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Le origini: il Tavolo Intercampagne

L’origine del Tavolo Intercampagne è strettamente collegata alla campagna “Globalizzazione dei popoli”.

Al termine di questa campagna, le realtà che si erano impegnate per la sua realizzazione si rendono conto che all’interno di “Globalizzazione dei popoli” si erano ritrovati molteplici gruppi che, pur occupandosi degli stessi temi, agivano in parallelo, senza incontrarsi mai.

Da questa esigenza di “incontrarsi”, di lavorare insieme mettendo in comune risorse e competenze da spendere per la realizzazione degli stessi obiettivi, sorge l’idea che è alla base del Tavolo Intercampagne. Come sottolinea uno dei suoi principali ideatori:

31 Il comitato promotore della campagna è impegnato per tre anni nella produzione di materiale informativo realizzato

seguendo un vero e proprio metodo didattico: individuato il tema, viene, infatti, realizzata una “scheda informativa” divisa nelle seguenti aree: il problema (es. l’acqua); le dimensioni del problema (es. quadro d’insieme delle risorse idriche a livello mondiale); i principali meccanismi alla base del problema (es. nel caso dell’acqua, il sovrasfruttamento idrico, il consumo nell’industria ecc.); le cause del problema; le prospettive; le possibili soluzioni al problema.

Questo schema di lavoro è seguito per tutti i temi affrontati dalla campagna: il debito estero, l’effetto serra, l’acqua, le biotecnologie, lo sviluppo sostenibile.

“dopo la fine di Globalizzazione dei popoli, decidemmo come Globalizzazione dei popoli, di fare un invito. Mandammo una lettera, ci dividemmo i compiti Francuccio Gesualdi ed io, e facemmo proprio un invito a pranzo. Non pensavamo di voler fare un coordinamento, ma forse valeva la pena di iniziare a discuterne. La cosa ha suscitato molto interesse e hanno partecipato assolutamente tutti quelli invitati. Una buona metà dei presenti si conoscevano reciprocamente. E’ stata una giornata di lavoro dalla quale è nata l’idea di organizzarsi in qualche modo. Ecco questa è la nascita del Tavolo Intercampagne”. [Intervista T1]

Il Tavolo Intercampagne nasce come conseguenza naturale di un intenso lavoro che impegnava un insieme di gruppi e di realtà fin dalla metà degli anni Novanta. Questo embrione di “rete” sembra basarsi, quindi, su rapporti di conoscenza e di fiducia reciproca consolidatisi nel corso del tempo. E’ all’interno di questo coordinamento che nel giugno del ’99 matura l’idea di lanciare il progetto della Rete Lilliput che nasce proprio come naturale evoluzione dei temi e delle idee del “Cerchio dei popoli” prima, e di “Globalizzazione dei popoli” dopo.

Un gruppo di associazioni e di campagne che si erano confrontate e incontrate lungo il percorso appena descritto decidono, nel luglio del 1999, di unirsi dando così inizio alla Rete Lilliput. Il Tavolo Intercampagne, presentandosi come un luogo di incontro fra gruppi differenti, non è immediatamente caratterizzato da un’identità chiaramente definita. Le realtà che lo compongono non stabiliscono con questo organismo delle relazioni di appartenenza, ma rimangono, invece, legate innanzitutto alle associazioni ed alle campagne d’origine.

Il Tavolo sembra, quindi, assumere i contorni di un contenitore che lascia convivere al suo interno le differenze, coordinandole per realizzare convergenze nell’azione. Esso ingloba associazioni di matrice cattolica alle quali se ne affiancano altre dichiaratamente laiche; gruppi di piccole dimensioni, privi di una struttura organizzativa vera e propria e realtà presenti su tutto il territorio nazionale, spesso legate ad organismi internazionali e supportate da una forma organizzativa abbastanza complessa e consolidata.

Al di là di queste significative differenze, l’esistenza di denominatori comuni è certamente riconducibile alla generale volontà di contestazione di quei meccanismi della globalizzazione neoliberista che, secondo gli appartenenti al Tavolo, producono danni ambientali, ampliano aree di povertà già esistenti e asserviscono i diritti fondamentali di alcune popolazioni al profitto e all’interesse di poche grandi imprese multinazionali.

Il commercio equo e solidale, la finanza etica, il consumo critico, la cooperazione Nord/Sud sono individuati come alcune delle alternative possibili dalle quali partire per arrivare alla sperimentazione di soluzioni funzionali al cambiamento dello stato di cose esistente.

Soffermiamoci, ora, sulle singole realtà presenti all’interno del Tavolo Intercampagne.

Di commercio equo e solidale (CEeS) si occupa l’“Associazione Botteghe del mondo”, appartenente ad Tavolo Intercampagne e fra i fondatori della Rete di Lilliput.

L’“Associazione Botteghe del mondo Italia”, costituitasi formalmente nel 1991, nasce con lo scopo di promuovere “uno sviluppo sociale equo e dignitoso nel Sud come nel Nord del mondo, nella salvaguardia di ogni differenza etnica, culturale, religiosa”.32 Per questo motivo, essa coordina un insieme di botteghe e di associazioni che si occupano di Commercio Equo e Solidale e cerca di favorire la nascita di altre realtà interessate a questa forma di cooperazione, cercando, in tal modo, di contribuire ad accrescere la coscienza civile sulle problematiche legate allo sviluppo e ai rapporti di sfruttamento che regolano il commercio fra Nord e Sud del mondo. Alla base del percorso che

conduce “Assobotteghe” ad aderire al Tavolo Intercampagne c’è l’esigenza di cooperazione, o meglio come evidenziato da un rappresentante dell’associazione da noi intervistato:

“il Tavolo Intercampagne comincia come percorso dell’associazione e comincia molto prima di Lilliput. Iniziava proprio per la necessità intrinseca della nostra associazione e delle altre di coordinare alcune campagne che erano in corso allora, per evitare che ci fossero sovrapposizioni di campagne o ripetizioni di campagne che avrebbero portato via del tempo, degli spazi l’una all’altra”. [Intervista T9]

“Assobotteghe” aderisce dapprima al Tavolo e, in seguito, alla Rete Lilliput in maniera del tutto consequenziale, essendo essa stessa una realtà abituata a lavorare in rete, connettendo le molteplici botteghe del mondo e facendone un canale privilegiato per la diffusione del Commercio Equo e Solidale.

Ogni bottega oltre ad essere un punto vendita del CEeS diventa anche e soprattutto luogo di incontro e scambio di esperienze e di idee, luogo di aggregazione per quelle realtà della società civile interessate ed impegnate in questo tipo di cooperazione. Ogni bottega rappresenta un luogo fisico che consente l’espressione di un interesse per la costituzione dei rapporti fra Nord e Sud, intesi questi ultimi non solo in senso geografico ma anche sociale, come divisione, ad esempio, fra centro e periferia.

La promozione da parte di “Assobotteghe” e la sua partecipazione a numerose campagne va letta come la volontà, espressa in maniera organizzata, di contestare alcuni meccanismi decisionali, a partire dalla presa di coscienza dell’incapacità della politica tradizionale di rispondere ai conflitti posti in essere dal sistema socio-economico esistente. “Assobotteghe”, proponendosi come luogo rappresentativo di un insieme di soggetti che, pur appartenendo a circuiti differenti, condividono lo spirito generale del Commercio Equo e Solidale, si pone come importante punto di snodo di un sistema reticolare che fa di ogni singola bottega uno spazio pubblico e di azione dove si lavora “per la costruzione di nuovi linguaggi”, per l’elaborazione di “progetti di azione politica” e dove si sperimentano “forme democratiche di decisione”.33 “Assobotteghe” coordina una molteplicità di soggetti che si occupano di Commercio Equo e Solidale; più precisamente essa è attualmente costituita da 126 organizzazioni no-profit per un totale di 220 punti vendita. Le botteghe associate sono 142, quelle non associate 99, e le centrali di importazione sono nove34. A questo punto è forse meglio chiarire cosa si intende quando si parla di commercio equo e solidale. Il Commercio Equo e Solidale è: “un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l’ambiente, attraverso il commercio, la crescita della consapevolezza dei consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione politica. Il Commercio Equo e Solidale è una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: dai produttori ai consumatori.”35

La caratteristica principale del CEeS consiste, dunque, nella sua “capacità di promuovere un contesto di relazioni sociali in grado di fare del mercato uno strumento finalizzato alla creazione di forme di giustizia economica tra i produttori del cosiddetto Sud del mondo e i consumatori del cosiddetto Nord” [Rosi 2003, 71] Pertanto, all’interno della dimensione commerciale, oltre al valore d’uso materiale della merce, acquistano un notevole significato anche i legami diretti e paritari che vengono a stabilirsi fra il produttore della merce ed il consumatore, e ciò aggiunge un importante valore etico al prodotto.

In Italia la prima organizzazione strutturata del Commercio Equo e Solidale è la “Cooperativa Terzo Mondo”, che nasce nel 1988 dall’iniziativa di un gruppo di associazioni e di soggetti impegnati in attività di informazione e di riflessione sulle iniquità nei rapporti fra Nord e Sud del mondo. Dieci

33 Da: http://www.assobdm.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1 34 Informazioni tratte dal sito: www.assobdm.it, consultato il 19-12-1006. 35 Dalla Carta Italiana dei principi del Commercio Equo e solidale.

anni dopo, la “Cooperativa Terzo Mondo” si trasforma in Consorzio Botteghe, assumendo il nome di “CTM Altro Mercato”. Questa realtà, sin dal principio, intende essere “parte attiva e propositiva di un’economia sociale fondata sui principi del Commercio Equo e Solidale e della giustizia, sostenibilità e cooperazione.”36 Pertanto, “CTM Altro Mercato” oltre alla promozione e alla commercializzazione di prodotti (alimentari e/o artigianali) provenienti dalle aree svantaggiate e dal Sud del mondo, si impegna sia in attività di divulgazione e di informazione sui problemi inerenti lo sviluppo delle zone suddette sia nell’incremento sul territorio nazionale di cooperative e di imprese no-profit che realizzino i medesimi scopi. Attualmente “CTM” comprende ora 130 cooperative socie del consorzio che gestiscono 350 punti vendita in tutta Italia37.

Come già sottolineato, sono le “Botteghe del Mondo” il canale privilegiato per la distribuzione dei prodotti del Commercio Equo e Solidale: esse sono lo spazio fisico di contatto fra il Nord e il Sud del mondo, uno strumento di incontro, scambio e aggregazione immerso nel tessuto urbano che, ponendo l’accento sull’importanza della sobrietà nei consumi e sul concetto di condivisione, promuove la “coscientizzazione” degli individui che vi transitano ed assicura la trasmissione dei principi e delle idee che sono alla base del CEeS. Quest’ultimo, come accennato poc’anzi, si configura come un approccio alternativo alle forme del commercio tradizionale che, attraverso la costituzione di rapporti di partenariato con i produttori dei paesi del Sud del mondo e l’informazione volta alla promozione di nuovi stili di vita nel Nord del mondo, delinea i tratti di una nuova forma di protesta politica, poiché “produrre, importare, vendere e acquistare prodotti equo-solidali significa creare pratiche sociali autonome che mantengono però con la logica degli avversari un legame molto forte, di tipo relazionale, che vede ribaltare lo scopo del denaro quale medium centrale del modello di sviluppo oggi dominante: al denaro visto come profitto e come infallibile sinonimo di benessere si oppone quindi il denaro come mezzo per creare un’economia solidale basata su reciprocità e partecipazione sociale” [Rosi 2003, 79].

L’impegno sociale e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso i criteri del Commercio Equo e Solidale sono alla base anche di un’altra delle realtà che a partire dal 1999 contribuisce alla nascita ed al successivo sviluppo della Rete di Lilliput. Si tratta di “Roba dell’Altro Mondo”, una cooperativa sorta nel 1997 ed impegnata appunto nel commercio equo ed in attività di sensibilizzazione su tematiche inerenti la disparità nei rapporti fra il Nord ed il Sud del mondo.

Dopo circa sei anni di impegno orientato in questo senso, l’originaria società cooperativa muta forma diventando una associazione e assumendo la denominazione di: “Associazione Roba dell’Altro Mondo-Cooperazione Internazionale”. Gli obiettivi principali che la realtà in esame si propone di raggiungere sono, in sintesi, i seguenti:

• la commercializzazione, in base ai principi del commercio equo e solidale, di prodotti provenienti, per lo più, da zone economicamente svantaggiate;

• la realizzazione di una rete di rapporti basati sull’equità e sulla solidarietà con le organizzazioni locali, comunitarie e nazionali appartenenti alle zone sopra citate;

• l’attuazione di una serie di iniziative di informazione e di divulgazione sui problemi inerenti lo sviluppo delle zone suddette.

Il commercio equo e solidale, inteso come una nuova forma di cooperazione economica di base, viene quindi interpretato come uno strumento attraverso cui sperimentare un cambiamento che va nella direzione del riconoscimento dell’esistenza della possibilità di costituire dal basso un “altro” mercato, una nuova cultura economica che tenga conto dei bisogni e dei diritti di popolazioni impoverite dai meccanismi che invece regolano lo sviluppo neoliberista.

Anche “Roba dell’Altro Mondo”, in linea con questi principi e con i criteri generali adottati da tutte le organizzazioni del commercio equo e solidale, riconosce nelle botteghe del commercio equo dei partners privilegiati non solo per la commercializzazione dei propri prodotti ma anche per la

36 Da http://www.altromercato.it/it/chi_siamo/statuto/

concretizzazione di quell’attività di sensibilizzazione che le Botteghe del mondo svolgono costantemente sui temi della giustizia economica, della pace, del rispetto delle diversità. Il percorso che conduce “Roba dell’altro mondo” ad aderire al Tavolo Intercampagne prima, e a Lilliput dopo è peculiare. La realtà in questione, infatti, è abbastanza giovane rispetto alle altre e il suo impegno sembra concretizzarsi dapprima all’interno di Lilliput e poi, in seconda battuta, nel Tavolo Intercampagne.

Come sottolinea un rappresentante di “Roba dell’altro mondo”:

“il percorso verso il Tavolo è stato un percorso un po’ lungo perché Roba dell’altro

mondo si avvicina ai movimenti per sua indole; è stata ed è ancora una realtà molto

piccola e quindi, se vuoi, anche molto personalizzata, perciò la persona che si occupava in maniera specifica dell’aspetto politico ero io, e in concordanza ed in coerenza con le altre persone che facevano parte della cooperativa abbiamo scelto di seguire una strada molto politica, affiancare il commercio equo e solidale nelle pratiche con un ragionamento di costruzione di reti nell’ambito del movimento che stava nascendo. Noi ci avviciniamo al Tavolo in realtà avvicinandoci dal basso, perché noi arriviamo da una prima partecipazione alla nascita della rete Lilliput nel ’99. Lilliput nasce poco prima di Seattle e noi decidiamo di partecipare alla costruzione della Rete attraverso la cucitura della rete ligure. Quindi ci occupiamo della rete ligure. Quasi sovrapposta alla costruzione della rete ligure c’è chiaramente Seattle, e subito dopo MobiliTebio a Genova, la mobilitazione sulle biotecnologie. Noi ci siamo impegnati nella costruzione della mobilitazione. Quindi in un certo senso Roba dell’altro mondo invece di passare attraverso le grandi organizzazioni nazionali passa dalle reti locali”. [Intervista T4]

La partecipazione di “Roba dell’altro mondo” si delinea innanzitutto come adesione alla Rete Lilliput, e poi come coinvolgimento all’interno dell’organismo da cui Lilliput prende vita, seguendo, quindi, un percorso inverso rispetto a quello che caratterizza gli altri gruppi del Tavolo Intercampagne.

Del tutto differente è, invece, la strada intrapresa dal “Centro Nuovo Modello di Sviluppo” (CNMS) che sin dal principio è all’interno del Tavolo Intercampagne.

Sorta nel 1985 a Vecchiano, nei pressi di Pisa, la realtà in questione fa parte di un più ampio progetto sociale portato avanti da un gruppo di famiglie attive nell’attuazione di modelli di accoglienza diretta a soggetti disagiati e nella progettazione di forme di sensibilizzazione sulle problematiche del territorio locale, le quali si esplicano principalmente in una serie di attività svolte all’interno delle scuole, delle parrocchie, delle associazioni di volontariato.

La dimensione locale delle azioni promosse dal “Centro Nuovo Modello di Sviluppo” si mescola e si affianca a quella globale che permea di sé una parte consistente del lavoro del “Centro”. Infatti, a partire dalla convinzione che il disagio non possa essere affrontato solo con la solidarietà poiché necessita anche e soprattutto di una serie di risposte di carattere politico, il gruppo di cui si parla è impegnato nell’analisi dei meccanismi dell’economia globale, dei rapporti di cooperazione internazionale e di quelli che intercorrono fra il Nord ed il Sud del mondo, oltre che delle cause che generano impoverimento emarginazione e degrado ambientale. Attraverso la conoscenza e la comprensione di questi processi, il sapere si coniuga quindi con l’azione e permette la definizione di un insieme di forme propositive e di difesa in grado di arginare le conseguenze negative della cattiva gestione delle risorse mondiali, accentuatasi soprattutto in seguito all’espansione della globalizzazione neo-liberista.

Come in altri casi di cui si è già parlato, anche il “Centro Nuovo Modello di Sviluppo” riconosce nel “quotidiano” il luogo privilegiato di una serie di forme di impegno attraverso le quali, si pensa, possa prendere corpo il cambiamento.

La sperimentazione di uno stile di vita ispirato alla sobrietà ed alla sostenibilità caratterizza sia la vita quotidiana dei gruppi appartenenti al “CNMS” sia il loro impegno all’esterno: “appare chiaro che la politica non si fa solo nella cabina elettorale o nelle manifestazioni di piazza. La politica

si fa ogni momento della vita: al supermercato, in banca, sul posto di lavoro, all'edicola, in cucina, nel tempo libero, quando ci si sposa. Scegliendo cosa leggere, come, cosa e quanto consumare, da chi comprare, come viaggiare, a chi affidare i nostri risparmi, rafforziamo un modello economico sostenibile o di saccheggio (…) contribuiamo a costruire la democrazia o a demolirla, sosteniamo un'economia solidale e dei diritti o un'economia animalesca di sopraffazione reciproca”38.

Queste sono le idee chiave che guidano il “Centro” il cui operato si concretizza in un insieme di attività di indagine sul comportamento delle grandi imprese e delle multinazionali, di informazione e di sensibilizzazione sulle condizioni di iniquità che regolano i rapporti fra il Nord ed il Sud del mondo, di ricerca di ipotesi e di soluzioni alternative allo stato di cose esistente. Fra le più importanti pubblicazioni del “Centro” ricordiamo la “Guida al consumo critico” che contiene informazioni su circa 170 gruppi italiani ed esteri, e il testo “Sobrietà” che descrive come si possono orientare gli acquisti verso prodotti ottenuti nel rispetto dei diritti e del principio di equità, mettendo in atto uno stile di vita sobrio39.

Il denominatore comune delle dimensioni all’interno delle quali si sviluppano le forme d’azione del “Centro” si basa sulla convinzione che il cambiamento passi attraverso la sobrietà, la denuncia, il consumo critico, il risparmio responsabile, la partecipazione. I comportamenti che rispettano questi principi ampliano, quindi, il repertorio delle forme della partecipazione politica; più precisamente, si affiancano, senza generalmente sostituirsi, ad alcuni modi tradizionali di partecipare alla politica.

Basata sul principio del consumo critico è, poi, la campagna “Bilanci di giustizia” lanciata nel 1993 nel corso del quinto raduno dell’associazione “Beati i costruttori di pace”.

Pensata con lo scopo di trasformare il consumo in “un atto consapevole ed in uno strumento di riappropriazione del potere di scelta”40 e rivolta principalmente alle famiglie, la campagna suddetta si propone di creare una sorta di rete di consumatori “leggeri”, decisi cioè a modificare la struttura dei loro consumi e l’utilizzo dei loro risparmi. Come ci racconta un rappresentante dei “Beati i costruttori di pace”:

“Bilanci di Giustizia nasce da una proposta elaborata all’interno di una <<arena>>. Le <<arene>> furono, a cavallo tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90, una serie di mega- incontri a tema organizzati periodicamente da quello che allora era il movimento - e non ancora associazione - <<Beati i Costruttori di Pace>>. Nella preparazione di una di queste arene, intitolata “Quando l’economia uccide, bisogna cambiare”, l’anno credo fosse il ‘93, nacque la proposta di tenere sotto occhio il proprio bilancio familiare, per capire come ciascuno di noi, spesso inconsapevolmente, partecipa ai meccanismi più distruttivi dell’economia neoliberista. Dal confronto delle esperienze, nascevano poi le proposte alternative per liberarsi da tali meccanismi”.[Intervista T11]

“Bilanci di giustizia” si basa, dunque, oltre che sul principio del consumo critico anche