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La fase “embrionale” della Rete Lilliput

4.4 L’evoluzione del modello organizzativo: una premessa

4.4.1 La fase “embrionale” della Rete Lilliput

Come sottolineato poc’anzi, dal momento del lancio ufficiale della Rete (luglio 1999) fino alla prima assemblea nazionale, tenutasi a Marina di Massa dal 6 all’8 ottobre 2000, ci sembra di poter parlare di una “fase embrionale” della Rete.

Lilliput non è ancora un soggetto ben definito, ma una realtà in costruzione. La proposta elaborata dal Tavolo Intercampagne inizia ad essere accolta da diverse realtà locali le quali, in base alle proprie specificità territoriali, cominciano a creare i nodi della Rete. Dal punto di vista organizzativo, quindi, la Rete Lilliput si compone inizialmente di due elementi principali: Il Tavolo Intercampagne e i Nodi locali. Il primo è un organismo esterno alla Rete ma, nello stesso tempo, ad essa strettamente collegato. Svolge il ruolo di garante del “Manifesto” ed è promotore di temi e campagne che vengono poi affrontate a livello locale, nei diversi nodi.

Questi ultimi sono “il cuore pulsante della rete”, luoghi di ricerca, proposta ed azione sulle tematiche di cui si occupa la Rete. La loro organizzazione è abbastanza variabile e inevitabilmente legata alle dinamiche locali. Dall’evoluzione dei rapporti fra il Tavolo Intercampagne e i nodi prendono vita le prime discussioni inerenti la formula organizzativa da adottare e il ruolo di Lilliput nel più ampio movimento globale. Queste ed altre questioni sono oggetto di discussione nel primo incontro nazionale della Rete al quale partecipano, contro ogni attesa, oltre 1000 persone. Lo stupore di fronte a questa affluenza è grande ed inaspettato:

“parte la prima assemblea nazionale di Lilliput. Noi ci aspettavamo 300 persone: ne sono arrivate 1050. Un centinaio erano lì per vedere cosa succedeva. Abbiamo creato gruppi di lavoro fra cui quello sull’organizzazione e in questo gruppo c’erano circa 150 persone. La Rete parte in questo modo”. [Intervista T1]

Le parole del nostro intervistato sottolineano l’importanza, all’interno di una realtà ancora in via di costituzione, dell’elemento organizzativo, o meglio di una sperimentazione organizzativa che, direttamente collegata alla critica dei modelli tradizionali di partecipazione politica, diventa indispensabile per avviare il processo di costruzione dell’alternativa che si intende praticare.

Nel periodo antecedente l’assemblea, il Tavolo Intercampagne propone la creazione di alcuni “gruppi di lavoro” la cui realizzazione avviene in due momenti. Nei mesi che precedono l’incontro nazionale, il Tavolo Intercampagne chiede ai gruppi locali di aprire la discussione e l’approfondimento tematico nei rispettivi territori di appartenenza; le riflessioni e le proposte maturate attraverso questo percorso costituiscono la base sulla quale si costruisce l’attività dei gruppi di lavoro nel corso dell’assemblea.

I gruppi sono in tutto cinque, e a ciascuno di essi si chiede di definire, per le realtà locali e nazionali, un documento di sintesi riportante la posizione della nascente Rete Lilliput sulle tematiche discusse60. I suddetti gruppi sono anche incaricati di identificare delle modalità di intervento condivise e di fornire delle precise indicazioni sull’organizzazione e sulle modalità di lavoro della Rete.

Il gruppo n. 5, a cui è demandata l’elaborazione di un documento contenente le regole di un’organizzazione minima della Rete, conclude i suoi lavori sintetizzando le proposte pervenute da circa 170 persone. Sembra che la principale causa di disaccordo riguardi il ruolo del Tavolo Intercampagne: “la maggior parte dei nodi dimostra una certa insofferenza di fronte allo schema che vede il Tavolo Intercampagne in posizione centrale, come portavoce e responsabile dell’attività dell’intera Rete (…). In effetti non sono state le varie realtà di base ad eleggere un organismo centrale, ma è stato questo organismo ad essersi auto-creato e ad aver dato vita anche alle realtà locali” [Veltri 2004, 176-177].

Quello che, a partire dalla prima assemblea nazionale, viene delineandosi come un vero e proprio problema organizzativo trova una sua prima elaborazione nel contributo fornito dal gruppo di lavoro n. 5. Quest’ultimo, in base a quanto pervenuto dai gruppi locali, sintetizza le idee principali riguardanti la struttura della Rete in tre posizioni:

• la prima è quella che ingloba le proposte di quanti auspicano la creazione di una struttura totalmente orizzontale, da realizzare attraverso la partecipazione diretta e il superamento della rappresentanza. In tale ipotesi, il Tavolo Intercampagne diviene uno dei nodi della Rete;

• la seconda ipotesi prevede una struttura orizzontale-verticale, in base alla quale la democrazia rappresentativa viene riconfermata attraverso l’attribuzione ai nodi locali e/o all’assemblea nazionale della possibilità di eleggere un vero e proprio “centro decisionale”. Seguendo tale prospettiva, il ruolo del Tavolo Intercampagne viene ridimensionato a favore di un organismo eletto, il “centro decisionale”, costituito da un Comitato esecutivo che, scegliendo fra i suoi membri un Portavoce, risolve il problema della rappresentanza esterna della Rete;

• l’ultima posizione tiene conto della volontà di quanti ritengono valido il modello iniziale di Lilliput in base al quale il Tavolo Intercampagne si assume la capacità di decidere per la Rete e i nodi locali sono degli “amplificatori delle decisioni prese dal Tavolo”61.

Pur essendo consapevoli dell’esistenza di un importante problema di natura organizzativa inerente il ruolo del Tavolo Intercampagne, nel primo incontro nazionale gli appartenenti alla Rete non individuano un’efficace soluzione. La questione rimane in sospeso e, come vedremo, accompagnerà il successivo sviluppo della Rete Lilliput.

Se i principali punti di disaccordo riguardano il rapporto fra i gruppi locali ed il Tavolo Intercampagne sembra, invece, che non ci siano dubbi su quale debba essere lo “stile” della Rete. Quest’ultimo risulta basato sulla scelta della “nonviolenza” come modalità alla base dell’agire lillipuziano. Sia all’interno dei diversi luoghi della Rete sia nelle relazioni con soggetti esterni la nonviolenza è la cornice comune all’interno della quale i differenti soggetti decidono di operare in maniera congiunta su determinati temi, mettendosi, appunto, “in rete”.

60 Gruppo di lavoro n. 1: “Organizzazione mondiale di chi? E’ possibile riavviare un ciclo virtuoso dell’economia

mondiale?”; gruppo di lavoro n. 2: “Un mondo e un’Italia capaci di futuro”; gruppo di lavoro n. 3: “Lavoro e commercio, diritti e dignità”; gruppo di lavoro n. 4: “Armi e conflitti, popoli e migranti”; gruppo di lavoro n. 5: “Una vita da Rete”.

La “rete”, come sottolineato in uno dei documenti preparatori all’assemblea, è “la chiave di volta delle strategie lillipuziane, tanto quanto l’organizzazione piramidale, che ricalcava la fabbrica fordista, lo era dei tradizionali partiti di massa”62.

La “strategia lillipuziana”, intesa come una forma di resistenza molecolare contro quel “livellamento verso il basso” [Brecher, Costello 2001] prodotto dai processi della globalizzazione neoliberista, può svilupparsi solo creando e alimentando i collegamenti fra organizzazioni e realtà di base le quali, pur conservando la loro autonomia, lavorano insieme su questioni di interesse collettivo.

Nel documento relativo al gruppo di lavoro n. 5, la “rete” è indicata proprio come il punto di partenza fondamentale per l’attuazione della strategia lillipuziana.

Tale scelta è perfettamente in linea con i mutamenti che attraversano le forme dell’azione collettiva a partire dalla fine degli anni Sessanta. Al declino dei “movimenti-personaggio” corrisponde, infatti, la crescita delle capacità autoriflessive dei movimenti sociali. Anche i modelli organizzativi risentono del processo appena descritto. Essi, infatti, cambiano forma e diventano il fine stesso dell’azione, cessando di essere soltanto il modo attraverso cui le risorse vengono allocate e distribuite all’interno del gruppo per il raggiungimento di determinati obiettivi. Come sottolineato da Melucci, l’organizzazione “non appartiene più soltanto all’ordine dei mezzi (…). Essa ha un carattere autoriflessivo e la sua forma esprime il significato dell’azione” [Melucci 1987, 100]. Il modello organizzativo adottato da un gruppo diviene fondamentale non soltanto perché esso è necessario per la preparazione e per la gestione delle mobilitazioni visibili, ma anche perchè si trasforma in un vero e proprio un luogo di sperimentazione, a partire dal quale gli attori lanciano le loro sfide al sistema dominante e sperimentano un “già” che prefigura il “non ancora”.

Sembra, quindi, che l’organizzazione assuma un carattere autoreferenziale e che diventi oggetto di continui mutamenti che la definiscono e ridefiniscono in base alle scelte ed all’evoluzione degli attori.

Quanto appena detto è riscontrabile anche nel caso da noi analizzato. La scelta di dar vita ad un’organizzazione a rete sottolinea la necessità avvertita innanzitutto dai componenti del Tavolo Intercampagne di dotare Lilliput di una forma che abbia valore in sè.

Dal punto di vista organizzativo, la prima assemblea nazionale di Lilliput si conclude riconoscendo la centralità dei nodi locali nello sviluppo della Rete. Ogni nodo viene ad essere inteso come un’aggregazione di individui ed associazioni che condividono il “Manifesto”, gli obiettivi e le strategie d’azione della Rete. Il nodo si dota di una struttura leggera, atta a favorire modalità inclusive di partecipazione e lo sviluppo di relazioni fiduciarie fra i componenti del gruppo locale. Quest’ultimo utilizza metodi d’azione nonviolenta e si impegna principalmente in attività di formazione, informazione e comunicazione.

Si afferma, quindi, la necessità di costituire dei nodi che a livello locale attivino la comunicazione fra gruppi e realtà disposte a lavorare su obiettivi comuni, unendo risorse e competenze.

Mettere in comune le competenze accumulate su determinate tematiche e porle al servizio della Rete è lo scopo per il quale si costituiscono, nel corso dell’assemblea, i Gruppi di Lavoro Tematici, le cui funzioni verranno meglio definite a partire dal secondo incontro nazionale di Lilliput.

Nel documento conclusivo presentato alla fine della prima assemblea nazionale sono riportati gli elementi principali dell’“alternativa” che Lilliput intende praticare. Essa prende corpo innanzitutto attraverso l’affermazione soggettiva. Quest’ultima, richiamandoci a quanto affermato da Touraine sui percorsi di soggettivazione63, può essere intesa come un processo che rende l’individuo un soggetto “[che] si oppone alla logica del dominio sociale in nome di una logica della libertà, della libera produzione di sé” [Touraine 1993, 275]. La dimensione individuale interseca

62 A. A., V. v. (2001), p. 61.

quella collettiva poiché l’attività all’interno della Rete tende ad alimentare l’assunzione di una responsabilità che acquista rilevanza pubblica.

Rimane un punto interrogativo riguardante, come già detto, il ruolo del Tavolo Intercampagne e la funzione di rappresentanza da esso svolta, seppur implicitamente, fino al primo incontro di Marina di Massa. Questa problematica organizzativa è particolarmente evidente nelle giornate del G8 di Genova, nel luglio del 2001. In quell’occasione, infatti, la mancanza di un portavoce legittimato a parlare per l’intera Rete e riconosciuto in quanto tale sia nei diversi luoghi della Rete sia all’esterno di essa diviene causa di debolezza e sintomo di un modello organizzativo che incontra numerose difficoltà nel suo concreto funzionamento.