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Il paradigma benevolente del soccorso

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 186-189)

III. L'ESSERE COME PROBLEMA PRATICO: BENEVOLENZA,

1. L'amore come amor benevolentiae e l'etica della riuscita della vita

1.1. Benevolenza come riconoscimento della realtà dell'altro e promozione del

1.1.4. Il paradigma benevolente del soccorso

visione della realtà per se stessa. Egli appartiene comunque all'umanità e occupa il suo posto relazionale insieme alle altre persone, perché, anche se non le incontra concretamente, egli possiede una relazionalità potenziale, così come una moralità potenziale che sono sempre pronte ad attuarsi al momento del verificarsi di un eventuale rapporto umano.

Volendo fornire un sostegno nell'organizzazione dei problemi concreti della società, Spaemann non tratta tuttavia approfonditamente di tali situazioni eccezionali, ma tiene piuttosto lo sguardo fisso sulle vicende più vicine a noi e alla nostra esperienza quotidiana di vita, che è sempre una vita in mezzo agli altri, la vita di persone che hanno a che fare con le persone e che “sono persone l'una per l'altra”41.

1.1.4. Il paradigma benevolente del soccorso

Paradigma di un'azione benevolente è qualunque azione con la quale veniamo in soccorso a una vita umana che ha bisogno di aiuto42.

Con questa espressione Spaemann sottolinea due aspetti inerenti alla sua concezione di benevolenza. In primo luogo rimarca il fatto che l'apertura alla realtà dell'altro, il lasciar-essere l'altro, sebbene sia di fatto un'accoglienza 'disinteressata' non coincida per questo con un atteggiamento di disinteresse per l'altro o di indifferenza nei confronti della sua realtà e della sua condizione. Il termine “disinteressato” si riferisce alla mancanza nello sguardo benevolente dell'uomo di un interesse privato, che cataloghi l'altro solo come oggetto del proprio ambiente e lo funzionalizzi alle proprie esigenze, ostacolando il suo mostrarsi. Tuttavia esiste nell'uomo un'altra forma di interesse, non autocentrata, bensì proiettata verso l'altro, che ci spinge, pur senza la promessa di un nostro vantaggio a promuovere il bene della persona che ci sta di fronte, in quanto manifestazione dell'Assoluto e vita cosciente caratterizzata da un suo “tendere-a”, da una struttura teleologica che chiede

41 Ivi, p. 144; Persone, p. 129.

di essere assecondata.

In secondo luogo pertanto, il paradigma del “venire in soccorso” evidenzia l'importanza di un'etica dell'azione e non semplicemente dell'omissione, per la quale ci atterremmo sterilmente a non perseguire quegli scopi che ci allontanano dalla considerazione degli altri, senza tuttavia prenderci cura allo stesso tempo di loro. Proprio la struttura teleologica dell'uomo, infatti, esprime lo stato di indigenza della sua vita, il fatto che quel qualcosa verso cui tende ancora gli manca, in quanto altrimenti non avrebbe motivo di inseguirlo. La vita dell'uomo è caratterizzata dunque dall'essere sempre in gioco, dal perseguimento fiducioso della propria riuscita, della realizzazione del proprio télos, che però non è scontata, ma anzi continuamente minacciata dalla possibilità di un fallimento. “Per questo benevolenza significa soprattutto venire in aiuto alla vita minacciata − spiega Spaemann, e subito aggiunge − omettere ciò che nuoce è soltanto una modalità, anche se come vedremo molto specifica, di aiuto”43.

Ma che cos'è che caratterizza in modo peculiare la disponibilità all'aiuto? Si può parlare del “venire in soccorso” anche nei confronti di se stessi, nell'atto di benevolenza con cui ci apriamo alla nostra stessa realtà? Possiamo auto-aiutarci? Spaemann non sembra molto convinto riguardo a tale possibilità. L'elemento fondamentale del soccorso consiste infatti secondo lui nel suo carattere indiretto: l'azione di sostegno, di accompagnamento assistenziale e ausiliare non può in alcun modo sostituire l'azione dell'assistito nell'esercizio della propria vita, ma solamente assecondarlo in tale esercizio e renderlo possibile. Aiutare l'altro non significa prendere il suo posto nello svolgimento della sua esistenza, reggere le redini della sua vita al posto suo, bensì permettergli di trovare gli strumenti per autogestirsi, mantenendo sempre una certa distanza tra quella che è la sua esperienza autonoma e quella che invece è la mia idea personale sul modo in cui egli dovrebbe agire. Se una persona si scontra con una difficoltà personale che non riesce a superare, io non potrò mai risolvere il problema al posto suo, ma potrò invece consigliarla sulla via da seguire per affrontarlo e mettere a sua disposizione le mie conoscenze o le mie facoltà perché lei vi possa attingere in modo da trovare poi da sé una soluzione

accettabile.

Per quanto riguarda l'aiuto nei confronti di se stessi, c'è da dire che il singolo vive già la propria vita, quindi risulta difficile parlare di un'azione di 'affiancamento' a se stesso, simile a quella che egli può rivolgere ad un altro. Tuttavia, secondo Spaemann esiste comunque un'accezione per cui possiamo parlare di aiuto verso noi stessi, ossia pensando a quella distanza da sé che ci caratterizza come persone: l'atteggiamento di 'assistenza' nei nostri confronti si esprime infatti proprio nella forma della riflessione, in cui noi “ci guardiamo vivere” e vediamo noi stessi alle prese con il puro perseguimento dei nostri fini istintuali, che ci tiene racchiusi in una prospettiva limitata, da cui spesso cogliamo solo l'aspetto più superficiale dei nostri problemi e non la loro radice. Ecco allora che soltanto là dove “ci accorgiamo di noi stessi come di esseri viventi e razionali, possiamo venire in aiuto al nostro vero volere e cominciare a trattarci responsabilmente”44, formulando in maniera più ragionata e meno impulsiva delle vie di risoluzione soddisfacenti e adeguate al perseguimento del nostro fine ultimo.

Nell'analisi di Spaemann l'aiuto, sia nei confronti degli altri che di noi stessi, non è tuttavia descrivibile né come “una spontanea manifestazione di vita né [come] una poiesis, un fare, un'attività creatrice”45. Esso corrisponde piuttosto alla categoria specifica del comportamento morale, ossia è ciò che esprime propriamente l'amor

benevolentiae. Ogni agire morale è infatti contrassegnato in maniera peculiare dalla

presupposizione di una struttura teleologica insita nei destinatari dell'atto di soccorso: chi vogliamo aiutare è sempre qualcuno che rivela di avere in sé una certa tendenza, la quale necessita del nostro aiuto e ne viene favorita. Inoltre l'azione dell'aiuto rappresenta una modifica rispetto allo svolgimento spontaneo della vita o alla produzione artistica, in quanto non perde mai di vista il fine ultimo, ma mantiene al contrario sempre un legame desto con la realtà, costituendo un sostegno costante per il soggetto nel perseguimento di ciò che risponde al suo volere autentico.

La ricerca del volere vero è fondamentale già nel pensiero di Platone, che identifica il male con l'ignoranza e con l'illusione dell'uomo di credere che gli oggetti immediati dell'istinto siano il suo vero bene. Per questo secondo Spaemann

44 Ibidem. 45 Ibidem.

“l'istruzione è una delle forme più importanti di 'aiuto alla vita'”46, perché ci insegna a tener d'occhio ciò che invece sotto il condizionamento dell'istinto tendiamo a dimenticare. Il vero bene, la vera felicità consistono infatti nell'incontro con la realtà in sé, non con l'appagamento dei nostri impulsi, che ci incatena invece ad una sequenza infinita di bisogni, l'impossibilità di soddisfare pienamente i quali – unita alla percezione di una nostra natura superiore − ci condanna ad un senso di adeguatezza naturale all'ambiente in cui viviamo.

La nostra finalità interiore ha quindi il carattere dell'anticipazione, dato che noi già siamo quella realtà incondizionata a cui tendiamo, ma vi giungiamo (cioè giungiamo a noi stessi) solo grazie all'aiuto. Secondo Spaemann solamente chi viene aiutato da qualcuno impara ad aiutare se stesso e in questo modo accede a “quella relazione indiretta con sé che è costitutiva di ogni razionalità non puramente strumentale, cioè della prassi morale”47.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 186-189)