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La crescente rilevanza della scala locale come spazio di regolazione economica e

Capitolo 2. L’emersione di nuovi scenari urbani tra macrotrasformazioni e

2.5 La crescente rilevanza della scala locale come spazio di regolazione economica e

Eccetto qualche rara eccezione, come nel caso dei distretti industriali, il locale, durante l’epoca del fordismo, non era considerato rilevante per la ricerca di modi di regolazione economica e sociale. Le principali questioni riguardanti la regolazione dei processi produttivi capitalistici, la promozione di crescita economica e competitività (politiche macroeconomiche e industriali), equità sociale (politiche di welfare) e riequilibrio territoriale (politiche regionali), in Europa, erano affrontate esclusivamente a livello centrale. Ai governi locali, che operavano come un’estensione dello Stato nazionale, era delegata una funzione di gestione finalizzata a fornire le infrastrutture adeguate per il

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I teorici della regolazione – come nota Harding (2005: 68) – incentrando il proprio sguardo interpretativo prevalentemente sulla scala nazionale, non hanno esplorato in modo approfondito le implicazioni delle trasformazioni nei modi di regolazione a livello subnazionale.

modello di produzione di massa, soddisfare i consumi collettivi e gestire le politiche locali di welfare46.

Nel corso degli ultimi decenni, però come l’analisi condotta nei precedenti paragrafi ha messo in luce, il quadro dei processi di regolazione è diventato molto più complesso. Intensi processi di ristrutturazione hanno disegnato una nuova geografia politico-istituzionale, a geometria variabile, all’interno della quale le città hanno acquisito un significato nuovo e più importante.

Riassumendo alcune delle riflessioni avanzate in precedenza, l’attuale

re-scaling47 dei processi di regolazione – che attribuisce proprio una maggiore

rilevanza alla scala urbana – è stato determinato in larga parte dall’avvento dei nuovi modelli di produzione flessibile e della knowldge-based economy e dal passaggio ad un’economia terziaria, che hanno contribuito a rivalutare la centralità degli assetti urbani (hard e soft) nei processi produttivi. All’interno di un quadro economico globale, caratterizzato da una più intensa integrazione delle economie e da una maggiore competitività, le città diventano un fattore capace di ridurre i costi di transazione tra le imprese e, allo stesso tempo, un livello di coordinazione importante per la risoluzione dei problemi di azione

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Queste considerazioni si rifanno alla teoria di derivazione marxista dello “Stato duale” (dual state) di Saunders che sostiene una suddivisione netta dei compiti tra governo centrale e governi locali: il primo si occupa dei cosiddetti “investimenti sociali”, che riguardano tutte quelle scelte riguardanti le condizioni indispensabili per lo sviluppo economico capitalistico (infrastrutture, scelte macroeconomiche, relazioni industriali e politiche economiche); i secondi, invece, si occupano dei “consumi sociali”, ossia delle politiche di welfare (sanità, assistenza, istruzione di base, ecc.). Le scelte in merito agli “investimenti sociali” sono state adottate in passato in modo centralizzato attraverso un modello corporativo, basati su accordi tra governo nazionale, associazioni degli imprenditori e sindacati; di contro, le decisioni riguardanti i “consumi sociali” sono gestite attraverso dei modelli di mediazione degli interessi di tipo pluralista. In sintesi, secondo Saunders, il ruolo dei governi locali riguardo lo sviluppo economico era estremamente ridotto, mentre era più importante nel caso del “consumo sociale”, in modo da garantire le condizione per l’ordine e la coesione sociale. Nello stesso periodo, un altro studioso Peterson osservava che le città incontrano un limite fondamentale nelle scelte redistributive. La ragione dell’incapacità dei governi locali di agire in questa sfera era, secondo l’autore, che se un comune aumenta le tasse dei ceti più abbienti con lo scopo di finanziarie misure assistenziali volte ad accrescere l’eguaglianza sociale, i cittadini più ricchi reagiscono migrando altrove (in città dove la tassazione è più bassa). Peterson deduce quindi che le scelte redistributive possono essere effettuate solo a livello nazionale, mentre il campo d’azione dei governi locali riguarda la promozione dello sviluppo economico locale. Peterson conclude che solo le scelte riguardanti lo sviluppo economico sono in grado di intercettare l’appoggio di tutti i residenti, perché lo sviluppo aumenta le opportunità per tutti così come le entrate fiscali con le quali poter promuovere nuove misure sociali (in Bobbio 2002). Le teorie di Saunders e Paterson, come osserva Bobbio (2002), riflettono in modo schematico la diversa situazione in cui si trovavano all’epoca i governi locali nei Paesi europei e negli Stati Uniti.

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In Brenner (2004: 9) sono riportate alcune delle principali definizioni di scala geografica presenti in letteratura: per Delaney e Leitner, la scala geografica è una gerarchia di spazi collegati di dimensione differente; per Agnew, la scala corrisponde al livello di risoluzione geografica presso il quale un dato fenomeno è interpretato, realizzato o studiato; e, secondo la definizione di Smith, la scala rappresenta l’organizzatore geografico e l’espressione dell’azione collettiva sociale.

Brenner, inglobando i contenuti delle precedenti definizioni, tende ad enfatizzare nella propria concettualizzazione la questione della gerachizzazione dello spazio. Per l’autore, infatti, la scala geografica (o più precisamente il processo di re-scaling) è strettamente collegata all’ordinamento verticale delle formazioni sociali. In aggiunta alla differenziazione orizzontale delle pratiche sociali attraverso lo spazio esiste, infatti, anche una differenziazione verticale in cui le relazioni sociali sono radicate all’interno di una intelaiatura gerarchica di unità territoriali incastrate l’una nell’altra che vanno dal globale, al sopranazionale e nazionale e giù verso il livello regionale, metropolitano e urbano. Brenner sostiene che è proprio questo processo di ordinamento verticale delle pratiche sociali, economiche e politiche a definire l’organizzazione scalare di qualsiasi formazione sociale.

collettiva (Le Galès, 1998), che emergono, in particolar modo, in relazione alla produzione dei beni pubblici (tangibili e intangibili) locali, la cui importanza è fondamentale nei processi di sviluppo.

Un contributo addizionale al rafforzamento della centralità della scala urbana nella sperimentazione e attuazione di nuove forme di regolazione socio-economica è attribuibile, come visto, alle attuali trasformazioni politico- istituzionali, caratterizzate da un processo di trasferimento di poteri e funzioni verso livelli sovra e sub-nazionali che hanno intaccato il primato assoluto della scala nazionale nei processi di regolazione. La crescente ricerca di soluzioni creative “postnazionali” ai problemi economici, politici, sociali e ambientali attuali mostra come l’importanza della scala nazionale per l’elaborazione e l’attuazione di politiche pubbliche sia sfidata dall’acquisizione di nuovi poteri da parte dei livelli di governo sopranazionali, regionali e locali e dei partenariati sociali. All’interno di questo nuovo scenario, la scala urbana diventa, quindi, sempre più centrale per la definizione e attuazione di politiche economiche e sociali48 (Jessop, 2002: 459).

Sono, infine, le mutazioni intervenute all’interno delle strutture sociali urbane, caratterizzate da una maggiore complessità e varietà, a riproporre con forza l’importanza della regolazione e dei problemi dell’azione collettiva a livello locale, rimaste confinante nell’ombra della dimensione nazionale durante l’era del fordismo. Le nuove questioni sociali sono diventate, infatti, in larga parte questioni urbane: aree di estrema povertà e ricchezza coesistono e aumentano all’interno delle città, generando tensioni e conflitti; richieste di una equa ridistribuzione delle risorse e assistenza, così come il riconoscimento di diritti e istanze di cittadinanza sono rivolte sempre più di frequente ai governi e alle istituzioni locali.

La rinnovata centralità dello spazio urbano come importante luogo di regolazione socio-economica è confermata dalla mutazione delle priorità dei governi locali e dalla sperimentazione di nuove politiche e modalità di governo. Oggi, lo Stato locale, maggiormente orientato alla ristrutturazione economica

48 Nella letteratura si rintracciano visioni contrapposte sulla capacità del livello locale di proporre delle risposte

adeguate a contraddizioni e tensioni generate da ristrutturazione economica e globalizzazione. Peck e Tickell (1994), sostengono l’esclusiva centralità del ruolo dello Stato nella ricerca di soluzioni alle contraddizioni dell’emergente fase del capitalismo post-fordista, sostenendo che la ricerca di soluzioni e nuove forme di regolazione locali sono in realtà sintomo della crisi stessa e il riflesso del disordine politico-economico mondiale attuale. Di parere differente sono, invece, numerosi studiosi che riconoscono ai territori una maggiore e più importante funzione regolatrice del livello locale, rispetto al passato.

competitiva, opera in nuovi settori d’intervento, prima di esclusiva competenza del governo centrale: nell’ambito delle politiche del mercato del lavoro, dell’educazione e della formazione, del trasferimento tecnologico e della promozione di centri d’innovazione; ed è, allo stesso tempo, maggiormente coinvolto in network orizzontali (tra città) e verticali (UE, Stato e Regioni).

Il quadro delle politiche urbane nel corso degli ultimi decenni è, quindi, diventato più ampio e intricato, così come la platea degli attori coinvolti nel processo d’elaborazione e implementazione delle politiche. Questi temi saranno affrontati in maggiore dettaglio nei successivi paragrafi.