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L'essere come essere-sé

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 156-160)

I. NATURA E INVERSIONE DELLA TELEOLOGIA. LA MINACCIA

3. L'essere come essere-sé: l'anello di congiunzione di metafisica ed etica

3.1. L'essere come essere-sé

125 SABANGU P.S., Natura, persona e ragione: un'impostazione antropologica, cit., p. 205. 126 SPAEMANN R., Glück und Wohlwollen, cit., p. 11; Felicità e benevolenza, cit., p. 7. 127 TUNINETTI L.F., Presentazione, in SPAEMANN R., Natura e ragione, cit., p. 10.

3.1.1. Il realismo metafisico

La comprensione dell'essere come Selbstsein rappresenta un momento fondamentale per l'interpretazione spaemanniana dell'essere persona (Personsein). “L’essere-sé significa avere un’identità che si dispiega secondo natura, anche se ciò indica allo stesso tempo la possibilità di un non compimento del processo che segue quella dinamica naturale”128. “Essere-sé”, dunque, è quel nostro modo di essere che si sviluppa spontaneamente seguendo le disposizioni genetiche naturalmente inscritte nella costituzione della nostra specie di appartenenza. In virtù di tale spontaneità, esso risulta in ogni singolo individuo differente e può in alcuni casi anche mancare la formazione di determinate capacità 'tipiche' della specie, o formarle in gradi insufficienti; ciò nonostante rimane tuttavia proprio di quell'io che lo vive in prima persona, il quale appartiene alla sua natura in maniera aprioristica e incondizionata.

In secondo luogo “essere-sé” significa essere un vivente reale, non fittizio. In quanto identità numerica e non qualitativa, esso non può in alcun modo essere simulato, ma corrisponde ad un'entità concreta. Nel momento in cui conosciamo, o meglio, esperiamo l'essere-se-stesso, ossia l'altro nella trascendenza, comprendiamo per la prima volta che non esiste solo il nostro mondo, cui l'altro appartiene, ma anche il mondo dell'altro, cui apparteniamo noi, e la consapevolezza da entrambe le parti di questa relatività rende il nostro incontro un rapporto reciproco. Ogni 'io' si relaziona infatti all'altra persona sapendo di essere per lei quanto essa è per lui e percependo nel suo sguardo la medesima intuizione. Su tale reciprocità si fonda, dice Spaemann, il “realismo metafisico”129, che è costitutivo per la persona e implica appunto la rinuncia a considerare l'altro come simulazione o sogno, quindi la rinuncia a dubitare sulla sua realtà o a ridurla a pura ipotesi.

Il realismo metafisico è ciò che distingue per Spaemann il vivere dell'uomo e il suo relazionarsi con l'ambiente circostante da quello dell'animale; per l'essere umano “non esistono − infatti, a detta di Spaemann − pure relazioni soggetto-oggetto. La relazione con la realtà è sempre allo stesso tempo una relazione nel senso di un

128 SABANGU P.S., Natura, persona e ragione: un'impostazione antropologica, cit., p. 208. 129 SPAEMANN R., Personen, cit., p. 88; Persone, cit., p. 77.

'essere-con'”130. È l'essenza di questa profonda relazionalità che ci permette di concepire come reale, per esempio, il dolore che vediamo direttamente in un'altra persona o animale, cioè di avvertire l'essere in sé di un fenomeno, che di fatto non è e non può in alcun modo essere 'per noi' e che quindi in una visione egocentrica non percepiremmo come vero.

Ciò che a Spaemann preme precisare, è che “il 'realismo metafisico non pregiudica affatto una determinata teoria della conoscenza”131; esso non interferisce con l'efficacia delle nostre categorie conoscitive, né svaluta il significato del rapporto tra fenomeno e cosa in sé, ma attesta semplicemente che nel caso della conoscenza delle persone la relazione unilaterale tra soggetto e oggetto non è sufficiente; le persone si danno solo nella reciprocità, l'essenza 'personale' richiede loro di trascendere la propria soggettività e di essere contemporaneamente soggetto e oggetto, ossia di essere con altri. “L'essere persona è un essere-per-sé che gli altri possono sperimentare, ed è esperienza dell'essere-per-sé di altri”132.

La dimensione della reciprocità insita nell'essere della persona esclude che essa possa essere soltanto soggettività o pensiero: la scoperta dell'altro è infatti sempre mediata dalla sua esteriorità, dal suo essere per altri, da ciò che inizialmente noi vediamo in lui, e questo fa sì che la sua corporeità appartenga essenzialmente al suo essere persona. La corporeità costituisce la persona in due sensi contrapposti; da un lato rappresenta la possibilità di una sua radicale oggettivazione da parte di altri, ma dall'altro racchiude in sé insieme il nascondersi e il rivelarsi del suo essere-sé.

3.1.2. L'essere come al di là dell'oggettività. Confronto con Heidegger e Lévinas L'idea dell'essere come trascendenza dell'oggettività è un'idea che nel corso del Novecento ha interessato diversi grandi autori tra cui Martin Heidegger ed Emmanuel Lévinas. Spaemann li cita entrambi manifestando stima nei loro confronti, ma riscontrando allo stesso tempo delle insufficienze o dei fraintendimenti

130 Ibidem.

131 Ivi, p. 89; Persone, p. 78. 132 Ibidem.

nel loro modo di considerare l'essere che il suo concetto di Selbstsein dovrebbe cercare di superare.

In Sein und Zeit, per esempio, Heidegger descrive la ricerca sul senso dell'essere come un'indagine sulla sua verità, intesa secondo l'etimologia del termine greco ảlétheia, cioè come l'essere che esce dall'oblio, dal suo essere nascosto e si 'ri-vela' (termine che comunque mantiene in sé ambiguamente i significati opposti di “manifestarsi” e “celarsi nuovamente”). L'intento di Heidegger appare però alla lettura di Spaemann contraddittorio: mostrare come l'essere si rivela significa descrivere le forme di manifestazione dell'essere, ossia offrirne una fenomenologia, cosa impossibile, dato che l'essere non è un fenomeno. Infatti ciò che Heidegger ha tentato di fare nel corso del suo capolavoro, è stato in realtà “spiegare l’essere descrivendo l’essere dell’uomo come l’essere che pone la questione dell’essere”133; di conseguenza, ciò che ne risulta non è più a tutti gli effetti una fenomenologia dell'essere, quanto piuttosto una fenomenologia della questione dell'essere, cioè del modo in cui l'uomo si interroga riguardo all'essenza dell'essere e delle nozioni che ne può avere. Secondo Spaemann lo stesso Heidegger si è reso consapevole di tale incongruenza ed è per questo motivo che ha lasciato cadere la sua opera; si è accorto che ciò che ha scritto è ancora figlio di un'impostazione che egli voleva superare, ossia di una filosofia trascendentale che presuppone un soggetto e dei fenomeni che esistano per questo soggetto.

Per quanto riguarda Lévinas, invece, l'essere dell'altro è un qualcosa di assolutamente inconoscibile, misterioso, che si svela soltanto nella comunicazione interpersonale. Fin qui il pensiero dell'autore di Autrement qu’être è totalmente compatibile con il concetto spaemanniano di Selbstsein, cioè con l'idea dell'essere che non viene mai esaurito dalla sua esteriorità. La sua posizione però sembra radicalizzarsi in una direzione che Spaemann non condivide: per Lévinas, questa totale inaccessibilità del nostro essere all'altro, fa sì che il nostro accogliere l'altro, l'etica, il nostro prendersi la responsabilità per gli altri, sia qualcosa come un “aldilà dell'essere”134. Una simile espressione appare a Spaemann una forzatura concettuale,

133 SABANGU P.S., La persona come paradigma dell’essere. Intervista a Robert Spaemann, cit., p. 224.

nonché un fraintendimento di cosa significhi l'essere, nel senso in cui egli lo ha voluto intendere sulla scia del pensiero classico di Aristotele e Tommaso, ossia come “derivato della vita”135. Per Spaemann non può esistere un aldilà dell'essere, “perché

l'essere è l'aldilà”136. L'essere è l'aldilà del pensiero, nel senso che è al di là di tutto ciò che io 'per me' posso vedere o percepire dell'altro, di tutte le 'mie' nozioni dell'altro. Ciò oltre cui io vado nell'aprirmi liberamente all'altro tramite la trascendenza è piuttosto da un lato la mia soggettività, la mia centratura naturale su me stesso che mi porta a considerarmi soggetto nei confronti di un ambiente che voglio analizzare e conoscere, e dall'altro l'oggettività, cioè l'esteriorità che l'altro è per me e che gli appartiene essenzialmente, ma non esaurisce tuttavia in sé il suo essere.

Parlando dell'epifania dell'altro come un aldilà dell'essere, Lévinas mostra quindi agli occhi di Spaemann di intendere l'essere in senso moderno, ossia come oggettualità.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 156-160)