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La costruzione di un’organizzazione

6.3 Il nodo di Reggio Emilia: l’origine

6.3.2 La costruzione di un’organizzazione

Subito dopo la fase di avvio, la composizione interna del nodo subisce una trasformazione; l’associazione “Ethica” non compare più fra le realtà impegnate nel nodo, e accanto al nucleo “storico”, composto da “Mag 6”, “Pax Christi”, “Ravinàla” e dal “Movimento Nonviolento”, si inserisce un nuovo gruppo di dimensioni veramente ridotte: “Atlantide”, un’associazione fondata nel 2001 da due studenti universitari interessati alla raccolta di materiale informativo su tematiche come l’ecologia, la biodiversità, l’economia alternativa e gli stili di vita, la nonviolenza, l’educazione alla pace e al disarmo, le migrazioni. Questo progetto trova concreta realizzazione nel 2003 quando viene inaugurato il centro di documentazione e di ricerca “IncontroTempo” che, gradualmente, diviene il centro di documentazione della Rete Lilliput di Reggio Emilia. Il percorso di avvicinamento dell’associazione “Atlantide” alla Rete reggiana è differente da quello seguito dalle altre realtà. Non ci sono relazioni precedenti fra gli attivisti del nodo e gli appartenenti all’associazione sopra citata; questi ultimi, infatti, vengono a conoscenza dell’esistenza del nodo locale partecipando alla prima assemblea nazionale della Rete Lilliput (2001). Come afferma un nostro intervistato di “Atlantide”:

“all’assemblea ci siamo iscritti tramite il giornale “Altra economia”, c’era un modulino e ci siamo iscritti. Dell’idea di Lilliput sapevamo già qualcosina ma il contatto decisivo è stato quando siamo andati in assemblea (…). Noi eravamo a briglie sciolte, non avevamo capito chi c’era o no di Reggio (…). Dopo lì siamo andati alla riunione del nodo”.

[Intervista R2]

L’associazione “Atlantide” mantiene sempre un ampio grado di autonomia rispetto al nodo nel suo complesso, e ciò è particolarmente evidente sia in occasione del G8 di Genova sia nella fase immediatamente successiva, quella che si caratterizza per il difficile rapporto fra Lilliput e i nascenti Social Forum.

L’importanza attribuita all’idea ed alla pratica della nonviolenza si manifesta in maniera abbastanza evidente sin dai primi mesi di attività del nodo. Basti pensare che la prima occasione per presentare il nascente nodo reggiano alla cittadinanza è un seminario di studio dal titolo “Modelli di sviluppo e sviluppo delle guerre”, condotto da Nanni Salio, segretario dell’“Italian Peace Research Institute” e membro del comitato scientifico del “Movimento Nonviolento”. L’incontro, svoltosi dal 30 settembre all’1 ottobre del 2000, è pensato per approfondire da un lato lo studio dei rapporti tra i principali modelli di sviluppo socio-economico e i sistemi di difesa-offesa, dall’altro per indagare le relazioni esistenti fra il modello sociale nonviolento e la soluzione nonviolenta dei conflitti.

I passi successivi vanno nella stessa direzione. Il seminario sopra citato è seguito da un’iniziativa cittadina prevista per il gennaio del 2001, in occasione dell’avvio del decennio di pace e nonviolenza proclamato dall’Onu. L’evento di cui si parla, il cui slogan è “Anch’io ripudio le armi”, ha come principali destinatari i bambini, ed i giovani in generale; la Rete Lilliput reggiana a tale scopo organizza, in collaborazione con altre realtà dell’associazionismo cittadino, banchetti informativi e giochi di animazione che vedono il coinvolgimento diretto dei bambini128.

128 Nella piazza principale della città, i bambini sono invitati a portare le loro armi giocattolo e a distruggerle, ricevendo in

Qualche mese più tardi, nel giugno del 2001, il nodo lilliput di Reggio Emilia intraprende Il 2001 si apre, invece, con un percorso introduttivo di formazione teorico-pratica sulla nonviolenza, volto ad acquisire le idee ed i principi che caratterizzano il metodo nonviolento nella sua dimensione ideale, storica e politica. Il percorso vede il coinvolgimento attivo degli appartenenti al nodo e rappresenta un importante momento per la loro formazione perché, come afferma un nostro intervistato:

“i training sono stati importanti perché il gruppo si è consolidato, si è passato dalla teoria a che cosa vuol dire passare su di sé questo ideale della nonviolenza; perciò abbiamo lavorato sulla nonviolenza delle relazioni”. [Intervista R7]

I training cui si fa riferimento nell’intervista fanno parte della dimensione pratica del percorso di cui si parla che, infatti, viene organizzato prevedendo accanto a dei momenti di approfondimento teorico svolti attraverso le letture dei principali teorici della nonviolenza, Gandhi, Capitini, Galtung, Sharp, anche un percorso di sperimentazione pratica della nonviolenza, attraverso dei veri e propri training sulla trasformazione nonviolenta dei conflitti e sull’azione nonviolenta. In particolare, all’interno di tali training, ricorrendo a strumenti quali giochi e lavori di gruppo, tecniche teatrali, role- play, simulazioni, si cerca di far capire ai partecipanti come la nonviolenza debba essere praticata prima per la trasformazione del conflitto nel passaggio dalla dimensione dell’ “io” a quella del “noi”, e successivamente nell’azione per il cambiamento sociale. L’idea alla base di tale percorso, intitolato “In ricerca sulla strada della nonviolenza” è, come afferma un attivista del nodo:

“quello di prepararsi alle azioni dirette nonviolente non solo sul piano teorico ma anche sul piano esperienziale, pratico. Si fanno simulazioni (…) si può addirittura simulare l’azione stessa con alcuni che fanno la polizia, altri che fanno i manifestanti (…). Noi ne facemmo due di primo approccio (…) era anche un modo per aiutare chi era interessato a un discorso di questo tipo (…). La nonviolenza sostiene che esistono i conflitti, la nonviolenza è diversa dal pacifismo. Il pacifismo è un ideale di assenza del conflitto, la nonviolenza dice che i conflitti ci sono, fanno parte delle relazioni umane; l’obiettivo è quello di trasformarli da elementi distruttivi ad elementi costruttivi, in occasioni di incontro (…) di relazioni migliori”. [Intervista R5]

Tale prospettiva si focalizza, quindi, sulla trasposizione a livello pratico di un insieme di principi etico-morali che guidano l’agire dell’individuo; essa non implica il rifiuto del conflitto ma la sua elaborazione in senso nonviolento prima di tutto sul piano individuale e delle relazioni con l’“altro”; il passaggio successivo ha a che fare, invece, con la capacità e con la possibilità di incidere sulle molteplici dimensioni attraverso le quali si articola la vita sociale proprio a partire da una prospettiva nonviolenta adottata e interiorizzata innanzitutto a livello individuale.

Il percorso di elaborazione teorica e culturale fin qui condotto dal nodo reggiano permette ai suoi attivisti di affrontare in maniera differente un evento di particolare importanza per la Rete Lilliput nel suo complesso: il G8 di Genova.

Il fermento generale che anticipa gli eventi del luglio del 2001 alimenta, all’interno del nodo, un ulteriore approfondimento sulle strategie d’azione nonviolenta, approfondimento proposto, poi, all’intera Rete Lilliput attraverso un documento contenente sia le idee base per una definizione nonviolenta delle strategie di lotta sia una serie di riflessioni sulla necessità di trasformare e gestire in senso nonviolento il conflitto sociale. Il documento a cui si fa riferimento nasce da una esigenza avvertita nel nodo di definire più chiaramente le peculiarità della Rete Lilliput rispetto ad altri segmenti del movimento globale, per evitare che quei gruppi slegati da riferimenti culturali precisi confluiscano al suo interno. Come affermato da un nostro intervistato:

“con questo documento129 ci siamo presentati dicendo: attenzione, vedete il “Manifesto” nazionale? E’ una frase tratta dal “Manifesto” nazionale, però attenzione, che cosa vuol dire nonviolenza? Vuol dire semplicemente rifiutarsi di fare violenza o è una strategia politica, sociale che ha delle caratteristiche precise? [Il discorso sulla nonviolenza]

all’inizio era molto generico (…) e tutto confluiva in Lilliput, tutti coloro che pensavano di contestare l’ordine sociale esistente, la globalizzazione, era tutto dentro Lilliput. Quindi, c’era un po’ di confusione, la gente diceva di tutto mentre nel “Manifesto” c’era scritta una cosa molto chiara. Noi dicevamo: c’è scritto questo e lo prendiamo come un impegno serio, questo sì che è un atteggiamento (…): assumere una dimensione di lotta nonviolenta”. [Intervista R5]

Questo punto di vista, presentato all’intera Rete Lilliput con il documento sopra citato, è reso noto alla cittadinanza reggiana attraverso un’assemblea pubblica all’interno della quale oltre alla discussione sul concetto di nonviolenza vengono anche presentate le iniziative locali di opposizione al G8 di Genova. Gli attivisti del nodo decidono, infatti, di non partecipare alle giornate genovesi ma di impegnarsi in ambito locale organizzando in contemporanea all’appuntamento genovese una settimana di iniziative locali. La posizione all’interno del nodo è condivisa da tutti i gruppi, tranne che dai rappresentanti dell’associazione “Atlantide” che, invece, si recano nella città ligure:

“in occasione del G8 siamo andati come associazione a partire dall’idea che se non ci sei stato non puoi dire certe cose, cioè condanni la violenza di chi manifesta in maniera violenta, ma solo se eri lì ti rendevi conto che chi manifestava in maniera violenta erano davvero pochi”. [Intervista R2]

Gli attivisti rimasti a Reggio Emilia si concentrano sull’organizzazione di una settimana di iniziative, fatte di banchetti informativi sul vertice in corso, sulle principali dinamiche della globalizzazione e sulle ragioni della contestazione, ma mettendo in atto anche delle dimostrazioni pratiche riprendendo quanto appreso durante i training. In tal senso vanno lette, ad esempio, le azioni di comunicazione nonviolenta rivolte alla città, messe in pratica attraverso un vero e proprio serpentone di persone, una fila indiana di donne e uomini recanti cartelloni informativi sul G8. Svolgendo un percorso cittadino fatto di soste ai semafori e davanti a quelli che sono ritenuti “luoghi sensibili”, come il Mc Donald’s, senza impedire l’accesso ai cittadini, questi gruppi distribuiscono materiale informativo.

Il tragico epilogo delle giornate genovesi alimenta fra gli attivisti reggiani un confronto ancora più profondo sulla necessità di assumere un atteggiamento nonviolento nell’intera Rete e in ogni nodo locale. Alla realtà di cui si è parte viene, quindi, presentato un documento, frutto di una intensa riflessione interna al nodo, in cui si spiega quale dovrebbe essere il ruolo della Rete Lilliput nel più ampio movimento globale, alla luce della scelta nonviolenta fatta sin dall’elaborazione del “Manifesto” nazionale: “La Rete Lilliput all’interno del movimento di lotta ha (…) un proprio ruolo fondamentale (…): quello di percorrere la strada stretta che passa fra l’assenza di conflitto da un lato e il conflitto violento dall’altro (…), ossia di lavorare alla trasformazione del conflitto in senso nonviolento (…). La Rete Lilliput deve investire le proprie energie (…) per trovare la via d’uscita della polarizzazione fra due attori, contestatori vs forze dell’ordine, che consente al resto del mondo di rimanere spettatore (…). Si tratta di trasformare lentamente ma profondamente il consenso che sostiene il sistema in dissenso ed il dissenso in azione”130.

Tale passaggio, dal consenso al dissenso e da quest’ultimo all’azione, è pensato attraverso un percorso a tre livelli, ciascuno dei quali aggiunge valore al precedente ed è inattuabile se lo si slega dagli altri:

129 Il documento in questione è “Le nostre strategie d’intervento sono di carattere nonviolento”, elaborato dal nodo Lilliput

di Reggio Emilia.

• creazione all’interno di ogni nodo lilliput di un “Gruppo di Azione Nonviolenta” (GAN);

• avviamento di un programma di formazione teorica e pratica sul metodo nonviolento presso ogni “Gruppo di Azione Nonviolenta”;

• conclusione del programma di formazione e strutturazione di un’agenda comune di azioni nonviolente da attuare nei territori locali, su tutto il territorio nazionale. All’interno del nodo reggiano, l’avvio del suddetto percorso inizia nell’ottobre del 2001, con una serie di approfondimenti seminariali e di azioni dirette nonviolente che si susseguono fino al maggio del successivo anno e che conducono alla costituzione del Gruppo di Azione Nonviolenta del nodo Lilliput di Reggio Emilia.