• Non ci sono risultati.

Da Locke a Parfit: l'identificazione della persona con la facoltà

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 125-129)

I. NATURA E INVERSIONE DELLA TELEOLOGIA. LA MINACCIA

2. Cosa vuol dire “persona”. La differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”

2.1. Il dibattito con l'empirismo e la critica alla definizione di “persona” in

2.1.1. Da Locke a Parfit: l'identificazione della persona con la facoltà

capitolo, rappresenta uno degli esempi principali agli occhi di Spaemann di una separazione della soggettività dal concetto di vita e di una definizione della persona con caratteristiche o facoltà empiricamente osservabili.

Locke afferma che la persona è soltanto interiorità, è una soggettività che si percepisce come identica attraverso lo scorrere del tempo; non è un essere in un determinato modo che l'uomo riconosce come proprio attraverso degli stati di coscienza, bensì non è altro che uno stato di coscienza. La persona è “un essere pensante dotato di intelligenza, di ragione e di riflessione, e capace di considerarsi in se stesso come la medesima realtà, in differenti luoghi e tempi”52. In questa definizione appare chiaro come la nozione di persona venga in effetti a coincidere con quella di identità personale, cioè con la relazione che un uomo ha con se stesso,

50 Cfr. la già citata tesi di Aristotele espressa nel De Anima B 2, 413b 1, per cui “la vita appartiene ai viventi” (vivere viventibus esse). ARISTOTELE, Anima B 2, 413b 1, trad. it. G. Movia, Rusconi, Milano 1996, p, 125.

51 ALLODI L., La trascendenza, 'luogo' dell'umano, in SPAEMANN R., Persone, cit., pp. V-XV, qui p. XIII.

ossia con quella che potremmo anche chiamare coscienza. Coscienza e memoria sono infatti per Locke le uniche facoltà che permettono alla persona di essere la medesima per tutto l'arco della sua esistenza. Per questo secondo lui gli uomini che non sono in grado di considerare se stessi o di ricordare la propria identità non possono essere considerate persone, sebbene rimangano “uomini”, termine che per il filosofo inglese viene spiegato solo su una base prettamente fisica.

Il criterio della coscienza di sé come elemento essenziale per il riconoscimento dell'essere persona è stato oggi ripreso ed estremizzato da Derek Parfit, che arriva ad affermare come la persona perda il suo essere tale ogniqualvolta si addormenta53. Il sonno interrompe infatti secondo il filosofo contemporaneo la continuità della persona, perché la priva di quello stato mentale/psicologico necessario all'autocoscienza. La persona che si sveglia la mattina non è dunque la stessa che la sera prima si era addormentata. Ciò che rimane uguale è solo 'l'involucro fisiologico' degli stati di coscienza, ossia l'organismo umano e il suo cervello, dal quale la persona che di volta in volta compare “eredita” i contenuti della memoria posseduti dalla persona esistita in precedenza54. Nei medesimi uomini si succede dunque una pluralità di persone, il che equivale semplicemente al dire, che nei medesimi uomini si succede una pluralità di stati mentali. La persona non nasce secondo tale interpretazione con l'inizio dell'esistenza umana in quanto organismo vivente, ma compare con il destarsi progressivo dei vari stati di coscienza umani.

Peculiare dell'idea di Parfit è proprio la concezione 'gradualistica' dell'essere persona. Nel suo famoso libro Reasons and Persons si legge: “l'ovulo fecondato non è un essere umano e una persona fin dall'inizio ma lo diventa lentamente”55. Poiché anche in Parfit l'essere persona è garanzia della titolarità di dignità e diritti, lo stesso discorso del “non-essere, ma divenire” si trasferisce conseguentemente dal piano

53 Cfr. PARFIT D., Ragioni e persone, trad. it., R. Rini, Il saggiatore, Milano 1989, pp. 366-367: “La persona che domattina si sveglierà nel mio letto non avrà una relazione di continuità psicologica con me così come sono ora”. (Parfit parla qui, sulla scia di Locke, sempre della continuità psicologica come qualcosa che dipende dalla memoria, e fa l'esempio di una persona che si addormenta utilizzando dei sonniferi che provocano un effetto di amnesia retrograda).

54 Cfr. SPAEMANN R., Quando l'uomo inizia ad essere persona?, in SGRECCIA E., LAFFITTE J. (a cura di), L'embrione umano nella fase del preimpianto. Aspetti scientifici e considerazioni

bioetiche, Atti della XII Assemblea della PAV, Libreria Vaticana, Città del Vaticano 2007, pp.

298-304, p. 301.

ontologico al piano etico, e determina il 'moralmente sbagliato' attraverso una serie di stadi intermedi che però non sono specificatamente identificati, ma vanno da un minimo ad un massimo senza incontrare alcun confine definito. La posizione dell'autore nei confronti della legittimità etica dell'interruzione di gravidanza viene infatti spiegata sulla base della seguente considerazione: “la distruzione di questo organismo [l'ovulo fecondato] all'inizio non è moralmente sbagliata, ma a poco a poco lo diventa. Mentre all'inizio non è per nulla moralmente sbagliata, in seguito diventa una mancanza non grave che sarebbe giustificata solo se, tenuto conto di tutto, la futura nascita del bambino fosse un'eventualità seriamente peggiore o per i suoi genitori o per gli altri. Quando l'organismo diventa un essere umano a pieno titolo, ossia una persona, la mancanza non grave si trasforma in un atto moralmente molto sbagliato"56.

Alla lettura attenta di entrambi i pensieri sopra citati credo non possano sfuggire almeno tre osservazioni, in effetti coerentemente collegabili l'una con le altre.

In primo luogo Parfit nega all'ovulo fecondato non solo l'essere persona, ma addirittura l'appartenenza alla specie degli esseri umani. In secondo luogo, egli associa l'essere persona all'essere “uomo a pieno titolo”, lasciando trasparire come la concezione della gradualità investa non solo la sfera della persona, ma anche quella dell'essere umano, il quale è tale dunque inizialmente in maniera parziale o inferiore e solo in seguito in maniera completa o superiore. Entrambi questi primi punti fanno sorgere in noi quasi spontaneamente le domande che in precedenza ci eravamo posti nei confronti della persona, questa volta però in relazione all'essere dell'uomo: quando inizia l'essere umano? Quali sono le caratteristiche che definiscono un organismo vivente un uomo? La linea di sviluppo che così viene a delinearsi presuppone tre stadi: zigote, essere umano, persona. L'ultima entità rappresenta lo sviluppo pieno della seconda e la seconda lo sviluppo pieno della prima. Ma che cos'è uno zigote prima di diventare un essere umano? È un essere vivente a cui può venir attribuita una specie di appartenenza o ha lo stesso valore di una qualsiasi cellula facente parte di un utero umano? E cosa vuol dire “uomo a pieno titolo”?

Sotto quali condizioni si attua il passaggio dall'essere 'meno uomo' all'essere 'più uomo'?

Tali quesiti rendono la teoria della gradualità, tipica dell'empirismo, piuttosto insidiosa e lasciano irrisolta una serie di dubbi che ne minano alle basi la solidità e ne dimostrano la scarsa affidabilità soprattutto quando abbiamo bisogno di rapportarci con elementi concreti in campo pratico. Il gradualismo utilizzato come paradigma esplicativo del divenire persona finisce per formulare un diritto alla vita e una dignità umana che partono da zero e progrediscono in relazione al processo ontogenetico del feto, raggiungono un massimo nella vita post-natale sino alla piena maturità, e poi iniziano a declinare in relazione all'invecchiamento e all'alterazione psicologica dell'anziano. L'essere persona viene quindi ad occupare uno spazio temporale ridotto nel corso della vita di un essere vivente umano, e resta legato alla fragile persistenza di un'attività psichica in buona salute.

L'ultima osservazione, deducibile dalle altre due, è volta infine ad evidenziare la totale assenza di una considerazione degli interessi propri del feto: la giustificabilità o meno della sua eliminazione viene definita da Parfit sulla base delle conseguenze rilevabili nella vita dei suoi futuri genitori o di “altri”, senza alcun accenno al valore della vita stessa del soggetto (o dell'oggetto?) della cui eliminazione si discute. Una vita incapace di esprimere il proprio 'esserci' cosciente non ha il valore di una vita umana/personale; l'essere che la possiede non solo non è in grado – per mancanze di natura psico-fisica – di affermare i propri diritti, ma non ne possiede proprio e perciò non verrà nemmeno necessariamente difeso da altri.

Questo modo limitante di concepire la persona, definendola strettamente sulla base di facoltà psichiche o razionali, e quindi di separare sulla base di osservazioni empiriche uomo e persona si è diffuso oggi secondo Spaemann con grande rapidità nella nostra cultura, senza che nemmeno ci fosse il tempo per dedicarvi un debito spazio di riflessione. Ne è la prova, dice il nostro autore, il fatto che “il Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, intervenendo qualche anno fa nella discussione a proposito della cosiddetta morte cerebrale, affermò che poteva darsi che la morte cerebrale non fosse la morte dell'uomo ma che si trattava comunque della morte della

persona”57.

Le espressioni che abbiamo trovato in Parfit non rappresentano quindi una posizione eccezionale e controcorrente, ma anzi costituiscono le idee direttrici di tutta la corrente filosofica funzionalistico-attualistica, all'interno della quale l'autore britannico è riconosciuto da Spaemann come “il pensatore di gran lunga più autorevole”58, la cui opera sul concetto di persona appare, al di là della condivisibilità personale delle sue opinioni, frutto di un intelletto serio e capace.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA F (pagine 125-129)