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I Nuovi Movimenti Sociali

Il passaggio dalla società industriale a quella post-industriale è accompagnato da una serie di mutamenti che investono necessariamente anche le forme dell’azione collettiva. Queste ultime si trasformano estendendosi ad aree in precedenza non attraversate da conflitti e mettendo in discussione i contenuti e le forme della politica istituzionalizzata.

Gli studi sui “Nuovi Movimenti Sociali” sono strettamente connessi ad una serie di lavori condotti dall’americano Ronald Inglehart sui processi di mutamento che investono le società industriali e che delineano i confini delle cosiddette società post-industriali. La tesi che guida l’analisi di Inglehart può essere così sintetizzata: “i valori delle popolazioni occidentali si sono spostati da un’enfasi preponderante sul benessere materiale e sulla sicurezza fisica verso una maggiore enfasi sulla qualità della vita. Le cause e le implicazioni di questo mutamento sono complesse, ma il principio fondamentale potrebbe venir enunciato molto semplicemente: la gente tende ad occuparsi di più dei bisogni o delle minacce immediati, e di meno delle cose che sembrano lontane e che non costituiscono una minaccia diretta” [Inglehart 1983, 4].

Alla base di questa trasformazione ci sono una serie di cambiamenti che coinvolgono due dimensioni: quella individuale e quella sistemica.

Alla crescita economica che investe i paesi dell’occidente europeo si aggiunge lo sviluppo delle tecnologie e delle comunicazioni di massa, processi che generano importanti conseguenze sia sui valori che sulle capacità dei singoli individui.

La sicurezza economica e quella fisica, sottolinea Inglehart, sono ancora elementi rilevanti per le popolazioni occidentali, ma assumono un’importanza inferiore rispetto al passato. A partire dagli anni Sessanta e Settanta, infatti, gli individui sembrano rivolgere un’enfasi sempre crescente ai cosiddetti bisogni post-materialistici, cioè a quei bisogni di natura intellettuale o estetica, che hanno a che fare con l’appartenenza e l’autorealizzazione.

Inoltre, i livelli crescenti di istruzione, uniti alla diffusione quasi incontrollata dei mass media determinano un cambiamento anche nella diffusione delle capacità politiche. In altri termini, i fattori appena citati spiegano il fatto che un numero sempre più ampio di persone giunga ad avere un interesse ed una comprensione delle questioni attinenti la politica tali da essere potenzialmente in grado di partecipare ai processi decisionali nazionali ed internazionali.

Le conseguenze che si producono a livello di sistema sono molteplici. Innanzitutto, il cambiamento dei valori determina un parallelo mutamento nelle questioni politiche prevalenti. Ciò

significa che le agende politiche si ampliano fino a comprendere problemi relativi agli “stili di vita”, alla qualità del lavoro, al riconoscimento delle differenze, alle tematiche ambientali, alla stima di sé. Ma le trasformazioni dei valori individuali sono inevitabilmente legate anche ad un cambiamento che investe le basi sociali del conflitto politico. Infatti, come sottolinea Inglehart, l’importanza delle questioni che riflettono la stratificazione tipica della società industriale sembra declinare di fronte all’affermarsi di “una politica basata sullo status, sulla cultura o sugli ideali” [Ivi, 35].

Questo insieme di processi genera a sua volta un importante cambiamento negli stili della partecipazione politica. Nella società industriale, infatti, essa si esplicava principalmente attraverso l’adesione ai partiti di massa e alle organizzazioni ad essi collegate. Nel passaggio alla società post- industriale, invece, la mobilitazione politica diretta dalle élites perde terreno di fronte alle sfide poste da nuove forze sempre meno riconducibili a strutture burocratizzate e gerarchizzate, e sempre più spinte ad agire dalla spontaneità e dall’auto-espressione individuale.

Gli studi di Inglehart descrivono, quindi, una “rivoluzione silenziosa” che attraversa il mondo occidentale nel periodo considerato e che viene alimentata da due processi strettamente collegati: il primo sottolinea lo spostamento da un’enfasi preponderante sui consumi materiali verso un interesse sempre maggiore sulla qualità della vita; il secondo ha a che fare con un cambiamento significativo nella distribuzione delle capacità politiche delle popolazioni occidentali.

La “rivoluzione silenziosa” ha alla base un insieme di conflitti le cui cause non sono rintracciabili in questioni di distribuzione ma in problemi che riguardano quella che Habermas definisce la “grammatica di forme di vita” [Habermas 1986, vol. II, 1072], cioè gli ambiti della socializzazione, della riproduzione culturale, dell’integrazione sociale. La “colonizzazione” di questi “mondi vitali” messa in atto dal sistema fa sorgere nuove forme di protesta da parte di gruppi fortemente eterogenei ma uniti da una comune critica alla crescita delle società capitalistiche avanzate. Habermas individua una vasta gamma di nuovi movimenti che si mobilitano attorno ai processi sopra citati e, all’interno di questa varietà, distingue i “potenziali di emancipazione” [Ivi, 1074] da quelli di “resistenza e di rifiuto” [Ibidem]. Nei primi rientrano sia il movimento americano per i diritti civili sia il movimento femminista. Nella seconda categoria si inseriscono, invece, il movimento giovanile e quelle forme di movimenti che non intendono approdare a “nuovi territori” quanto piuttosto resistere alle tendenze che spingono verso la “colonizzazione dei mondi vitali”. Per quanto concerne le finalità e i modi d’agire, Habermas individua tre aree di problemi diffuse nei nuovi movimenti sociali. Innanzitutto, i “problemi verdi”: la protesta si scatena a causa delle distruzioni ambientali e dei danni tangibili provocati dall’industrializzazione, dall’urbanizzazione selvaggia e dall’utilizzo di prodotti tossici per l’ambiente. In secondo luogo, ci sono i “problemi di ipercomplessità” in base ai quali esplodono proteste per le quali si mobilitano soggetti impauriti di fronte alle possibili conseguenze di processi messi in atto dagli uomini ma che, data la loro grandezza, sfuggono al loro stesso controllo. Si tratta di paure riguardanti le armi atomiche, le manipolazioni genetiche ecc.

Infine, Habermas parla dei “sovraccarichi dell’infrastruttura comunicativa”. Rientrano in questa dimensione quelle iniziative che resistono alla “colonizzazione dei mondi vitali” costruendo comunità e identità a partire dalla valorizzazione di caratteristiche ascrittive [Ivi, 1075-1077].

L’analisi appena condotta sottolinea che anche nella prospettiva habermasiana i processi di trasformazione delle società complesse spostano il campo dei conflitti, facendo sì che essi sorgano proprio “nei punti di sutura fra sistema e mondo vitale” [Ivi, 1076], in uno spazio intermedio fra il “pubblico” ed il “privato”. Infatti, come sottolinea Offe, i “Nuovi Movimenti Sociali” politicizzano temi che non rientrano più nella tradizionale classificazione binaria “pubblico/privato”. Allo stesso modo, non si possono più identificare gli attori che si mobilitano all’interno di queste forme d’azione collettiva codificandole lungo il classico asse “destra/sinistra, liberali/conservatori”.

Offe ritiene che la base sociale dei “Nuovi Movimenti Sociali” si componga di tre segmenti: 1. la nuova classe media;

2. elementi della vecchia classe media;

Dal punto di vista socio-economico, quindi, i militanti dei “Nuovi Movimenti Sociali” sembrano caratterizzati da un elevato grado di istruzione, da una certa stabilità economica e dall’impiego in quelle che l’autore tedesco chiama “occupazioni professionali al servizio della persona” [Offe 1988, 171]. Tuttavia, bisogna aggiungere che alla “nuova classe media” si uniscono anche gruppi “periferici” e “demercificati”, cioè quei segmenti che, non essendo direttamente impegnati nel mercato del lavoro, possono permettersi di dedicare molto tempo all’attività politica. Rientrano in questa categoria gli studenti, le casalinghe, i pensionati, soggetti le cui condizioni di vita sono regolate da “meccanismi, molto spesso autoritari e restrittivi, di supervisione, esclusione e controllo sociale, oltre che dall’impossibilità di scelte definitive sia pur nominali” [Ibidem]. Anche diversi settori della “vecchia” classe media fanno parte della base sociale dei “Nuovi Movimenti Sociali”. Si tratta di lavoratori in proprio, autonomi, come ad esempio artigiani ed agricoltori, che dimostrano di avere interessi economici coincidenti con quelli espressi dalla “nuova politica” dei movimenti sociali di cui si parla.

Gli elementi discussi ci permettono di comprendere le questioni essenziali alla base della nascita dei “Nuovi Movimenti Sociali”. Un importante contributo su questo tema è offerto dalle analisi e dagli studi di Alberto Melucci di cui ci accingiamo a parlare.