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Il G8 di Genova: la visibilità di un movimento

3.2 Il movimento globale in Italia

3.2.1 Il G8 di Genova: la visibilità di un movimento

In Italia, il movimento globale diviene visibile e conosciuto dalla maggioranza dell’opinione pubblica soprattutto dopo gli eventi di Genova del luglio del 2001. Tuttavia, i primi tentativi di coordinamento fra le molteplici realtà che si incontrano nel movimento globale si hanno già nei primi mesi del 2000 quando la mostra internazionale sulle biotecnologie, prevista a Genova nella primavera di quell’anno, offre l’occasione per sperimentare forme embrionali di cooperazione fra gruppi e soggetti differenti. Nasce, infatti, “MobiliTebio” una piattaforma all’interno della quale si realizza una convergenza fra alcuni partiti politici, Verdi e Rifondazione Comunista, i loro settori giovanili, un’area legata ai centri sociali della “Carta di Milano”29 e alcuni gruppi della nascente Rete Lilliput.

Come avvenuto negli altri paesi, anche in Italia la protesta contro la “globalizzazione neoliberista” ha permesso il collegamento fra una serie di “frame settoriali” che si sono espressi in tutta la loro complessità in occasione di importanti eventi, primo fra tutti, il G8 di Genova del luglio del 2001.

L’analisi delle mobilitazioni genovesi, condotta dal gruppo di ricerca “Grace” guidato da Donatella Della Porta, si focalizza, fra le altre cose, sul processo di costruzione delle identità delle diverse componenti del movimento. Semplificando, lo studio di cui si parla individua quattro schemi interpretativi al cui interno si muovono le principali reti di protesta presenti a Genova. Queste ultime si sono aggregate all’interno del Genoa Social Forum, un organismo pensato proprio per facilitare il coordinamento e le convergenze nell’azione fra i molteplici gruppi presenti alle mobilitazioni genovesi. I principali network organizzativi che partecipano all’evento sembrano aggregarsi intorno ai seguenti frames interpretativi:

• “solidarietà e globalizzazione”: un frame che ingloba un’area legata al mondo cattolico che, però, non aderisce al Genoa Social Forum;

• “ecopacifismo e nonviolenza”: all’interno di questo schema interpretativo sembra rientrare la protesta avanzata dalla Rete Lilliput. In quest’area che accosta l’impegno cristiano a quello ambientalista e femminista, si costruisce un discorso interamente incentrato sulla nonviolenza, su un ritorno ai valori, e su una politica mossa da principi etici;

• “antiliberismo di sinistra”: questo frame ingloba organizzazioni come Attac, l’Arci e il partito di Rifondazione comunista, cioè realtà che accostano la critica agli effetti della globalizzazione neoliberista al richiamo alla centralità della politica “come unico

28 Dichiarazione finale del primo incontro nazionale della Rete Lilliput.

29 La “Carta di Milano” è un documento risalente al 1998 con cui i centri sociali del nord-est ed alcuni centri sociali di

Roma decidono di aprirsi all’esterno, collaborando con quelle forze politiche vicine all’area dei centri sociali. Per maggiori informazioni si veda Della Porta (2002), p. 46, 47.

strumento a disposizione della società per governare i processi di globalizzazione” [Andretta, Mosca 2003, 35];

• “anticapitalismo e antiglobalizzazione”: in questo settore si inseriscono sia quei centri sociali che a Genova compongono il “Network per i diritti globali” sia l’area anarchica, i black block e i gruppi anarco-insurrezionalisti, un’area all’interno della quale domina una lettura della situazione contemporanea in termini di “anticapitalismo” ed “antimperialismo”. In tal senso, la borghesia diventa il “nemico” cui opporsi e il movimento “il proletariato globale dal quale dipende uno sbocco rivoluzionario” [Ivi, 35].

Lo studio di cui si parla passa dall’analisi dei frames elaborati all’interno delle organizzazioni di movimento alle “cornici cognitive” degli stessi attivisti di movimento; ci si chiede, infatti, se e in che misura “il lavoro simbolico operato dalle organizzazioni e i movimenti sia riuscito a diffondersi tra gli attivisti, o meglio se il master frame abbia colto effettivamente la loro centralità ideale” [Andretta 2005, 260].

Lo schema interpretativo più diffuso non è, come si potrebbe pensare, quello antiglobalizzazione ma, al contrario, quello che legge la protesta in termini di “partecipazione democratica e consapevole” alle decisioni che investono tutti. Il 40% degli attivisti si esprime in tal senso, manifestando così un’esigenza di partecipazione politica diretta e cosciente e denunciando, allo stesso tempo, una mancanza di trasparenza e, in generale, di democrazia soprattutto negli organismi sovranazionali di governo. Il secondo schema interpretativo utilizzato dagli attivisti delle principali reti che conducono la protesta a Genova è quello che intende il movimento come un soggetto attraverso il quale esprimere un’esigenza di giustizia sociale. Il 37,2% degli intervistati nelle giornate di Genova, appartenenti per lo più all’area Attac-Rifondazione Comunista-Arci e alla Rete Lilliput, si ritrova in questo schema interpretativo della protesta che pone l’accento sulla distribuzione ineguale delle risorse e sulla necessità di realizzare un benessere generalizzato e un rafforzamento dei diritti sociali. L’analisi condotta dal gruppo di ricerca “Grace” sottolinea, poi, la presenza di un 29,8% per il quale la protesta è strettamente legata a concetti come pace, ambiente, solidarietà. Quest’area fa dell’ecopacifismo e dei valori etici il perno attorno al quale ruota soprattutto il discorso degli attivisti della Rete Lilliput. Come sottolinea la Della Porta questa categoria sembra aver collegato il postmaterialismo dei nuovi movimenti sociali con l’etica cristiana e con la nonviolenza [Andretta, Della Porta, Mosca, Reiter 2002] contribuendo alla formazione di un frame che interpreta la protesta come il modo attraverso cui esprimere la necessità di una politica che riparta da principi etici e che punti alla realizzazione di una partecipazione quanto più possibile diretta ed orizzontale.

Un altro schema interpretativo utilizzato dagli attivisti per motivare la protesta è quello diffuso soprattutto nell’area Attac-Rifondazione Comunista-Arci; tale frame, intorno al quale si coagula il 16,2% degli intervistati a Genova, articola una critica alla trasformazione del rapporto fra economia e politica causato dai processi della globalizzazione neoliberista. Questa valutazione riguarda “non la negazione del mercato in quanto tale, ma la richiesta di una sua regolamentazione attraverso un controllo politico democratico” [Ivi, 101].

Infine, l’analisi di cui si parla mette in luce una percentuale relativamente ridotta di attivisti, provenienti soprattutto dall’area dei centri sociali, (l’11,1%) per i quali il senso della protesta è una vera e propria lotta “anticapitalista” la cui attuazione non prevede possibilità di riforma dei soggetti che guidano la globalizzazione neoliberista. Le iniziative che si svolgono in Italia sembrano, quindi, affrontare le stesse tematiche e i medesimi problemi che alimentano le proteste a livello internazionale; senza alcuna pretesa di esaustività, possiamo individuare nel movimento che prende corpo nel nostro paese delle realtà le cui azioni, messe in atto soprattutto da militanti dei centri sociali e dei disobbedienti, sono mosse da una visione del mondo del tutto alternativa a quella predominante; accanto ad esse si hanno, poi, una serie di iniziative che è possibile ricondurre principalmente alle attività di Ong di cooperazione internazionale e, in generale, a quella che è stata definita la componente “etico-nonviolenta” del movimento. Le organizzazioni non governative sono delle formazioni altamente istituzionalizzate che, muovendosi fra azioni di lobbying e di advocacy,

necessitano per i loro interventi di un sapere specialistico e professionale. Spesso le loro strategie d’azione sono state di ispirazione per alcune componenti della Rete Lilliput la quale, come avremo modo di vedere, tende a rifiutare l’idea di una protesta slegata da elementi di tipo propositivo. Nelle iniziative del movimento globale convergono anche importanti organizzazioni sindacali. Il sindacalismo pur avendo un carattere universale, “in quanto espressione dei lavoratori nel conflitto capitale/lavoro” [Aguiton 2001, 83], è strettamente dipendente dai contesti nazionali. Nel nostro paese, le azioni di protesta contro globalizzazione neoliberista vedono soprattutto la partecipazione del sindacalismo di sinistra e quello della sinistra radicale: Cgil e Fiom da un lato, Cobas e RdB CUB dall’altro sono coinvolti in maniera differente nelle iniziative del movimento, difendendo gli interessi di determinate categorie professionali ma, nello stesso tempo, ampliando il loro raggio d’azione per adeguarlo ai cambiamenti intervenuti nelle società contemporanee, cambiamenti non più riconducibili al tradizionale quadro della lotta di classe dell’industrialismo.

Lo studio condotto dal gruppo di ricerca “Grace” nel corso delle mobilitazioni genovesi del luglio di quell’anno, focalizzandosi in maniera particolare sui processi di produzione dell’identità, con riferimento sia ai network organizzativi sia ai singoli attivisti, sottolinea dunque che se la presenza di un master frame dominante certamente agevola la connessione di diversi frames settoriali, frutto della pluralità stessa del movimento, essa, però, non sembra dare luogo ad una vera e propria identità collettiva. La negoziazione dei differenti punti di vista favorisce di sicuro un’identificazione, ma un’identificazione in un “processo collettivo” non in un “soggetto collettivo” [Andretta, Mosca 2003, 42]. Rispetto ai movimenti del passato, quello che manifesta per le strade di Genova appare un soggetto composito che non richiede appartenenze esclusive e che sostituisce i percorsi concentrici attraverso i quali i tradizionali movimenti di massa ampliavano la loro capacità inclusiva, con ponti di relazioni favorite chiaramente anche dall’uso dei nuovi mezzi di comunicazione di massa. Come sottolineato da Melucci a proposito dei movimenti che si susseguono a partire dagli anni Settanta e che costituiscono, come già sottolineato, le fondamenta sulle quali si costruisce l’azione del movimento globale, non si tratta più dell’elaborazione di una identità totalizzante ed onnicomprensiva quanto, piuttosto, di un percorso di continua definizione e ridefinizione identitaria che nel caso del movimento esploso a Seattle è chiaramente legata all’eterogeneità della base di riferimento: classi, generi, religioni, generazioni differenti si intrecciano contaminandosi a vicenda, ma rivendicando ciascuno la propria autonomia.

Il soggetto collettivo che esprime la sua protesta nelle strade di Genova nasce e si sviluppa, quindi, all’interno di una dimensione “g-local”, cioè in un contesto che tiene insieme, al tempo stesso, spazi locali e prospettive globali.

La “globalizzazione” non deve essere intesa come un fenomeno unidimensionale o unilaterale; essa comporta, infatti, un’accentuazione del “locale” attraverso processi di “de- localizzazione” e “ri-localizzazione” [Beck 1999].

Dal punto di vista del movimento di cui si parla ciò significa che esso riesce ad attuare processi di interconnessione fra realtà differenti che trovano nel “locale” il principale ambito di azione e l’area di potenziale aggregazione; il locale fornisce risorse ed opportunità per la protesta globale. Quest’ultima può, così, contare sul coinvolgimento di realtà di movimento già costituite che si connettono per balzi all’interno di uno spazio potenzialmente senza frontiere.

CAPITOLO QUARTO

La Rete Lilliput. Le origini, l’evoluzione del modello organizzativo,

l’azione

L’esserci soffermati, seppur brevemente, sulle caratteristiche dei principali “Nuovi Movimenti” e sugli elementi fondamentali assunti dal movimento globale nel nostro paese ci consente ora di comprendere in maniera più dettagliata il percorso di costituzione e la successiva evoluzione dell’oggetto del nostro studio: la Rete Lilliput la quale, come vedremo, sembra aver ereditato temi e, in alcuni casi, anche strategie d’azione proprio dalle forme d’azione collettiva sopra citate.