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Ristrutturazione economica, processi di globalizzazione e disuguaglianze

Capitolo 2. L’emersione di nuovi scenari urbani tra macrotrasformazioni e

2.3 La trasformazione della società urbana europea

2.3.1 Ristrutturazione economica, processi di globalizzazione e disuguaglianze

La ristrutturazione economica, i processi contemporanei di globalizzazione e la riorganizzazione dello Stato sociale, insieme alla trasformazione della struttura familiare, alla presenza di legami sociali più deboli e il maggior grado d’individualizzazione37 delle società contemporanee sembrano aver dischiuso nuovi scenari di crescente esclusione sociale

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A parte qualche eccezione, come ad esempio in Gran Bretagna dove le popolazioni più affluenti si sono spostate gradualmente in periferia o in zone rurali, la borghesia (soprattutto in in Francia e nell’Europa del Sud) ha continuato a mostrare una preferenza significativa per le aree centrali, attuando spesso strategie volte a indirizzare la localizzazione di imprese e edilizia popolare nelle periferie.

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Chiaramente, ciò non significa che processi di esclusione sociale non erano e non sono all’opera all’interno delle città europee. I processi d’esclusione sociale e spaziale dei gruppi sociali (nuove generazioni, migranti, persone poco qualificate, famiglie con un solo genitore ed altre ancora) rimasti al di fuori del sistema di opportunità e protezione sancito dal contratto sociale keynesiano dell’era fordista tendono spesso a rafforzarsi all’interno delle città contemporanee (Mingione, 2005). Gli attuali processi di macrotrasformazione economica e sociale, infatti, se da un lato, generano nuove opportunità per i soggetti più mobili, dotati di risorse e skills, dall’altro, tendono sovente ad inasprire i processi di esclusione esistenti e a foraggiarne dei nuovi.

37 Crescente individualizzazione delle relazioni in situazioni dove i risultati (il successo) sembrano dipendere di più su

all’interno delle città europee38. Si è passati gradualmente, commenta Mingione (2005), dai regimi sociali organizzati e standardizzati del fordismo ai regimi sociali più competitivi, frammentati ed eterogenei, caratterizzati da sostanziali mutamenti nei modelli di vita e nelle biografie occupazionali, che determinano maggiore incertezza e precarietà.

I processi di ristrutturazione economica e globalizzazione hanno scosso profondamente la struttura occupazionale urbana. Una crescente incertezza attraversa ormai tutti i segmenti del mercato del lavoro; incertezza che è ancora più grande nei segmenti occupati da categorie con un basso livello di qualificazione che in periodi di stagnazione o recessione economica rischiano di essere esclusi dal mercato del lavoro (o di non entrarvi per nulla), con poche possibilità di rientrare a meno di una crescita dell’occupazione generale, che consente agli occupati più qualificati, scesi nei settori più bassi, di trovare occupazione nei segmenti più consoni alle proprie competenze liberando così posti nei settori più affollati (i meno qualificati) del mercato del lavoro (Buck e Gordon, 2000). Le trasformazioni economiche in atto, da un lato, esercitano quindi una forte pressione sui lavoratori poco qualificati dei Paesi economicamente più avanzati, che rischiano una sostanziale diminuzione dei salari (come nel caso degli Stati Uniti dove vige una minore regolamentazione del mercato del lavoro e lo stato sociale è minimo) o l’esclusione dal mercato del lavoro (come nel caso europeo, dove la regolamentazione sul lavoro è più stringente e i sistemi di welfare più generosi); dall’altro, determinano una serie di nuove opportunità per i soggetti più qualificati e garanzie di maggiori benefici per chi appartiene a network d’eccellenza mondiali. Dinanzi queste macrotrasformazioni, alcuni studiosi (Mollenkopf e Castells, 1991; Sassen, 1991), osservando le variazioni intervenute nel mercato del lavoro all’interno delle città cosiddette “globali” (New York, Londra e Tokyo), hanno teorizzato l’avvento di una “città duale”, socialmente polarizzata: divisa tra un crescente strato di popolazione,

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L’esclusione sociale è strettamente associata con: la ristrutturazione economica (che influenza gli scambi di mercato e rapporti di lavoro), le mutazioni nel sistema del welfare (che influenzano la redistribuzione) e le trasformazioni delle reti sociali e dei meccanismi di solidarietà (che influiscono sulla sfera della reciprocità) (Musterd

et al., 2003).

Atkinson (2000) argomenta che l’esclusione sociale si verifica allorquando uno dei seguenti sistemi cessa di funzionare correttamente: il sistema democratico e legale che promuove l’integrazione civica; il mercato del lavoro che promuove l’integrazione economica; il sistema di welfare che promuove l’integrazione sociale; e il sistema della famiglia e della comunità che promuove l’integrazione interpersonale.

altamente qualificato e retribuito, e uno strato, altrettanto in aumento, di individui poco qualificati, percettori di redditi estremamente bassi; in sintesi, una città in cui la classe media diminuisce sostanzialmente, a vantaggio dei segmenti sociali più alti e più bassi che tendono invece a rafforzarsi. Questa tesi della polarizzazione è stata ampiamente criticata in letteratura, poiché non solo non sembra cogliere la complessità delle città europee dove la polarizzazione nel mercato del lavoro non è avvalorata da evidenza empirica, ma è stata considerata altrettanto inadeguata per le stesse “città globali” (Fainstein e Harloe, 2000; Hamnett, 1996). In particolare, Hamnett (1996), prendendo in esame il caso di Londra, argomenta che nella capitale inglese non è all’opera un processo di polarizzazione, con un aumento di occupazione nei segmenti più alti e più bassi del mercato del lavoro, bensì un processo di “professionalizzazione”, caratterizzato da un aumento della proporzione di professionisti e manager nel mercato del lavoro. L’autore sostiene, più in generale, che le trasformazioni in atto nella struttura occupazionale stanno determinando, all’interno dei paesi dell’Europa occidentale, da un lato, l’aumento della porzione di manager e professionisti e, dall’altro, la creazione di un consistente gruppo di disoccupati e di popolazione economicamente inattiva, esclusi dal mondo del lavoro, piuttosto che la creazione di una forza lavoro poco qualificata e a bassa retribuzione, come avanzato dalla teoria della polarizzazione. Questa interpretazione, nota come teoria del mismatch (Wilson, 1987), argomenta come il passaggio verso un’economica postindustriale necessiti di forza lavoro sempre più qualificata, che sottopone il mercato del lavoro ad un continuo processo di “professionalizzazione”. Il problema in termini di disuguaglianze, associato a questa trasformazione, è che una parte della popolazione attiva, in precedenza impiegata nei settori industriali andati in crisi, ormai scomparsi dalla città, non possiede le qualificazioni adeguate richieste dai settori economici emergenti. Ciò determina una loro esclusione dal mercato del lavoro. Per la teoria del

mismatch la crescente polarizzazione sociale è dovuta dunque all’incapacità di

una parte della popolazione di trovare una collocazione all’interno della struttura occupazionale e non dalla proliferazione di lavori poco qualificati e sottopagati, come sostenuto dalla teoria duale. Tra le due, la teoria del

europee, dove una maggiore regolamentazione del mercato del lavoro ostacola la proliferazione di forme d’occupazione sottopagate. In realtà però entrambi le teorie non includono nelle rispettive speculazioni teoriche una serie di aspetti che esercitano un’influenza notevole sul mercato del lavoro e sui processi di inclusione (o esclusione) sociale. Prendere in considerazione il ruolo dello Stato nella regolazione economica, l’esistenza di differenti nicchie del mercato del lavoro, la possibilità di mobilità verso l’alto, le differenze tra le diverse etnie a cui si associano differenti potenzialità contribuisce a rendere l’analisi dei processi di trasformazione urbana più completa rispetto all’interpretazione avanzata dalle due teorie sopraesposte. Sono soprattutto gli aspetti di carattere istituzionale e, in particolare, il ruolo che i differenti sistemi di welfare nazionali svolgono nel ridurre (o aumentare) le disuguaglianze sociali, nonché le differenze nei percorsi di sviluppo delle città, del tessuto economico, delle storie sociali, politiche ed economiche locali a disegnare il quadro delle opportunità per processi di mobilità sociale (Burgers e Musterd, 2002).

Il contributo maggiore del lavoro di Hamnett (1996) è di avere introdotto nell’analisi delle disuguaglianze e dei processi d’esclusione sociale queste altre componenti, in particolare quella riguardante il ruolo dello Stato. L’autore, criticando l’analisi della Sassen che considera la polarizzazione di reddito dipendere esclusivamente dal processo di ristrutturazione economica, sostiene che è necessario prendere in considerazione le mutazioni della composizione dei nuclei familiari e della struttura dell’età della popolazione, nonché il ruolo degli Stati e dei rispettivi regimi di welfare per comprendere appieno i nuovi processi di disuguaglianza sociale e spaziale. Egli continua affermando che la maggiore polarizzazione del reddito, oltre che dalla ristrutturazione economica, dipende anche da cambiamenti nell’imposizione fiscale e dalle differenze nelle strutture di welfare che contribuiscono a smussare o inasprire i processi di polarizzazione. Pur riconoscendo nella ristrutturazione economica la maggiore forza di cambiamento, l’autore evidenzia come questa non agisca in un vuoto politico e istituzionale: il modo in cui la ristrutturazione economica prende forma nei diversi contesti nazionali, dipende dalle caratteristiche dei differenti sistemi di regolazione, dalle politiche di welfare, nonché delle diverse culture nazionali e locali. Soffermare l’analisi

sui sistemi di welfare nazionali e sulla loro trasformazione è quindi indispensabile per capire le differenze nelle cause della variazione dei processi di polarizzazione (disponibilità di benefici sociali, dimensione del consumo di beni collettivi come l’educazione, sanità, cura dei bambini, intervento nel mercato del lavoro, ecc.)39.

Crescente importanza è attribuita, oggi, anche al ruolo che i governi e gli attori locali possono svolgere nell’ambito del welfare.

Le trasformazioni della base economica urbana e delle nuove divisioni spaziali della struttura occupazionale rappresentano i principali motori delle trasformazioni sociali all’opera all’interno delle società urbane. Tuttavia, una lettura dei processi di trasformazione sociale in sola chiave economica non riesce a cogliere appieno la complessità di tali processi. Come suggerisce Buck (2005: 59), un’analisi completa deve fornire delle indicazioni sulla struttura sociale e sulle trasformazioni che non sono determinate, in modo esclusivo, da processi economici. Ciò non significa – prosegue l’autore – non riconoscere che le trasformazioni economiche possano risultare dominanti nello spiegare i cambiamenti sociali, ma piuttosto significa porre l’attenzione sulla possibilità di altri fattori (non economici) nell’indirizzare i processi di trasformazione sociale40. L’esistenza di strutture sociali consolidate, tradizioni culturali e politiche giocano un ruolo di fondamentale importanza nel disegnare le traiettorie future dello sviluppo delle società urbane.

39 Lo Stato provvede (o preclude) l’accesso ad un sistema scolastico e formativo adeguato, stabilisce le condizioni

d’accesso e uscita del mercato del lavoro, distribuisce (o fallisce nel distribuire) beni primari di sussistenza, quali reddito supplementare, casa, assistenza sanitaria ed altro. Tutto ciò mostra chiaramente che la stratificazione sociale, oltre che da processi di natura economica, è ampiamente determinata dalle istituzioni, dalla loro funzione regolatrice e dalle politiche pubbliche (o dalla loro assenza), in primis quelle di welfare. E’ pertanto importante riportare gli Stati al centro dell’analisi, poiché attraverso la loro azione essi contribuiscono a generare o combattere i processi di esclusione (Wacquant, 1999)

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Buck (2005: 59) fornisce una serie di ragioni del perché le trasformazioni sociali possono essere più indipendenti dalle trasformazioni economiche, più di quanto riportato in alcune interpretazioni teoriche, come ad esempio quelle della delle “dual city” e della “mismatch theory”. Per primo, i processi di aggiustamento tra trasformazioni industriali e cambiamenti sociali sono sottoposti a variazioni consistenti che possono indebolire questo legame. I processi di aggiustamento includono migrazioni, cambiamenti occupazionali e mobilità, movimenti in entrata e uscita dal mercato del lavoro e via dicendo; se alcuni di questi processi funziona in maniera più efficiente di altri è possibile che le trasformazioni industriali possono generare crescente disoccupazione. Per di più, i processi di aggiustamento non si verificano solo in risposta alle trasformazioni industriali ma sono la conseguenza di numerosissime decisioni individuali spinte da altre motivazioni. Ad esempio, molti spostamenti sono determinati dalla ricerca di migliori condizioni abitative piuttosto che dalla ricerca di una migliore occupazione. Il miglioramento del proprio livello di scolarizzazione e formazione è perseguito, con molta probabilità, con una prospettiva orientata sulle opportunità di lungo periodo, anziché come risposta immediata agli shock delle trasformazioni attuali nel mercato del lavoro. L’impatto cumulato di tutti questi processi è piuttosto indeterminato, pertanto la struttura sociale delle città sarà influenzata da questi processi parzialmente indipendenti dalle trasformazioni del mercato del lavoro, attribuendo così alla struttura sociale un certo grado di autonomia.