere compatibile con l'idea della dignità umana, ma, secondo Spaemann, vede questa addirittura come un fattore controproducente: se l'unico fine della scienza è quello di ottimizzare e massimizzare matematicamente il benessere soggettivo, l'idea che ci sia una realtà che la lega profondamente, ontologicamente, agli oggetti che essa stessa manipola non può che apparirle un ostacolo. La scienza moderna non riesce infatti a confrontarsi con la sfera della moralità come dimensione comune dell'uomo; essa di fatto non ha una moralità, e quando riesce a fare anche della moralità personale del singolo scienziato un suo oggetto di analisi, mostra di essersi completamente emancipata da “quello che è l'elemento comune dell'umanità e che è la condizione per cui può esserci quel qualcosa che chiamiamo dignità”124.

123 Cfr. ivi, p.101; Natura e ragione, p. 87.

124 Ivi, p.103; Natura e ragione, p. 88. È proprio questo concetto che secondo Spaemann viene espresso nella maniera più efficace da C.S.Lewis nella sua raccolta di conferenze intitolata ”The abolition of man” del 1943. Il concetto di “emancipazione”, come quel 'finto progresso' che allontana l'uomo moderno da ciò che in realtà costituisce il senso più profondo del suo stesso

All'interno delle pratiche innovative di manipolazione della vita che occupano l'orizzonte della scienza e del progresso bio-tecnologico odierno, Spaemann riconosce come esempio particolarmente lesivo della dignità umana le tecniche di riproduzione in vitro dell'uomo. Tale ambito di intervento appartiene infatti secondo lui alla sfera di quelle azioni che “sono sempre inconciliabili con la dignità umana – perché sottopongono l'uomo ad un tipo di trattamento che non è eticamente giustificabile nemmeno sotto l'eventuale consenso dell'interessato – e perciò non possono essere mai prese in considerazione come una delle opzioni da valutare in un esame comparativo dei beni in gioco”125. Nonostante Spaemann nomini all'interno di questa sfera anche pratiche come la tortura e l'esibizione sessuale, indicando nel corpo, nella parola (intesa come promessa fatta alla propria coscienza) e nella sessualità i tre aspetti dell'uomo, che, se strumentalizzati, lo degradano126, le riflessioni relative alla questione della riproduzione in vitro mi sembrano in questa sede di maggior interesse, in quanto si riferiscono ad una tematica bioetica apparentemente meno scottante e che anzi – anche a detta dello stesso Spaemann – è stata ormai generalmente approvata dall'opinione pubblica e statale.

L'argomentazione prevalente contro tale tecnica potrebbe valere in realtà in generale per tutte le modalità di intervento sulla vita umana, che fanno dipendere il suo inizio e la sua fine dall'operare tecnico dell'uomo: Spaemann ci ricorda che la persona non possiede soltanto una forma spaziale, ma anche una forma temporale, e che come tale debba essere rispettato il suo venire al mondo e il suo andarsene come parte del suo “essere per natura”. Proprio tale forma temporale dell'uomo implica per Spaemann che l'inizio della vita di una persona non sia “un'opera delle mani dell'uomo guidata da una considerazione di carattere tecnico, ma accada nella circostanza di un atto umano che non ha immediatamente lo scopo di produrre

un'opera”127. Questo è l'unico modo secondo Spaemann che permette all'uomo di

essere, rappresenta un altro tema caro a Spaemann, esplicitato in maniera più approfondita nel saggio Emanzipation – ein Bildungsziel?, apparso per la prima volta nella rivista “Merkur” nel 1975 (nr. XXIX (320), pp. 11-24) e ripubblicato poi in due raccolte di saggi di Spaemann: Zur

Kritik der politischen Utopie. Zehn Kapitel politischer Philosophie, Klett, Stuttgart 1977, pp.

142-157 e Grenzen. Zur ethischen Dimension des Handelns, Klett-Cotta, Stuttgart 2001, pp. 476-489. 125 Ivi, p. 99; Natura e ragione, p. 85.

126 Cfr. SPAEMANN R., Gut und böse, relativ? Über die Allgemeingültigkeit sittlicher Normen, IBK, Freiburg/Br. 1979, pp. 11-13.

trovare una buona giustificazione alla propria esistenza, di giungere alla vita per diritto proprio, come creatura di Dio o della natura, e non puramente come prodotto fisico dei suoi genitori. Anche a costo di andare contro l'approvazione di molti, tra cui alcuni ecclesiastici interessati alla presenza del vincolo coniugale più che al modo in cui un bambino venga concepito, Spaemann afferma che un uomo generato da un rapporto extraconiugale è per lui certamente più degno di uno “preparato” in provetta.

La preoccupazione di Spaemann risiede dunque nel pericolo di una progressiva perdita dell'aspetto più naturale dell'uomo in riferimento al suo modo di venire al mondo, ossia di un suo distacco dalla dimensione vitale in cui solo si riconosce ed è riconosciuto come se stesso e parte di una natura che lo accoglie e in cui si dispiega spontaneamente ogni fase della sua esistenza.

2.3.2. Prospettive moderne sulla scomparsa della persona

Al fine di supportare le sue sensazioni negative sul presente e sul futuro della dignità umana sotto i presupposti appena accennati dell'atteggiamento scientifico moderno, Spaemann porta l'esempio di due circostanze attraverso le quali si può forse capire cosa stiamo rischiando di perdere nella nostra civiltà.

Il primo esempio è tratto dalla vita quotidiana e riguarda la trasformazione del lavoro dopo la Rivoluzione Industriale: l'attività dell'operaio nella catena di montaggio che viene suddivisa in semplici gesti ripetitivi risulta effettivamente meno faticosa dal punto di vista fisico, e quindi apparentemente preferibile. Dal punto di vista concettuale però essa diviene in sé priva di senso: un gesto elementare, ripetuto ritmicamente ad intervalli regolari, diventa solo un movimento meccanico che il soggetto automatizza perdendo di vista quello che è il prodotto finale della catena, cioè quello che è il senso completo del suo lavoro e delle sue azioni, e si svuota interiormente128. Lo stesso processo in linea di principio è riscontrabile per esempio, per Spaemann, in un parallelismo originale, in riferimento al lavoro degli astronauti:

(corsivo A.F.).

al fine di realizzare un potere collettivo di emancipazione dell'uomo dalle sue condizioni naturali, essi perdono secondo Spaemann quella che è la loro dignità di essere umano, la quale resta legata invece alla dimensione della singola persona, e che appartiene loro in virtù del vivere “secondo natura”, dove per “natura” viene inteso anche materialmente la nicchia ecologica in cui soltanto la vita umana può nascere e svilupparsi.

Il secondo esempio è invece di carattere utopistico e consiste per così dire in un esperimento mentale che esagera l'atteggiamento scientista fino alle sue estreme conseguenze; Spaemann immagina qui un mondo in cui gli uomini sono “prodotti” in provetta e manipolati nella loro esistenza da un gruppo di scienziati, che tagliano loro le teste e le collegano a dei cavi, attraverso cui essi ricevono impulsi che producono nei loro cervelli stati alternati di euforia e sofferenza129. In una tale situazione il concetto di dignità umana ha perso ogni senso, sia nei confronti degli uomini-cervelli, sia in quello degli scienziati: i primi infatti non possono dispiacersi del fatto che la loro dignità non sia rispettata, non potendo accorgersi che essa non lo è, mentre i secondi, che appaiono gli unici “uomini” rimasti nel senso comune della parola, vi sono parimenti indifferenti grazie a quella loro “emancipazione” che li allontana comunque dalla profondità ontologica della loro propria natura.

Spaemann non crede davvero che una situazione del genere si possa realizzare ed è consapevole di come in realtà un'attività di controllo etico del progresso scientifico si sia già sviluppata e cresca di pari grado con l'aumentare della minaccia. Il pericolo da cui Spaemann vuole metterci in guardia è però la possibilità che anche l'éthos, nel momento in cui viene preso in considerazione, venga inglobato dalla scienza e trasformato esso stesso in oggetto di studio, per esempio della psicologia sociale130.

La soluzione è allora quella di erigere dei confini invalicabili oltre i quali la scienza assolutamente non può andare, e questi confini sono quelli dell'etica, dell'ontologia metafisica e della filosofia dell'Assoluto, che possono mantenersi tali solo se non vengono relativizzati e che devono quindi, per Spaemann, essere tutelati anche da una codificazione giuridica, perché solo nell'incondizionatezza della loro

129 Cfr. ibidem.

forma più propria rappresentano il luogo dove l'umanità può ricomprendere se stessa.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 80-85)