• Non ci sono risultati.

La definizione di causa petendi

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 156-161)

I LIMITI OGGETTIVI DEL GIUDICATO NELLE IMPUGNATIVE CONTRATTUALI

18. Ciò che in astratto può costituire l’oggetto della domanda (e, quindi, del processo e del giudicato) e del giudicato)

19.2. La causa petendi

19.2.1. La definizione di causa petendi

La discussione relativa alla nozione di causa petendi impegna gli studiosi di diritto processuale civile da diversi decenni e sembra ben lontana dal volgere al termine.

Data la complessità del tema, pare opportuno procedere inizialmente per esclusione, in modo tale da sgombrare subito il campo da un’alternativa senz’altro insoddisfacente. È assolutamente pacifico che la causa petendi non sia costituita dal nomen iuris, ossia dalla qualificazione giuridica attribuita alla ragione del domandare. Ne segue che, per un verso, a parità degli altri elementi di identificazione della domanda, la circostanza che in due diversi giudizi siano invocate norme giuridiche differenti non esclude l’identità delle azioni; per altro verso, il mutamento della disposizione legislativa richiamata da chi propone la domanda non determina una modificazione dell’oggetto del giudizio (436).

Applicando quanto esposto all’azione di impugnativa che ci occupa, è possibile affermare che, tra una domanda di nullità del contratto proposta per violazione di una norma

(434) Cfr. C. MANDRIOLI –A.CARRATTA, Diritto processuale cit., vol. I, p. 179.

(435) Di tale avviso si mostra anche A. CERINO CANOVA, La domanda giudiziale cit., p. 16, secondo cui la causa petendi, “in fondo, alimenta tutte le difficoltà della teoria dell’identificazione”.

(436) Abbracciano tale ricostruzione F. D. BUSNELLI, Della tutela giurisdizionale cit., p. 219, il quale precisa che il mutamento del nomen iuris “non vale a innovare la causa petendi”; G. CHIOVENDA, Istituzioni cit., p. 316, che scrive: “occorre subito escludere che la causa petendi sia la norma di legge invocata dalla parte in giudizio […]. Il semplice mutamento del punto di vista giuridico (cioè l’invocazione di una diversa norma nel caso che uno stesso fatto possa cadere sotto diverse norme di legge) non importa diversità d’azioni”; E. HEINITZ, I limiti oggettivi cit., p. 160; C. MANDRIOLI –A.CARRATTA, Diritto processuale cit., vol. I, p. 181. In giurisprudenza, v. App. Milano, 27 aprile 2004, in DeJure; Corte Conti, sez. riun., 11 agosto 1990, n. 681 (s.m.), in DeJure, per cui “la precisazione del ‘nomen iuris’ di un istituto giuridico […] non comporta alcuna trasformazione del ‘petitum’ sostanziale né innovazione della ‘causa petendi’”; Cass., 10 marzo 1960, n. 457, in Giur. it. Mass. 1960, p. 117. D’altro canto, tale soluzione si sposa perfettamente con l’operatività del principio per cui iura novit curia.

imperativa e una seconda domanda di nullità del medesimo contratto proposta per violazione di altra norma imperativa, la sola diversità tra le disposizioni invocate non è di per sé idonea a escludere l’identità di azioni.

Spostandoci ora verso un approccio costruttivo, è comunemente accolta l’idea che la

causa petendi coincida con il fatto costitutivo posto a fondamento della domanda (437). Si riscontra, tuttavia, una difformità di vedute circa il significato da attribuire alla locuzione “fatto costitutivo”.

Secondo una prima teoria, definita dell’individuazione, tale espressione si riferisce al rapporto o allo stato giuridico che viene affermato sussistente (o insussistente, nelle azioni di accertamento negativo) da chi formula la domanda per giustificare il provvedimento richiesto (438).

Una diversa teorica, detta della sostanziazione, riconduce, invece, la nozione di fatto costitutivo al c.d. fatto giuridico allegato a fondamento della domanda (439). Il pensiero degli autori che condividono questa seconda prospettiva prende, però, due diverse direzioni quando si tratta di definire il “fatto giuridico”. Alcuni intendono il sintagma nel senso di singolo episodio della vita, individuato secondo parametri di carattere naturalistico (440). Altri lo interpretano nel senso di fattispecie legale, a indicare che il fatto storico viene modellato sullo schema della norma giuridica che lo contempla e, quindi, circoscritto ai suoi soli elementi dotati di potenziale rilevanza giuridica (441).

(437) Si vedano, per tutti, F. D. BUSNELLI, Della tutela giurisdizionale cit., p. 218; C. MANDRIOLI –A.CARRATTA, Diritto processuale cit., vol. I, p. 184.

(438) Aderiscono a questa visione E. HEINITZ, I limiti oggettivi cit., pp. 153, 187; E. HEINITZ, Considerazioni attuali cit., p. 765; E. ONDEI, Un equivoco circa i limiti oggettivi del giudicato, in Foro pad. 1976, II, p. 1, spec. 4, il quale precisa che la causa petendi è un concetto complesso, che ricomprende sia il rapporto giuridico sia la normativa che lo regola; A. SEGNI, Tutela giurisdizionale cit., p. 351: “ritengo che sia preferibile seguire la teoria della individuazione come quella che meglio corrisponde alla concezione del nostro diritto, che […] pone […] ad oggetto del singolo processo una volontà concreta di legge, della cui esistenza o inesistenza si discute, non un fatto giuridico”; A.SEGNI –S.COSTA, voce Procedimento civile, in Noviss. Dig. it., vol. XIII, Torino, 1966, p. 1026, spec. 1043. Cfr. anche A. BONSIGNORI, Tutela giurisdizionale cit., p. 141, per il quale la teoria dell’individuazione è applicabile solo ai diritti relativi.

(439) Prediligono tale soluzione A. ATTARDI, Diritto processuale cit., vol. I, p. 130; P. CALAMANDREI, Istituzioni cit., p. 139; E. CIAPPI, nota di commento a Cass., 8 giugno 1979, n. 3265, in Foro it. 1980, I, p. 152, spec. 153; N. COVIELLO, Manuale cit., p. 559; G. GIANNOZZI, La modificazione della domanda cit., p. 42; C. MANDRIOLI – A.CARRATTA, Diritto processuale cit., vol. I, pp. 181-182, anche nt. 35; G. F. RICCI, Diritto processuale civile, Torino, 2017, p. 313. Cfr. anche A. BONSIGNORI, Tutela giurisdizionale cit., p. 140, per il quale la teoria della sostanziazione è applicabile solo ai diritti assoluti.

(440) Tale interpretazione è stata per la prima volta proposta da A. NIKISCH, Der Streitgegenstand im Zivilprozess, Tübingen, 1935, p. 133, secondo il quale “i fatti si coagulano da soli, in base alla valutazione naturale, in un determinato Lebensvorgang”. In tal senso, v. anche S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. II, Milano, 1960, p. 21; S. SATTA, voce Domanda giudiziale (diritto processuale civile), in Enc. dir., vol. XIII, Milano, 1964, p. 816, spec. 825.

(441) La chiara spiegazione è di G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., p. 342, nt. 8. Questa alternativa ermeneutica è seguita da V. ANDRIOLI, Lezioni cit., p. 254 ss.; E. CIAPPI, nota di commento a Cass., sez. III, 8 giugno 1979, n. 3265 cit., p. 153; C. FERRI, Struttura del processo cit., p. 87, per cui la causa petendi consiste “negli elementi di fatto e di diritto della fattispecie da cui deriva il diritto sostanziale”; C.MANDRIOLI –A.CARRATTA, Diritto processuale cit., p. 184; A. PROTO PISANI, Dell’esercizio dell’azione cit., p. 1062.

Vi è, poi, un’ultima ricostruzione che si pone a metà strada tra le due appena descritte, che combina elementi della teoria dell’individuazione con elementi della teoria della sostanziazione. Si tratta della tesi di Chiovenda, secondo cui la causa petendi rappresenta la sommatoria di tre elementi: (i) l’affermazione dell’esistenza di un rapporto giuridico; (ii) l’affermazione dell’esistenza del singolo fatto che, nell’ambito di quel rapporto, fa sorgere il diritto fatto valere con la domanda; (iii) l’affermazione dell’esistenza del fatto da cui nasce l’interesse ad agire, ossia del fatto lesivo (o della contestazione, nei casi di azioni di accertamento; si parla, in proposito, di causa petendi passiva) (442).

Chiaro è che l’accoglimento dell’una o dell’altra tendenza ha valore meramente teorico nelle ipotesi in cui a un unico fatto giuridico corrisponde un unico rapporto o un unico stato; al contrario, comporta notevoli conseguenze pratiche allorché più fatti giuridici diano luogo a un solo rapporto ovvero allorché da un solo fatto scaturiscano distinti rapporti (443).

A favore della teoria dell’individuazione è stato sostenuto che la stessa abbia una relazione più stretta con il diritto sostanziale. In base alla teoria della sostanziazione, chi fa valere più diritti soggettivi solleva una sola pretesa processuale, ove siano identici il petitum e il fatto costitutivo (il pensiero corre alle domande di risarcimento dei danni per responsabilità contrattuale ed extracontrattuale). Invece, ciò non accade se si segue la teoria dell’individuazione. Inoltre, quest’ultima teorica meglio si attaglia alle azioni di accertamento negativo. Quando una sentenza accerta l’inesistenza di un determinato diritto, essa copre tutti i possibili fatti costitutivi dai quali lo stesso sarebbe potuto sorgere; sicché parlare di

causa petendi nell’accezione di fatto costitutivo non ha granché senso. Si rivela, allora,

preferibile intendere per causa petendi quel rapporto che viene affermato inesistente (444). D’altro canto, in una opposta prospettiva, si è fatto notare che attribuire un eccessivo peso al rapporto giuridico e, più in generale, alla fattispecie legale può favorire la reiterazione di giudizi in ordine a un unico bene della vita. Ciò può accadere laddove un diritto soggettivo, unico sul piano sostanziale, sia scomposto in una serie di prospettazioni giuridiche che appaiono diverse sul (solo) piano processuale (ad esempio, all’actio mandati e alla negotiorum

gestio corrisponde un unico bene, benché i rapporti giuridici e le fattispecie legali siano

distinte) (445).

(442) Cfr. G. CHIOVENDA, Istituzioni cit., p. 317. Condivide l’idea L. MONTESANO, Limiti oggettivi cit., pp. 20-21, il quale elogia l’insegnamento di Chiovenda perché consente di non dimenticare che si agisce in giudizio per un concreto bisogno di tutela, generato da una effettiva lesione (o quantomeno crisi) del diritto dedotto. Giova, in ogni caso, ricordare che alcuni studiosi hanno manifestato la percezione che le teorie dell’individuazione e della sostanziazione costituiscano, in fondo, due facce della stessa realtà (cfr. E. FAZZALARI, Note in tema di diritto e processo, Milano, 1957, p. 118, per cui propugnare “l’allegazione dei fatti costituivi o quella del rapporto giuridico significa porsi, rispettivamente, dal punto di vista della fattispecie sostanziale e da quello degli effetti che ne promanano, cioè da due punti di vista perfettamente compatibili, anzi corrispondenti”) o due angolazioni che non si escludono a vicenda (v. G. GIANNOZZI, La modificazione della domanda cit., p. 39).

(443) Così anche F. D. BUSNELLI, Della tutela giurisdizionale cit., p. 218.

(444) Per tali osservazioni, v. E. HEINITZ, I limiti oggettivi cit., pp. 153-154, 187.

(445) La criticità è evidenziata da S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 242 ss., il quale aggiunge che sia per le parti sia per il giudice gli spazi di manovra nel corso del processo risultano alquanto limitati.

Ora, il legislatore non fornisce alcuna netta indicazione che imponga di propendere per l’una o per l’altra linea di pensiero; pertanto, all’interprete è preclusa la possibilità di compiere una scelta che si fondi su dati normativi. Ne segue che criteri che guidino la valutazione debbano necessariamente essere ricercati altrove.

È di tutta evidenza che la definizione di causa petendi incide sulla portata oggettiva della regiudicata e che lo studioso che si prefigga di creare un sistema che garantisca la massima tutela ai diritti ex art. 24 Cost. deve tenere tali diritti come chiave di lettura in ogni fase dei lavori. Per individuare la nozione di causa petendi, si procederà dunque ad analizzare i risvolti applicativi cui le varie concezioni sopra esposte conducono, per poi determinare quella che meglio salvaguarda l’effettivo contraddittorio tra le parti.

Utilizziamo come esempio il diritto all’annullamento del contratto, che sarà oggetto di studio nella seconda sezione del presente capitolo, ma che ben si presta a far emergere le concrete applicazioni delle teoriche in esame, assumendo, per il momento, che tale diritto costituisca l’oggetto dell’azione di annullamento (446). Si immagini che Tizio, nello stipulare un contratto di agenzia con Caio, cada in errore sia sull’oggetto del contratto sia sulle qualità personali dell’agente. Si immagini, poi, che si verifichino in successione i seguenti eventi: Tizio agisce in giudizio al fine di ottenere l’annullamento del contratto, facendo valere il solo errore sull’oggetto del medesimo; la domanda viene rigettata; Caio agisce in giudizio al fine di sentir condannare Tizio al pagamento di alcune provvigioni; Tizio si difende proponendo domanda riconvenzionale di annullamento, in questa occasione facendo valere l’errore sulla persona della propria controparte contrattuale.

Se si seguisse la teoria dell’individuazione, la causa petendi di entrambe le domande di annullamento – principale, la prima; riconvenzionale, la seconda – dovrebbe essere ricondotta all’esistenza stessa del diritto all’annullamento. Sicché, di fronte all’evidente uguaglianza di parti e di petita, il secondo giudice dovrebbe dichiarare l’identità delle azioni e riconoscersi vincolato dal precedente giudicato (447).

Per converso, se si abbracciasse la teoria della sostanziazione, la causa petendi della prima domanda di annullamento dovrebbe ravvisarsi nell’errore sull’oggetto del contratto di agenzia, che nella specie rappresenta il fatto costitutivo dell’effetto di annullamento; la causa

petendi della seconda domanda (riconvenzionale) di annullamento sarebbe, invece, l’errore

sulla persona dell’agente.

Come si vede, dunque, l’adozione della teoria della sostanziazione condurrebbe a considerare le due azioni di annullamento come azioni diverse e sottrarrebbe il secondo giudice agli effetti del primo giudicato.

Ad analogo risultato porterebbe altresì l’applicazione del pensiero chiovendiano, in quanto diversi sono i fatti che fanno sorgere il diritto azionato nell’uno e nell’altro caso.

Ebbene, per identificare la ricostruzione che più tutela i diritti di azione, difesa e contraddittorio tra le parti, occorre considerare, sempre rimanendo nell’esempio effettuato, che è ben possibile che, nel corso del primo giudizio, non emerga il tema dell’errore sulla

(446) Le discussioni relative all’oggetto di tale azione saranno approfondite nella prossima sezione. (447) Sui connotati di tale vincolo, v. infra, par. 32.

persona dell’agente. In tale scenario, vincolare il secondo giudice al risultato del primo giudicato significherebbe impedirgli di valutare la questione dell’annullabilità del contratto per errore soggettivo, senza che le parti ne abbiano mai discusso e senza che detta questione sia già stata (quantomeno) conosciuta dall’autorità giudiziaria che ha pronunciato la prima sentenza. Appare, invece, più conforme a Costituzione lasciare tanto al committente la possibilità di difendersi dalle richieste di pagamento dell’agente, domandando in via riconvenzionale l’annullamento del contratto, quanto all’agente la possibilità di contraddire sul punto in prima persona.

Ciò porta a preferire l’approccio della teoria della sostanziazione e a ravvisare la causa

petendi nel singolo fatto giuridico allegato a fondamento della domanda.

Quanto, poi, alla disputa tra chi ritiene che il fatto giuridico coincida con la fattispecie legale e chi ritiene che esso corrisponda all’episodio storico naturalisticamente valutato, mi sembra che la tesi preferibile sia la prima.

Come acutamente osservato, “il concetto di evento della vita non può, nel suo significato naturale, essere in alcun modo delimitato. Gli avvenimenti raffigurano una catena ininterrotta, dalla quale taluni di essi vengono estrapolati e fittiziamente ridotti ad unità, in forza di un certo criterio di valutazione; se muta il punto di vista, il prisma attraverso il quale è filtrata la realtà storica, varia anche l’associazione di essa. […] Occorre, perciò, rinvenire un metro, che permetta di selezionare e di associare i singoli accadimenti storici, riconducendoli ad una entità giuridicamente unitaria” (448).

In tale ottica, il “prisma” che si deve utilizzare per isolare gli episodi della vita corrispondenti a un determinato concetto giuridico – quale è il fatto giuridico – non può avere carattere naturalistico, o sociologico, ma può essere solo giuridico (449). E il prisma giuridico che serve per delimitare i fatti storici è la fattispecie astratta (450).

(448) Così S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 247.

(449) Cfr. ancora S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 248. In termini simili, v. E. HEINITZ, I limiti oggettivi cit., p. 167.

(450) È qui opportuna una breve precisazione. In dottrina si è rilevato che, poiché può accadere che un unico complesso di fatti sia preso in esame da più fattispecie, è necessario stabilire quando tale complesso generi una situazione soggettiva sostanziale unica e quando invece generi più situazioni soggettive sostanziali. Nel primo caso, vi sarà identità di azioni in tutte le ipotesi in cui sia fatto valere uno dei fatti, anche se diverso da quello dedotto in precedenza. Viceversa, nel secondo caso, le azioni saranno diverse e la deduzione come causa petendi di un fatto differente non sarà preclusa. A questi fini, alcuni studiosi hanno individuato i nessi tra fattispecie che permettono di valutare se il fatto costitutivo debba considerarsi unico (cfr. S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 250 ss.; S. MENCHINI, Il giudicato civile cit., pp. 128-129; A. BONSIGNORI, Tutela giurisdizionale cit., pp. 136-137; E. HEINITZ, I limiti oggettivi cit., p. 176 ss.). In estrema sintesi, essi sono:

a) relazione di esclusione. Le due fattispecie hanno una parte in comune, ma ciascuna di esse contiene un elemento ulteriore, la cui sussistenza è incompatibile con l’elemento ulteriore dell’altra. Il fatto storico non può, per definizione, integrare entrambe le fattispecie, sicché la situazione giuridica sostanziale esistente in capo a un soggetto può essere solamente una. Al variare del fatto generatore, varia il diritto;

b) relazione di specialità. Ricorre quando una fattispecie ricomprenda integralmente l’altra, con l’aggiunta di un elemento ulteriore. Il singolo fatto storico è solo apparentemente sussumibile sotto entrambe. In realtà, l’esistenza del fattore “specializzante” esclude la sussistenza della fattispecie generale e impone l’applicazione esclusiva della fattispecie speciale. Anche in questa ipotesi, la fattispecie che si concretizza può essere una sola;

Nell’esempio riportato, sarà dunque la fattispecie descritta nell’art. 1429 c.c. a indicare quali fatti storici si inscrivono in un errore oggettivo e quali si inscrivono in un errore soggettivo.

In conclusione, la causa petendi può essere definita come il fatto giuridico allegato a fondamento della domanda, inteso quale fatto storico modellato sullo schema della norma giuridica che lo contempla.

19.2.2. La funzione individuatrice della causa petendi. I diritti autodeterminati e i

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 156-161)