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La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 96-101)

9. L’azione di risoluzione

9.3. La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta

L’ultima forma di risoluzione di cui si occupa il codice civile è la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. Essa mira a risolvere un problema che può porsi in tutte le ipotesi in cui intercorra un certo lasso di tempo tra il momento in cui un contratto viene stipulato e il momento in cui viene integralmente eseguito (tipicamente, ciò accade nei contratti di durata, siano essi ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione istantanea ma differita). Durante tale intervallo, lo scenario in cui si colloca il rapporto negoziale può subire dei mutamenti che rendono l’adempimento delle prestazioni contrattuali maggiormente oneroso (276). Si verifica così un’alterazione della causa del contratto, che attiene al profilo funzionale di questa: per dirla con Boselli, in ragione del sopravvenuto squilibrio di valori, il rapporto contrattuale “tradisce la causa”, nel senso che “viene a comportarsi, per effetto di influenze ed accidentalità esterne al contratto, come se avesse o dovesse attuare una causa diversa” (277). Quando ciò accade, scatta la disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, che mira a evitare danni per il contraente onerato (278).

L’incipit della sequenza che origina l’effetto di risoluzione è rappresentato dall’art. 1467 c.c.

I presupposti fattuali che sono descritti in astratto dalla norma e che devono concretamente verificarsi affinché l’effetto risolutivo venga alla luce sono i seguenti:

a) l’esecuzione di almeno una delle prestazioni contrattuali deve essere differita rispetto alla stipulazione del contratto (279);

b) l’onerosità della prestazione deve aumentare rispetto al tempo in cui il contratto è stato concluso e ciò deve accadere in un momento in cui l’esecuzione della prestazione non è ancora esaurita (280);

(276) In tal senso, v. F. GALBUSERA, La risoluzione cit., p. 433; P. GALLO, voce Eccessiva onerosità sopravvenuta, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. VII, Torino, 1991, p. 234, spec. 235; P. TRIMARCHI, Istituzioni cit., p. 340.

(277) A. BOSELLI, La risoluzione cit., p. 248. A tale ricostruzione si oppone C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 420, per il quale il fondamento della disciplina dell’eccessiva onerosità sopravvenuta è “l’esigenza di contenere entro limiti di normalità l’alea dell’aggravio economico della prestazione, e precisamente l’esigenza di salvaguardare la parte contro il rischio di un eccezionale aggravamento economico della prestazione derivante da gravi cause di turbamento dei rapporti socio-economici”.

(278) Cfr. A. BOSELLI, La risoluzione cit., p. 245.

(279) Così C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 422; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 946.

(280) La dottrina, fedele alla lettera della norma, esclude l’operatività dell’art. 1467 c.c. nelle ipotesi in cui la prestazione di cui si deduce la sopravvenuta eccessiva onerosità sia già stata integralmente adempiuta (“se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può…”). L’orientamento sembrerebbe motivato dalla convinzione che lo scopo della disposizione sia quello di consentire al debitore, in deroga al principio generale espresso dall’art. 1372 c.c., di liberarsi dall’obbligo di eseguire la prestazione divenuta eccessivamente gravosa, senza per ciò solo incorrere in inadempimento. Una volta eseguita la prestazione, invece, il debitore non si trova più nella situazione di dover scegliere tra adempimento eccessivamente oneroso e responsabilità per inadempimento; viene, dunque, meno la ratio di tutela che giustifica la deroga al principio di vincolatività dei rapporti giuridici. Viceversa, quando la prestazione divenuta gravosa è stata solo parzialmente eseguita, il debitore si trova ancora di fronte all’alternativa di cui sopra, e continua, quindi, a meritare tutela. In proposito, v. C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 422; A. BOSELLI, La risoluzione cit., p. 278; G. CASELLA, La risoluzione cit., pp. 145-146; F. GALBUSERA, La risoluzione cit., p. 435; P. TRIMARCHI, Istituzioni cit., p. 342. Cfr. anche V. ROPPO, Il contratto cit., pp. 947-948, per il quale, “se la prestazione è esaurita – cioè completamente uscita dalla sfera di chi la

c) l’onerosità deve essere “eccessiva”, nel senso che deve creare uno squilibrio economico macroscopico tra prestazione e controprestazione. Ciò può essere la conseguenza sia dell’accresciuta onerosità dell’una sia dello svilimento del valore dell’altra. In ogni caso, essa deve essere legata alla prestazione nella sua oggettività, e non alle condizioni soggettive del debitore (281). Il legislatore ha comunque prestabilito che l’onerosità non può mai essere considerata eccessiva se rientra nell’“alea normale del contratto” (art. 1467, c. 2, c.c.), cioè se si pone al di sotto della soglia di rischio che le parti hanno assunto (282);

d) l’onerosità deve essere causata da avvenimenti che siano, al contempo, straordinari e imprevedibili. La prima caratteristica sussiste quando l’evento, statisticamente, non si ripete con frequenza e regolarità. La seconda caratteristica ricorre, invece, quando l’uomo medio, ossia l’uomo di normale diligenza che eserciti la medesima attività dei contraenti, non è in alcun modo in grado di rappresentarsi la probabile sopravvenienza dell’evento, e nemmeno l’entità, la portata degli effetti e l’incidenza

doveva, e completamente entrata nella sfera di chi l’attendeva – gli eventi che la riguardano toccano qualcosa che in realtà non è più «prestazione», ma è oramai elemento interno al patrimonio della parte accipiens”. Contra, M. AMBROSOLI, Le sopravvenienze, in A. GAMBARO –U.MORELLO (a cura di), Lezioni di diritto civile, Milano, 2012, p. 347, secondo il quale l’istituto “manifesta la preoccupazione per la tutela dell’equilibrio convenzionale tra le prestazioni e per gli spostamenti patrimoniali privi di adeguata giustificazione”; preoccupazione, questa, che si mostra rilevante anche se la parte pregiudicata ha già eseguito compiutamente la prestazione a suo carico. La teoria abbracciata dalla dottrina può comunque rivelarsi troppo severa nelle situazioni in cui il debitore, pur consapevole dell’eccessiva onerosità della prestazione dovuta, sia costretto ad adempiere (si immagini che la gravosità della prestazione si manifesti solo quando scade il termine per eseguirla). Una voce dottrinale suggerisce di temperare la regola sopra esposta, riconoscendo l’esperibilità del rimedio risolutorio anche al debitore che, prima di eseguire la prestazione, abbia comunicato alla controparte la propria volontà di far valere l’eccessiva onerosità sopravvenuta (c.d. adempimento con riserva): così G. CASELLA, La risoluzione cit., p. 149. (281) Per vagliarne la sussistenza, occorre raffrontare i valori assunti dalle prestazioni corrispettive al momento della stipulazione del contratto e i valori delle stesse rapportati al tempo fissato per l’adempimento: v. G. CASELLA, La risoluzione cit., p. 140. Di avviso parzialmente diverso è, invece, P. GALLO, voce Eccessiva onerosità cit., p. 240, il quale concorda con il fatto che l’eccessiva gravosità debba essere valutata “al tempo dell’adempimento”, ma opina che essa debba essere valutata in modo “oggettivo”, tenendo conto solo dei maggiori oneri che comporterebbe l’esecuzione dell’accordo così come è stato concluso, ed evitando qualsivoglia comparazione tra i valori delle prestazioni corrispettive. Per converso, ad avviso di V. ROPPO, Il contratto cit., p. 953, il tempo di riferimento per misurare il sopravvenuto squilibrio dei valori delle prestazioni è quello del giudizio.

(282) In dottrina, si è precisato che tale soglia è determinata in parte dal tipo contrattuale in cui un determinato contratto si inscrive, giacché ogni tipologia incorpora un diverso piano di ripartizione dei rischi tra i contraenti, e in parte dal piano di ripartizione dei rischi che le parti abbiano adottato nel singolo caso di specie: cfr. F. GALBUSERA, La risoluzione cit., pp. 437-438; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 953.

Si noti che il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta non è concesso rispetto ai contratti i quali, per loro natura o per volontà delle parti, sono aleatori (art. 1469 c.c.). In queste ipotesi, la parte sa che la prestazione è a rischio, in quanto il rischio stesso appartiene alla causa del contratto. La ratio dell’esclusione ne rappresenta al contempo il limite: i contratti aleatori sfuggono ai rimedi contro la gravosità sopravvenuta solo in quanto la sopravvenienza realizzi esattamente il rischio che costituisce l’alea di quel determinato contratto; se realizza un rischio maggiore o diverso, i rimedi tornano a operare: cfr. V. ROPPO, Il contratto cit., p. 961.

sull’equilibrio contrattuale dello stesso (si suol dire che la previsione deve essere in concreto e specifica) (283).

Anche una volta realizzatesi cumulativamente tutte le circostanze appena elencate, la parte debitrice potrebbe comunque avere interesse a mantenere in vita il contratto, sebbene esso si sia tramutato in un accordo più dispendioso del previsto; e ciò potrebbe avvenire per le ragioni più svariate. Se si volesse tentare un’esemplificazione, si potrebbe immaginare che la parte debitrice abbia già svolto un numero considerevole di dispendiose attività preparatorie, i cui prodotti non possono essere riutilizzati per adempiere ad altri e diversi contratti.

Questa è la ragione per cui, similmente a quanto accade nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento, la legge non ricollega l’effetto ablativo al mero verificarsi dei fatti sopra menzionati, ma affida l’opzione dello scioglimento del negozio alla volontà della parte colpita dai maggiori oneri. A quest’ultima viene attribuito un diritto potestativo di impugnazione del contratto, che, in forza del chiaro dettato normativo, può essere esercitato solo in forma di domanda giudiziale: ai sensi dell’art. 1467 c.c., infatti, “se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto” (primo comma); “La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto” (secondo comma); “La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla…” (terzo comma) (284).

(283) Cfr. C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 426; G. CASELLA, La risoluzione cit., p. 150 ss., il quale sottolinea come l’assenza anche di uno solo dei due connotati dell’avvenimento che determina l’eccessiva gravosità impedisca l’insorgere dell’effetto risolutivo; P. GALLO, voce Eccessiva onerosità cit., p. 238.

(284) Sulla natura giudiziale del diritto potestativo di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, v. M. AMBROSOLI, Le sopravvenienze cit., p. 363; A. ATTARDI, In tema di limiti oggettivi cit., p. 536, per cui “è la lettera della legge, che, sempre […], prevede per l’interessato il potere di chiedere al giudice un (provvedimento che disponga un) mutamento giuridico, non di provocarlo con la sua dichiarazione di volontà” (nel citato contributo, l’Autore cambia opinione rispetto a quanto sostenuto nel suo precedente articolo ID., Conflitto di decisioni cit., pp. 431-432); C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 427; A. BOSELLI, La risoluzione cit., pp. 252-253, che nitidamente scrive: “il diritto alla risoluzione del contratto per eccessiva onerosità si pone accanto al diritto allo annullamento, a quello di rescissione ed a quello di risoluzione per inadempimento, nella più ampia categoria dei cosiddetti «diritti di impugnazione», la cui caratteristica consiste appunto nel provocare, come obbietto immediato della loro efficacia, l’estinzione dell’intero rapporto giuridico posto in essere dalle parti. […] Questo potere non si attua però immediatamente, per via della unilaterale manifestazione della volontà del suo soggetto, ma rientra fra quelli che richiedono a tal fine la instaurazione e l’esito favorevole di un apposito giudizio”; E. GABRIELLI, sub art. 1467, in E. NAVARRETTA –A.ORESTANO (a cura di), Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile, diretto da E. GABRIELLI, Torino, 2011, pp. 650-651, per cui “ogni doglianza del debitore sopraffatto dalla sopravvenienza deve trovare espressione nel giudizio e accoglimento nella sentenza”; F. GALBUSERA, La risoluzione cit., pp. 441-442, secondo la quale “il meccanismo proprio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta non opera di diritto, bensì giudizialmente”; P. GALLO, voce Eccessiva onerosità cit., p. 241, per cui “la risoluzione del contratto non ha però luogo automaticamente, ma implica una scelta del contraente la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa di porre fine al contratto”; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 956; P. TARTAGLIA, voce Onerosità eccessiva, in Enc. dir., vol. XXX, Milano, 1980, p. 155, spec. 170, per il quale “è da escludersi la rilevanza giuridica di una dichiarazione stragiudiziale tendente ad ottenere la risoluzione […]. Unico modo per l’esercizio del diritto è il ricorso all’autorità giudiziaria”.

Una voce dottrinale sottolinea, peraltro, che, se è vero che il potere di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta è dato ai contraenti direttamente dalla legge, comunque si deve ritenere che le parti

Ne segue che l’effetto di risoluzione si produce secondo la modalità norma – fatto – potere sull’an – accertamento giudiziale – effetto. È la sentenza che definisce positivamente il giudizio a provocare l’effetto in via immediata e a porsi come causa efficiente dello scioglimento del contratto. Sicché anche la sentenza di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta si colloca nella categoria delle sentenze costitutive, che modificano la realtà sostanziale estinguendo gli effetti del contratto (285).

Sull’azione che conduce all’emanazione della sentenza risolutiva, la quale ha (ormai è chiaro) natura costitutiva, occorre svolgere due brevi precisazioni.

Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che la stessa non possa essere introdotta dal contraente in mora, sulla base della seguente ragione. Ai sensi dell’art. 1221 c.c., “il debitore che è in mora non è liberato per la sopravvenuta impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, se non prova che l’oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore”. Ciò significa che il rischio dell’impossibilità della prestazione sopravvenuta in pendenza della mora grava sul debitore moroso; e allora, a fortiori, deve gravare su di lui il rischio che la prestazione diventi eccessivamente onerosa (ipotesi che, rispetto a quella di impossibilità della prestazione, rappresenta un caso meno grave) (286).

L’azione è soggetta al termine di prescrizione ordinario di dieci anni, decorrenti dal momento in cui l’onerosità è divenuta eccessiva, superando l’alea normale del contratto (287). Quanto ai connotati dell’effetto sostanziale di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, è lo stesso art. 1467 c.c. a indicare espressamente che si tratta degli stessi che possiede l’effetto sostanziale di risoluzione per inadempimento (la parte sulla quale grava la

possano “pattuire forme più ridotte o più ampie di revisione che verrebbero, a seconda della loro natura, a coordinarsi o a sovrapporsi alla revisione accordata dalla legge”: A. BOSELLI, La risoluzione cit., p. 252. (285) La dottrina ne è fermamente convinta e non si registrano voci contrarie. Sul punto, v. C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 427; G. CASELLA, La risoluzione cit., pp. 164, 209, il quale sottolinea che, “mancando per l’eccessiva onerosità norme […] che sanciscano l’estinzione de iure della obbligazione, la risoluzione ex art. 1467 c.c. non si verifica in via automatica, ma necessita, per produrre i suoi effetti (costitutivi), di una pronuncia giudiziale che accerti la sussistenza dei presupposti della sopravvenienza”; C. CONSOLO, Spiegazioni cit., vol. I, p. 32, per cui “l’intervento del giudice e della sentenza è richiesto […] nella risoluzione per onerosità sopravvenuta dei contratti”; E. GABRIELLI, sub art. 1467 cit., p. 649 ss.; F. GALBUSERA, La risoluzione cit., p. 446; E. MERLIN, Elementi cit., p. 50; I. PAGNI, Le azioni cit., p. 318, nt. 18; V. ROPPO, Il contratto cit., pp. 878, 957; A. SEGNI, Tutela giurisdizionale cit., p. 317. In giurisprudenza, v. Cass., sez. un., 23 novembre 2018, n. 30416; Trib. Napoli, 3 aprile 2018, n. 2413, in DeJure; Trib. Napoli, 9 febbraio 2016, n. 1193, in DeJure; Trib. Napoli, 8 febbraio 2016, n. 1143, in DeJure.

L’eventuale pronuncia di rigetto della domanda ex art. 1467 c.c. ha, invece, carattere dichiarativo (v. supra, par. 3).

(286) Cfr. F. GALBUSERA, La risoluzione cit., p. 431, nt. 1497; P. TRIMARCHI, Istituzioni cit., p. 340. In giurisprudenza, v. Trib. Firenze, 11 dicembre 2018, n. 3412, in DeJure; Cass., 27 settembre 1991, n. 10139; Cass., 31 ottobre 1989, n. 4554, per le quali “la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 c.c. non può essere fatta valere dalla parte che, con il suo inadempimento, abbia ritardato l’esecuzione del contratto, rendendo necessario il ricorso della parte adempiente alla tutela giudiziaria. Essendo posto a carico della parte inadempiente il rischio della sopravvenuta impossibilità della prestazione (art. 1221 c.c.), deve ‘a fortiori’ ritenersi che sia a carico della stessa parte la sopravvenienza dell’eccessiva onerosità, la quale, rispetto all’ipotesi dell'impossibilità della prestazione, costituisce una situazione meno grave”.

(287) Lo precisa M. DELLACASA, L’azione di risoluzione cit., p. 205. In giurisprudenza, cfr. Trib. Nola, 17 febbraio 2012, in DeJure; Cass., 29 maggio 1998, n. 5302.

prestazione divenuta eccessivamente onerosa “può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458”) (288). Si rimanda al paragrafo 9.1.6 per l’esame degli stessi.

Prima di terminare le riflessioni sulla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, occorre accennare brevemente all’ipotesi in cui l’effetto risolutivo non riesca a prender vita, non perché difettino gli elementi costitutivi, ma perché ad essi si affianca una circostanza che ne impedisce l’efficacia. Secondo il disposto dell’art. 1467, c. 3, c.c., “la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”. Quando ciò accade, si crea una situazione nuova, che fa venir meno il presupposto al quale la legge ricollega la risoluzione: l’esistenza di un contratto eccessivamente oneroso per l’attore. L’offerta di riduzione ad equità in esame costituisce allora un fatto impeditivo che va a comporre la c.d. fattispecie in senso ampio di non-risoluzione: essa preclude l’operatività della fattispecie costitutiva in senso stretto della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta e conduce, quindi, al rigetto della domanda attorea (289).

(288) Nel senso della coincidenza dei caratteri dell’effetto di risoluzione, alla chiara lettera della legge si aggiungono anche A. BOSELLI, La risoluzione cit., p. 278, il quale precisa che dalla risoluzione rimangono investite tutte le prestazioni o le attribuzioni patrimoniali, e non la sola obbligazione divenuta eccessivamente onerosa; G. CASELLA, La risoluzione cit., p. 209, per cui gli effetti della risoluzione, relativamente alle parti, retroagiscono al momento della conclusione del contratto, salvo che per i negozi ad esecuzione continuata o periodica; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 957, che si esprime in termini analoghi.

(289) Cfr. A. BOSELLI, La risoluzione cit., p. 299; G. CASELLA, La risoluzione cit., p. 224, secondo cui la dichiarazione del convenuto “preclude definitivamente la pronuncia sulla risoluzione, investendo il giudice del potere di ridurre ad equità il contratto divenuto eccessivamente oneroso”.

Sulla natura dell’offerta di riduzione ad equità e della sentenza che sulla stessa giudica, gli studiosi sono divisi. La dottrina maggioritaria afferma che l’offerta costituisce un diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale (come sembrerebbe indicare il dato normativo), che provoca una pronuncia di carattere costitutivo: v. A. BOSELLI, La risoluzione cit., p. 296 ss., il quale definisce l’offerta come un potere “di modifica unilaterale del contratto, che la legge attribuisce allo scopo di consentirne la conservazione, nel duplice presupposto che il contratto risulti in concreto risolubile per eccessiva onerosità e che la modificazione proposta sia tale da ricondurlo ad equità”; G. CASELLA, La risoluzione cit., p. 224, secondo cui l’offerta “non ha alcun effetto diretto sulla realtà negoziale, la quale potrà essere modificata solamente a seguito della sentenza costitutiva che, previo accertamento della risolubilità del contratto, impone alle parti l’equa innovazione del regolamento contrattuale”; M. DE POLI, La rescissione del contratto, in Trattato cit., p. 268, che parla espressamente di “diritti potestativi giudiziali”; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 957, il quale discute di un “diritto potestativo del convenuto in risoluzione”. In controtendenza rispetto a tale orientamento si pone P. GALLO, voce Eccessiva onerosità cit., p. 241, per il quale l’offerta può aver luogo sia in sede processuale, sia prima dell’inizio del processo; se la proposta è oggettivamente idonea a ricondurre a equità il regolamento contrattuale, sorge un dovere della controparte di concludere il nuovo accordo e, ove ciò non accada, spetta al giudice pronunciare una sentenza sostitutiva del contratto non concluso ex art. 2932 c.c.

Si è giustamente notato che l’art. 1467, c. 3, c.c. ha la stessa struttura dell’art. 1450 c.c. (su cui supra, par. 8). Tuttavia, i due istituti presentano delle differenze operative. Mentre nel settore della rescissione il giudice è chiamato a valutare l’offerta modificativa in forza di un criterio oggettivo, esterno alla volontà dei contraenti, nel caso della risoluzione il giudice reputerà equa solo la modifica che riporti il contratto al punto di equilibrio voluto dalle parti e turbato dai fatti sopravvenuti: cfr., in proposito, M. DE POLI, La rescissione del contratto, in Trattato cit., p. 266; M. PROSPERETTI, Sulla riduzione ad equità cit., pp. 1240-1241.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 96-101)