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Dai “movimenti personaggio” alle “aree di movimento”

Considerando la natura dei conflitti nella società post-industriale e le profonde trasformazioni che ne attraversano il tessuto sociale, l’azione collettiva non è più espressione di un “movimento- personaggio” ma di “aree di movimento” nelle quali l’identità collettiva viene costantemente prodotta e riprodotta.

Un’area di movimento è, quindi, uno spazio specifico dell’azione collettiva al cui interno “orientamenti e vincoli dell’azione vengono definiti e ridefiniti entro reticoli di solidarietà” [Melucci 1984b, 436]. Quest’ultima diviene una risorsa fondamentale per l’azione collettiva perché le attribuisce un senso sia fornendo all’attore le risorse necessarie a sopportare la rottura introdotta dal conflitto nelle relazioni sociali, sia perché diviene il mezzo di cui ogni attore individuale si serve per ricostruire il riconoscimento senza il quale l’azione non può aver luogo. Di fronte ad un potere che si generalizza sempre di più e che alimenta forti pressioni verso la conformità alle logiche che lo guidano, il particolarismo diventa una forma di resistenza che fa della solidarietà l’obiettivo da raggiungere dai gruppi parte delle aree di movimento. Come afferma Melucci: “la ricerca di una identità comunitaria, il ritorno ad appartenenze primarie (…) sembrano motivare la resistenza contro un cambiamento diretto dall’alto. La lotta ha sempre anche degli obiettivi strumentali, ma in primo piano sta il rafforzamento della solidarietà del gruppo, la ricerca di scambio simbolico e affettivo” [Melucci 1982, 80].

Sottolineando la presenza di “aree di movimento” nelle società complesse, Melucci mette in luce una trasformazione che investe anche i modelli organizzativi e le forme d’aggregazione degli attori collettivi. Rispetto alle “vecchie” forme d’azione, simbolizzate dal movimento operaio, le “aree di movimento” sembrano essere caratterizzate da un insieme di cellule autonome che dedicano alla costruzione della loro solidarietà interna gran parte delle loro risorse. I vari nuclei del movimento sono in comunicazione fra loro grazie ad una rete di scambi alimentata dalla possibilità che gli attori hanno di partecipare contemporaneamente a più gruppi (“appartenenze multiple”) e alle attività che

quegli stessi gruppi promuovono in maniera congiunta. Inoltre, l’organizzazione delle “aree di movimento” non prevede la formazione di una leadership concentrata ma, piuttosto, variabile e diffusa: diversi individui possono di volta in volta assumere il ruolo di leader per il raggiungimento di obiettivi specifici.

I reticoli di aggregazioni che compongono le aree di movimento fanno sì che esse si configurino come degli spazi aperti al cui interno si può partecipare direttamente, intendendo la partecipazione non come un dovere, ma come un impegno, forse reversibile. Questi processi causano un rovesciamento delle prospettive che avevano accompagnato l’analisi dei movimenti sociali nel periodo della società industriale. Nei “Nuovi Movimenti Sociali”, infatti, l’adesione è spontanea, individuale; gli obiettivi da raggiungere affondano le loro radici nella dimensione culturale del sistema; l’aggregazione avviene attorno ad obiettivi specifici e mira ad ottenere dei risultati immediati. Si assiste, ovviamente, anche ad un mutamento nei rapporti fra questo tipo di movimenti e la sfera del politico. Si parla a tal proposito di “collocazione dentro-fuori” [Melucci 1986, 291-296] il sistema di rappresentanza, per sottolineare il fatto che i nuovi movimenti non sembrano avere rapporti costanti con le forze politiche istituzionali, proprio perché il loro obiettivo non è la conquista del potere e dello stato, quanto piuttosto “[quello] di costruire contro di esso degli spazi di autonomia, di riaffermare l’indipendenza di forme di sociabilità private contro il suo imperio” [Neveu 2001, 90-91]. La rivendicazione di uno spazio quanto più possibile autonomo dal sistema diventa essenziale proprio perché, come già rilevato da Touraine, nelle società “programmate”, il potere tende a generalizzarsi, a permeare di sé ogni dimensione della vita sociale per dirigerla verso il raggiungimento di obiettivi conformi alla sua riproduzione [Touraine 1993]. La mobilitazione non implica necessariamente la collocazione all’esterno del sistema politico quanto, piuttosto, il suo utilizzo solo per quelle domande che possono trarre benefici dalla partecipazione allo scambio politico.

L’autonomia dal sistema politico si riflette nello spazio che i “Nuovi Movimenti” si ritagliano nella struttura sociale, un’area che, come afferma Melucci, assume i contorni di un vero e proprio sottosistema al cui interno convergono tutti quei comportamenti non assimilabili né integrabili dal sistema.

La forma che questi movimenti assumono nella pratica quotidiana è, come già accennato, quella di “una rete di gruppi sommersi (…) che richiedono un investimento personale nello sperimentare e praticare l’innovazione culturale. Questi gruppi emergono solo su problemi specifici (…). La rete sommersa, sebbene sia composta di piccoli gruppi separati è un sistema di scambi (gli individui e le informazioni circolano lungo il network)” [Melucci 1986, p. 26].

Ne deriva un modello organizzativo che oscilla fra due poli: da un lato ci sono dei reticoli aggregativi permanenti la cui esistenza si sviluppa in stretta connessione con la vita quotidiana, coi bisogni e l’identità dei membri, dall’altro lato ci sono, invece, i momenti di lotta e di mobilitazione visibile. Gli estremi di cui si parla, “latenza e visibilità”, svolgono funzioni differenti, ma sono mutuamente funzionali e il loro alternarsi scandisce le fasi di vita dei nuovi movimenti sociali. Come sottolinea Melucci: “la latenza permette agli individui di sperimentare nuovi modelli culturali, un mutamento nei sistemi di significato che molto spesso si oppone alle pressioni sociali dominanti (…). Quando i piccoli gruppi emergono per confrontarsi con una autorità politica su un tema specifico, la visibilità mostra l’opposizione alla logica che guida il decision making rispetto alle politiche pubbliche” [Ivi, 27].

Ma la fase di visibilità permette ai militanti del movimento di rivolgersi anche al resto della società per indicare che un certo tipo di problema è legato alla logica di funzionamento del sistema e che nuovi modelli culturali, alternativi a quelli vigenti, sono praticabili: “i movimenti annunciano alla società che qualcosa d’altro è possibile” [Melucci 1988]. Il loro è, quindi, un antagonismo che si situa anche a livello comunicativo perché nuovi codici simbolici vengono offerti al resto della società. In tale contesto si sviluppa la “sfida simbolica” dei nuovi movimenti sociali ai codici dominanti che rende l’azione di questi attori collettivi un vero e proprio “messaggio” la cui funzione principale consiste nel

“portare alla luce ciò che un sistema non dice di se stesso, la quota di silenzio, di violenza, di arbitrio che sempre caratterizza i codici dominanti. L’azione dei movimenti dunque come simbolo e come comunicazione” [Melucci 1986, 444].