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I processi di mobilitazione

Come sottolinea Neveu, la nozione di risorsa “la dice lunga sulla parentela con i concetti economici, mentre l’organizzazione diventa lo strumento di un’impresa della protesta che raccoglie mezzi (militanti, denaro, esperti, accesso ai media) da investire nel modo più razionale per conseguire gli scopi desiderati” [Neveu 2001, 75]. A questo punto McCarthy e Zald propongono una

18 “A social movement organization is a complex, or formal, organization which identifies its goals with the preferences of

a social movement or a countermovement and attempts to implement those goals.” McCarthy, Zald (1977), p. 1218.

19 “All SMOs that have as their goal the attainment of the broadest preferences of a social movement constitute a social

serie di concetti attraverso i quali viene suggerita un’alternativa alla spiegazione olsoniana dell’agire per incentivi selettivi.

Ricordiamo che il problema del “free rider” di cui parla Olson si basa su un’interpretazione puramente economica dell’agire individuale [Olson 1983]. Si ritiene, infatti, che l’individuo razionale sia portato a non partecipare all’azione collettiva che ha come obiettivo il conseguimento di un bene comune poiché egli è consapevole che il suo mancato coinvolgimento da un lato non gli impedirà di godere comunque dei benefici dell’azione messa in atto da altri soggetti, dall’altro lato gli permetterà di non pagare i costi connessi all’azione stessa.

La mobilitazione collettiva diviene paradossalmente impossibile nei grandi gruppi perché se ogni individuo ragionasse in termini di costi-benefici, ognuno sarebbe portato ad aspettare la mobilitazione di qualche altro soggetto e questo processo condurrebbe alla paralisi dell’azione collettiva.

Quest’ultima può, invece, essere alimentata attraverso quelli che Olson definisce “incentivi selettivi”, cioè riconoscimenti, vantaggi, prestazioni che riducono i costi della partecipazione e rendono la non-partecipazione meno appetibile.

Il paradosso olsoniano viene in parte superato anche nell’analisi della mobilitazione delle risorse, attraverso l’introduzione di una particolare tipologia di sostenitore del movimento sociale.

McCarthy e Zald ritengono che i soggetti che costituiscono uno specifico movimento sociale possono essere distinti in “aderenti” e “non aderenti”. I primi sono rappresentati da quei membri o da quelle organizzazioni che aderiscono e condividono gli obiettivi di un movimento, senza apportarvi risorse di alcun genere. Gli aderenti si distinguono dai cosiddetti “membri attivi” (Constituens) che, invece, portano all’organizzazione di movimento sociale della quale fanno parte risorse in termini di denaro, tempo, appoggio concreto. All’interno di questa categoria, una ulteriore distinzione è quella che vede da un lato “sostenitori beneficiari” e dall’altro lato i “sostenitori disinteressati” (“conscience constituens”). Si tratta, nel primo caso, di soggetti che riceveranno dei benefici o dei vantaggi se il movimento riuscirà a conseguire gli scopi che si era prefissato; nel secondo caso, invece, siamo di fronte ad individui che personalmente non otterranno nulla dalla concreta realizzazione degli obiettivi del movimento. La figura del “sostenitore disinteressato” che, apportando risorse di diverso genere, riduce i costi dell’azione dei soggetti direttamente interessati ed impegnati nella mobilitazione, si presenta quindi come un’efficace alternativa al paradosso olsoniano. Il “conscience constituens” può, inoltre, concretizzarsi nella figura dell’“imprenditore della protesta”, soggetto che svolge la funzione di portavoce o di organizzatore di una “SMO” e che è in grado di attivare reti di solidarietà e di conoscenze senza le quali i costi dell’azione diverrebbero troppo elevati e il gruppo rischierebbe di non riuscire a mobilitarsi affatto partendo solo dalle sue risorse. Tuttavia, i due studiosi americani incorrono in un problema simile a quello rilevato da Olson poiché essi nulla ci dicono sui motivi della mobilitazione dei sostenitori disinteressati: cosa li spinge a partecipare? Questa domanda non trova un’adeguata risposta e, come sottolineato da più parti, pur impegnandosi a superare il paradosso olsoniano, McCarthy e Zald finiscono per produrre un ulteriore problema che rende difficile la comprensione dei motivi della mobilitazione di sostenitori disinteressati e di imprenditori della protesta.

Il riferimento ad Olson è centrale anche nell’analisi attraverso cui Oberschall delinea quella che lui stesso definisce una “teoria sociologica della mobilitazione”.

In altre parole, lo studioso di cui si parla attribuisce consistenza sociale a dei modelli, quale quello olsoniano, che leggono le mobilitazioni in chiave strettamente economica.

Come in altre analisi del paradigma della mobilitazione delle risorse anche in Oberschall si ritrova l’idea in base alla quale il conflitto è un elemento insito nella struttura sociale. Tuttavia, questa condizione pur essendo fondamentale per il sorgere di una protesta non è sufficiente a dar conto di mobilitazioni che si protraggono nel tempo e che, invece, sembrano necessitare di una “base organizzativa” e di una “continuità di direzione”.

A partire da queste considerazioni, Oberschall costruisce la sua “teoria sociologica della mobilitazione” sull’intersecarsi di due dimensioni: quella verticale, che ha a che fare con i rapporti che sussistono fra il gruppo in esame e il resto della società, e quella orizzontale che descrive i legami sociali all’interno della collettività considerata. Incrociando queste due variabili Oberschall dà vita a sei tipologie di mobilitazione basate su due ipotesi fondamentali.

La prima prende in considerazione i gruppi che si mobilitano: essi sembrano costituiti da soggetti legati ad appartenenze tradizionali o ad associazioni secondarie basate su interessi specifici. Questi individui, infatti, proprio perché inseriti in reti di relazioni precedenti, dispongono delle risorse necessarie per la mobilitazione. La seconda ipotesi ha a che vedere, invece, con la segmentazione sociale, cioè con la distanza che intercorre fra i gruppi all’interno di una società. Oberschall afferma che “in una situazione di segmentazione la collettività di cui stiamo esaminando il potenziale di mobilitazione ha pochi vincoli che la legano alle classi più elevate o alle altre collettività della società” [Oberschall 1976, 176]. La segmentazione, dunque, favorirebbe la mobilitazione collettiva di gruppi lontani dai centri del potere perché consentirebbe loro una più facile identificazione dell’avversario. A partire dalle ipotesi appena discusse, Oberschall esamina differenti casi di proteste collettive che si differenziano proprio in base ai legami interni al gruppo e alla presenza (o all’assenza) di forme di connessione fra soggetti mobilitati e gruppi superiori. Alcuni esempi possono, forse, facilitare la comprensione di un siffatto modello analitico.

Le insurrezioni degli anni Sessanta negli slums americani presentano sia una debolezza di legami di tipo comunitario, dovuta all’impatto del mutamento sociale, sia una scarsa integrazione verticale. Questa situazione non favorisce la mobilitazione ma, quando essa si produce, dà vita a situazioni simili ai moti urbani di cui si parla: proteste violente, debolmente organizzate, prive di una leadership che guida l’azione, e destinate a non avere lunga durata.

Se un gruppo, inserito all’interno di una dimensione comunitaria e, nello stesso tempo, privo di legami con le classi superiori, sente di essere in qualche modo minacciato, può decidere di dar vita ad un’azione collettiva in difesa dei suoi interessi. La mobilitazione che si produrrà sarà repentina ed energica. Queste sono quelle situazioni che vedono il coinvolgimento di gruppi etnici o nazionalisti in lotta contro un regime straniero.

La presenza di forti vincoli comunitari e di un sentimento di solidarietà precede, dunque, la mobilitazione e la favorisce anche se, come sottolinea Oberschall, proteste improvvise e violente possono comunque verificarsi laddove manchino principi organizzativi in seno al gruppo che si mobilita per l’azione. Si pensi, di nuovo, al caso delle rivolte negli slums americani.

L’esistenza di forti vincoli associativi e di una elevata segmentazione sociale può creare le giuste condizioni per il prodursi di movimenti di opposizione che abbiano anche una certa continuità. Quest’ultima dipende dalle caratteristiche specifiche dei legami associativi, ma anche dalla ricezione della protesta da parte delle autorità e dei gruppi esterni alla mobilitazione. E’ evidente che la presenza di una molteplicità di organizzazioni all’interno di una comunità costituisce una risorsa strategica da investire nell’azione collettiva, poiché consente ai soggetti in essa impegnati di attingere ad una rete preesistente di relazioni e di comunicazioni della quale, invece, sono privi coloro che vivono in contesti fatti di deboli legami interni al gruppo. Gli esempi fino ad ora proposti si riferiscono tutti a delle mobilitazioni di gruppi che vivono in condizioni di forte segmentazione sociale. Ma la tipologia di Oberschall tiene conto anche di quei contesti in cui sono presenti soggetti che vivono in situazioni di integrazione con i gruppi superiori.

In questi casi, la mobilitazione collettiva non è impossibile quanto, piuttosto, improbabile. Infatti, nonostante la presenza di legami di tipo comunitario o associativo, la mancanza di segmentazione rende più difficile identificare un comune oggetto di opposizione e le conflittualità tendono a trovare soluzione attraverso dei canali istituzionali.

Quanto detto fino ad ora ci permette di dare conto delle condizioni che originano il processo di mobilitazione. Ma l’analisi condotta da Oberschall consente, altresì, di individuare anche i fattori che ostacolano la mobilitazione o che, addirittura, la impediscono. Ciò, infatti, può verificarsi perché,

nonostante i legami in seno al gruppo che si mobilita per l’azione20, ogni singolo gruppo tende ad imporre il proprio leader come guida dell’intero movimento e a far sì che quest’ultimo si impegni nel perseguimento dei suoi obiettivi particolari, tralasciando quelli delle altre componenti del movimento stesso. Una situazione del genere potrebbe condurre alla dissoluzione del movimento d’opposizione. Tuttavia, le forze centrifughe possono, secondo Oberschall, essere controllate o attraverso una leadership carismatica che renda coeso il movimento, o dando vita ad una “subcultura” comune a tutti i gruppi che lo compongono o, infine, dotando il movimento di una struttura organizzativa accettata da tutti i gruppi.

Da quanto detto fino ad ora, è evidente l’importanza che il concetto di risorsa riveste anche all’interno della “teoria sociologica della mobilitazione”. Si tratta, in questo caso, di risorse di natura relazionale. Ciò significa che l’elemento fondamentale per il costituirsi di un movimento d’opposizione non è la presenza di una “credenza generalizzata” né la sola esistenza di un comune oggetto d’opposizione, quanto piuttosto il “consolidamento di una rete organizzativa”. Quest’ultima è maggiormente efficace se è presente, prima della mobilitazione per l’azione, un “tessuto di relazioni di gruppo” [Ivi, 183]. Oberschall, infatti, rileva l’importanza delle interdipendenze, e cioè del potenziale insito nelle relazioni dei gruppi caratterizzati da legami di tipo comunitario o associativo.

Proprio il tessuto di relazioni all’interno delle quali questi soggetti si inseriscono costituisce un vantaggio che permette loro di attivarsi in maniera più rapida ed efficace. Infatti, contrariamente a quanto sostiene la tradizione di studi che precedono l’approccio della mobilitazione delle risorse, i partecipanti ai movimenti d’opposizione non sembrano essere individui isolati o atomizzati ma, al contrario, soggetti ben integrati nelle collettività. Proprio questa particolare condizione gli consente, infatti, di immettere la solidarietà comunitaria o associativa che caratterizza le loro relazioni nel processo di mobilitazione, il quale a sua volta costituisce la base per il sorgere di una nuova identità collettiva.

La “teoria sociologica della mobilitazione”, nonostante abbia colto in maniera più acuta rispetto ad altri studi riconducibili alla “Resource Mobilization Theory”, l’importanza delle reti di appartenenza precedenti la partecipazione all’azione collettiva, non è del tutto esente da critiche.

Si ritiene, infatti, che la separazione fra i gruppi sociali potrebbe rendere più difficoltosa la mobilitazione anziché facilitarla. Inoltre, dato l’aumento delle opportunità e dei canali di mobilità individuale e collettiva nelle società avanzate, l’identificazione di un avversario contro il quale rivolgere l’azione di protesta risulta di gran lunga più complicata. Infine, si pensa che tranne in alcuni casi specifici, come ad esempio nei movimenti a base etnica, sia difficile il simultaneo verificarsi delle due condizioni che Oberschall ritiene siano alla base della mobilitazione nei movimenti di opposizione.