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La funzione individuatrice della causa petendi. I diritti autodeterminati e i diritti eterodeterminati

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 161-168)

I LIMITI OGGETTIVI DEL GIUDICATO NELLE IMPUGNATIVE CONTRATTUALI

18. Ciò che in astratto può costituire l’oggetto della domanda (e, quindi, del processo e del giudicato) e del giudicato)

19.2. La causa petendi

19.2.2. La funzione individuatrice della causa petendi. I diritti autodeterminati e i diritti eterodeterminati

Una volta risolto il problema definitorio, si apre la questione relativa al ruolo che la causa

petendi ricopre in relazione all’individuazione della domanda giudiziale.

Secondo la teoria tradizionale, condivisa dalla netta maggioranza della dottrina e della giurisprudenza, la funzione individuatoria della causa petendi varia al variare della natura – autodeterminata o eterodeterminata – del diritto fatto valere in giudizio.

La distinzione tra le due tipologie di diritti deriva dall’antichissima intuizione per cui

amplius quam semel res mea esse non potest, saepius autem deberi potest (451), a partire dalla quale è stata sviluppata la sistemazione che oggi conosciamo.

I diritti autoindividuati sono quei diritti che, in un dato momento storico, non possono sussistere più volte, con lo stesso contenuto, in capo allo stesso soggetto. Si prenda come esempio il diritto di proprietà. In un determinato istante, un determinato soggetto può essere titolare di un unico e unitario diritto di proprietà su un determinato bene, ossia di un unico diritto di godere e disporre di tale bene in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico (art. 832 c.c.). Al fine di individuare il diritto di proprietà di cui si sta discorrendo, è sufficiente indicare (i) il soggetto che ne è titolare, (ii) il bene sul quale il diritto si esplica e (iii) il contenuto del diritto, ossia la facoltà di godere e disporre del bene in modo pieno ed esclusivo. Raccolti tali dati, il diritto

c) relazione di sussidiarietà. Ricorre quando una fattispecie, detta sussidiaria, operi solo a condizione che l’altra non sia attuata. Ove anche un fatto possa essere astrattamente sussunto in entrambe le fattispecie, comunque si applica la sola fattispecie non sussidiaria;

d) relazione di assorbimento. Tale nesso sussiste ove una fattispecie ne presupponga un’altra già concretatasi, ma, nel momento in cui la prima intervenga, cessa la possibilità di applicare la seconda. Le due norme sono entrambe attuate, ma in istanti temporali diversi. Sicché un determinato fatto concreto non può essere sussunto contemporaneamente sotto entrambe le fattispecie astratte, ma può essere sussunto sotto una sola di esse, ossia sotto quella assorbente;

e) relazione di coincidenza cronologica. Più fattispecie sono contestualmente applicabili a un episodio della vita, ma, pur componendosi di fatti inizialmente reciprocamente diversi, si completano in forza di uno stesso fatto e producono tutte un unico effetto.

Alla luce di quanto sopra, il fatto costitutivo resta unico, pur se considerato da più fattispecie astratte, in tutti i casi in cui tra le diverse norme che sussumono la stessa vicenda della vita intercorrano nessi di esclusione, specialità, sussidiarietà, assorbimento o coincidenza cronologica. Al di fuori di tali ipotesi, a fronte di più fattispecie astrattamente applicabili, si avranno tanti fatti costitutivi quante sono le fattispecie.

(451) Lo sottolineano A. CERINO CANOVA, La domanda giudiziale cit., p. 24, il quale evidenzia che la massima riportata rispecchia “la matrice empirica che è alla base del problema dell’identificazione delle azioni”; G. CHIOVENDA, Istituzioni cit., pp. 318-319; F. P. LUISO, Diritto processuale cit., vol. I, pp. 61-62.

di proprietà in parola è identificato in modo univoco e non può essere confuso con alcun altro diritto esistente nell’ordinamento in quella frazione di tempo. La precisazione che tale diritto sia stato acquistato per usucapione, successione o accessione non ha alcuna utilità nell’ottica di riconoscerlo; perciò si esclude che il fatto generatore del diritto, la sua causa

petendi, sia un elemento di identificazione dello stesso (452).

Sono comunemente inquadrati in tale categoria il diritto di proprietà e i diritti reali di godimento (453), i diritti della personalità e, più in generale, i diritti assoluti, nonché i diritti relativi aventi ad oggetto beni determinati (454), quali i diritti personali di godimento (455).

I diritti eterodeterminati sono, invece, quei diritti che, nella stessa unità di tempo, possono sussistere più volte, con il medesimo contenuto, tra gli stessi soggetti. Si pensi, ad esempio, ai diritti di credito. In un determinato istante, Tizio può vantare nei confronti di Caio un credito di cento Euro a titolo di risarcimento per un danno subito, ma anche un credito di cento Euro a titolo di onorari per una prestazione professionale svolta a suo favore. Al fine di identificare il singolo diritto di credito, non è sufficiente indicare (i) i soggetti tra cui intercorre la relazione giuridica (Tizio e Caio), (ii) il bene oggetto del diritto (il denaro) e (iii) il contenuto del diritto (l’incasso di cento Euro). Infatti, tali elementi non sono da soli capaci di distinguere l’un credito dall’altro. A tale scopo, è altresì necessario prospettare il fatto generatore del diritto. Pertanto, in ipotesi siffatte, la causa petendi

(452) Per le descritte caratteristiche dei diritti autodeterminati e per l’esclusione di qualsivoglia funzione individuatrice della causa petendi, cfr. E. BETTI, Diritto processuale cit., pp. 178-179; A. BONSIGNORI, Tutela giurisdizionale cit., pp. 131-132; M. BOVE, Lineamenti cit., p. 226; R. CAPONI –A.PROTO PISANI, Lineamenti cit., p. 76; G. CHIOVENDA, Istituzioni cit., p. 318; E. HEINITZ, I limiti oggettivi cit., pp. 193-194; F. P. LUISO, Diritto processuale cit., vol. I, pp. 60-61; S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 207; S. MENCHINI, voce Regiudicata civile cit., p. 442; N. PICARDI, Manuale cit., p. 283; A. PROTO PISANI, Appunti sul giudicato civile cit., p. 392; A. PROTO

PISANI, Note problematiche e no sui limiti oggettivi del giudicato civile, in Foro it. 1987, I, p. 446, spec. 449; G. F. RICCI, Diritto processuale cit., p. 312; A. SEGNI, Tutela giurisdizionale cit., p. 352; S. VALAGUZZA, Il giudicato amministrativo nella teoria del processo, Milano, 2016, p. 192.

(453) Rispetto ai diritti reali, sono state, per la verità, manifestate opinioni contrarie: v. A. ATTARDI, La cosa giudicata cit., p. 24, per il quale il diritto reale deve essere inteso come un “fascio di obbligazioni gravanti sulla generalità dei soggetti”; così, “come è ammissibile che vi sia un concorso di diritti di credito […], sarebbe parimenti concepibile che l’obbligazione della generalità di astenersi dal turbare un soggetto determinato nel godimento di una cosa possa sussistere a titoli diversi […], e sarebbe quindi immaginabile un concorso di diritti reali (di contenuto equivalente)”; M. T. ZANZUCCHI, Nuove domande, nuove eccezioni e nuove prove in appello: art. 490-491 c.p.c., Milano, 1916, p. 335, il quale afferma: “ma la cosa non cambia trattandosi di diritti reali. Se chiedo la consegna del fondo rivendicandolo come proprietario, non solo, ma come proprietario per averlo comprato, e il convenuto mi oppone di averlo a sua volta acquistato da me, e io deduco di averlo ricomperato da lui, faccio valere bensì lo stesso diritto-proprietà – e in base allo stesso modo di acquisto-compravendita –; ma muto la ragione del chiedere, perché muto il fatto costitutivo del mio diritto (compravendita prima, compravendita seconda), e in sostanza il mio diritto stesso (la proprietà per il primo contratto, la proprietà per il secondo). La natura e il contenuto del mio diritto sono sempre identici, il diritto non è più quello” (corsivo mio). (454) Contra, G. CHIOVENDA, Istituzioni cit., p. 320.

(455) Cfr. R. CAPONI –A.PROTO PISANI, Lineamenti cit., p. 76; A. CERINO CANOVA, La domanda giudiziale cit., pp. 71, 222; M. FORNACIARI, Situazioni potestative cit., p. 313, secondo cui il credito alla consegna di una cosa determinata è diritto autoindividuato; F. P. LUISO, Diritto processuale cit., vol. I, p. 60; S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., pp. 223-224, il quale sottolinea che il fatto costitutivo non assume rilevanza per l’identificazione delle obbligazioni di specie; N. PICARDI, Manuale cit., p. 283.

rappresenta l’entità che rende un diritto peculiare rispetto a un altro e assume, quindi, la funzione di identificarlo (456).

Vengono ricompresi in questa seconda classe i diritti di credito a prestazioni generiche e i diritti reali di garanzia (457).

Riprendendo l’efficace spiegazione di Fornaciari, “la differenza fra un diritto autoindividuato ed uno eteroindividuato è, sotto il profilo della fattispecie, la seguente. Se il diritto è autoindividuato, la sua fattispecie […] è: a/b/c = x (dove il segno “/” sta per “oppure”); se è eteroindividuato, la sua fattispecie è: a = x1; b = x2; c = x3” (458).

Quanto sin qui esposto in materia di identificazione dei diritti è pienamente condivisibile; le conseguenze che vengono tratte dalla delineata distinzione in punto di identificazione delle domande meritano, invece, qualche maggior riflessione.

L’orientamento dominante – e pressoché incontrastato – crea un’equazione tra irrilevanza della causa petendi ai fini dell’identificazione del diritto e irrilevanza della causa

petendi ai fini dell’identificazione della domanda.

Così, nel settore dei diritti autodeterminati, si suol dire che al mutamento della causa

petendi non consegue un mutamento del diritto e, quindi, della domanda (459). Ciò con due significativi risvolti pratici: da un lato, sono sempre consentite l’allegazione e la prova di nuove causae petendi nel corso del processo; dall’altro, ove in seguito alla conclusione di un primo giudizio venga proposta una nuova domanda avente ad oggetto il medesimo diritto autodeterminato, ma fondata su una diversa causa petendi, il giudice adito per secondo non potrà decidere la causa nel merito, in ossequio al principio del ne bis in idem (460).

(456) Per le descritte caratteristiche dei diritti eterodeterminati e nel senso del ruolo individuatore della causa petendi, cfr. E. BETTI, Diritto processuale cit., pp. 178-179; M. BOVE, Lineamenti cit., p. 226; R. CAPONI –A.PROTO

PISANI, Lineamenti cit., p. 76; G. CHIOVENDA, Istituzioni cit., p. 319; E. HEINITZ, I limiti oggettivi cit., p. 194; F. P. LUISO, Diritto processuale cit., vol. I, p. 62; S. MENCHINI, voce Regiudicata civile cit., p. 442; N. PICARDI, Manuale cit., p. 284; A. PROTO PISANI, Note problematiche cit., p. 449; G. F. RICCI, Diritto processuale cit., p. 312; A. SEGNI, Tutela giurisdizionale cit., p. 352; S. VALAGUZZA, Il giudicato amministrativo cit., p. 191. In giurisprudenza, v. Cass., 19 aprile 2000, n. 5092, in Foro it. 2002, I, p. 2765, con nota di R. CAPONI, Limiti oggettivi del giudicato nei rapporti complessi.

(457) Così R. CAPONI –A.PROTO PISANI, Lineamenti cit., p. 76; A. CERINO CANOVA, La domanda giudiziale cit., pp. 71-72, 222-223; N. PICARDI, Manuale cit., p. 284. Contra, v. S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 215 ss., il quale inquadra i diritti reali di garanzia tra i diritti autoindividuati: “se è vero che più ipoteche possono esistere a favore di un certo soggetto su un determinato bene, l’elemento che le differenzia l’una rispetto all’altra è il credito, a garanzia del quale esse siano sorte; l’indicazione del rapporto obbligatorio, cui accede il diritto di garanzia, è condizione necessaria per la sua individuazione”. Sembra, tuttavia, che l’Autore non riesca a sostenere la tesi fino in fondo, in quanto attribuisce nuovamente importanza alla fattispecie costitutiva del diritto laddove si debba discutere del grado della singola ipoteca.

(458) M. FORNACIARI, Situazioni potestative cit., p. 313.

(459) Giova, qui, precisare che il mutamento di un mero fatto secondario non determina il mutamento della causa petendi: cfr. F. P. LUISO, Diritto processuale cit., vol. I, p. 62.

(460) Cfr. M. BOVE, Lineamenti cit., p. 226; G. CHIOVENDA, Istituzioni cit., p. 319; L. P.COMOGLIO –C.FERRI

–M.TARUFFO, Lezioni cit., p. 759; E. HEINITZ, I limiti oggettivi cit., p. 188; S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., pp. 212-213; A. PROTO PISANI, Appunti sul giudicato civile cit., pp. 392-393; A. PROTO PISANI, Note problematiche cit., p. 449; G. PUGLIESE, voce Giudicato civile cit., pp. 863-864; G. F. RICCI, Diritto processuale cit., p. 312; A. SEGNI, Tutela giurisdizionale cit., p. 352; S. VALAGUZZA, Il giudicato amministrativo cit., p. 192.

Accade, invece, esattamente il contrario con riguardo ai diritti eterodeterminati: al variare della causa petendi, varia anche il diritto e, dunque, la domanda; non è ammessa l’introduzione di nuovi fatti costitutivi in corso di causa, in quanto si cadrebbe in una ipotesi di inammissibile modifica della domanda; l’autorità giudiziaria che dovesse essere chiamata a decidere su un diritto di credito di analogo contenuto, sussistente tra i medesimi soggetti, ma caratterizzato da un diverso fatto generatore, non subirebbe effetti preclusivi da un’eventuale precedente sentenza già resa tra le stesse parti (461).

Occorre, a questo punto, vagliare la tenuta della tesi che desume la rilevanza o l’irrilevanza della causa petendi ai fini dell’identificazione della domanda dalla distinzione tra diritti eterodeterminati e diritti autodeterminati. Per farlo, è necessario fornire alcune anticipazioni (giocoforza superficiali) relative ai possibili effetti che il giudicato può produrre in successivi giudizi, effetti che saranno analizzati funditus nella parte finale della presente sezione (462).

Per un verso, la regiudicata può produrre un effetto negativo/preclusivo, che si esplica nei giudizi in cui viene proposta una domanda identica a quella già decisa con efficacia di giudicato. Tale effetto impedisce al secondo giudice di pronunciarsi nel merito e lo vincola a rigettare la domanda in rito. Per altro verso, la regiudicata può produrre un effetto positivo/conformativo, che si manifesta nei giudizi aventi ad oggetto diritti dipendenti da, o incompatibili con, quello accertato in modo incontrovertibile all’esito del primo processo. Detto effetto obbliga il secondo magistrato ad accertare l’esistenza e il modo di essere del diritto pregiudiziale in termini conformi a quanto statuito nella prima sentenza.

Analizziamo le conseguenze applicative dell’orientamento maggioritario nella prospettiva dell’uno e dell’altro effetto.

Cominciando dall’effetto preclusivo, i corollari sono quelli già indicati retro. Se con riferimento ai diritti autodeterminati la causa petendi non è elemento di identificazione della domanda, più domande aventi ad oggetto uno stesso diritto autodeterminato sono sempre identiche tra loro, anche se diverso è il titolo d’acquisto fatto valere. Ne consegue che, dopo che su un certo diritto autodeterminato è stata pronunciata una prima sentenza con efficacia di giudicato, quest’ultimo preclude ogni successiva decisione in merito allo stesso diritto. Per converso, se le domande relative a diritti eterodeterminati sono sempre identificate dalla

causa petendi, la diversità di fatti costitutivi rende diverse le domande e consente ai giudici

successivamente aditi di decidere nel merito in via autonoma.

Ebbene, a risultati pratici parzialmente divergenti si giungerebbe ove si ritenesse che tutte le domande siano identificate dalla causa petendi, indipendentemente dalla natura del diritto che hanno ad oggetto. Degli esempi possono aiutare a comprendere.

(461) Così M. BOVE, Lineamenti cit., p. 227; L. P.COMOGLIO –C.FERRI –M.TARUFFO, Lezioni cit., p. 759; A. PROTO PISANI, Appunti sul giudicato civile cit., p. 393; A. PROTO PISANI, Note problematiche cit., p. 449; G. PUGLIESE, voce Giudicato civile cit., pp. 863-864; S. VALAGUZZA, Il giudicato amministrativo cit., p. 192.

Si immagini che, in un giudizio tra Tizio e Caio, un primo giudice abbia accertato che Tizio ha un diritto di proprietà su un certo bene mobile, in quanto l’ha acquistato a titolo derivativo. Si immagini che Tizio instauri, poi, una nuova azione contro Caio, chiedendo che il giudice accerti il proprio diritto di proprietà su quello stesso bene, acquisito per usucapione (463). In una simile situazione, gli esiti finali non cambiano: anche ove si ritenesse che la seconda domanda sia domanda diversa dalla prima, in quanto differente è il titolo d’acquisto del diritto di proprietà, comunque il secondo giudice non potrebbe far altro che rigettarla. Tuttavia, il tipo di rigetto e il percorso argomentativo che ad esso condurrebbe sarebbero diversi: se le due domande di accertamento del diritto di proprietà fossero considerate differenti, non potrebbe operare l’effetto negativo del giudicato, che si esplica solo nei casi di identità di azioni e che determina il rigetto in rito di quella successivamente instaurata, ma la seconda domanda dovrebbe essere rigettata per difetto di interesse ad agire in capo all’attore, il quale ha già ottenuto un accertamento nei confronti di Caio dell’esistenza del proprio diritto di proprietà.

Viceversa, ove nel primo procedimento il giudice avesse accertato l’insussistenza del diritto di proprietà di Tizio, per non averlo egli acquistato a titolo derivativo, e ove quest’ultimo proponesse una nuova azione di mero accertamento facendo valere il titolo d’acquisto originario dell’usucapione, considerare le due domande diverse porterebbe a risvolti concreti differenti. Al secondo giudice non sarebbe impedita la valutazione della sussistenza del diritto di proprietà in capo a Tizio in forza del diverso titolo d’acquisto e ben potrebbe giungere a una conclusione diversa da quella del primo giudice. Il che risulta grandemente opportuno, se si considera che, nel corso del primo procedimento, dell’usucapione le parti potrebbero non aver minimamente trattato.

Passando all’effetto conformativo della res iudicata, la rilevanza e l’irrilevanza della causa

petendi nell’individuazione della domanda portano sempre a conseguenze fattuali differenti.

Immaginiamo la seguente situazione. Mentre pende il giudizio instaurato da Tizio contro Caio per vedere accertato il proprio diritto di proprietà sul bene mobile, acquistato ex art. 1153 c.c. a fronte di un contratto tra i due stipulato, Tizio aliena tale diritto a Sempronia (si ipotizzi, senza trasferirgliene il possesso). Successivamente, si apre la successione del padre dell’attore e si scopre che il bene controverso è stato legato a Tizio dal de cuius. La circostanza viene da Tizio allegata in giudizio quale ulteriore fatto costitutivo del proprio diritto. In siffatto scenario, per Sempronia è dirimente che Tizio sia divenuto proprietario del bene in forza dell’uno o dell’altro titolo di acquisto.

Poniamoci nella prospettiva di un secondo magistrato, innanzi al quale Sempronia abbia proposto contro Caio una domanda di accertamento del proprio diritto di proprietà sul bene mobile, e assumiamo per il momento che l’oggetto della domanda di accertamento della proprietà sia individuato anche dalla causa petendi. Se all’esito del primo giudizio il giudice ha accertato che Tizio era proprietario del bene avendolo acquistato a non domino, il secondo giudice dovrà, conformandosi a tale statuizione, dare per presupposto che Tizio fosse

proprietario del bene e valutare soltanto la validità dell’atto con cui il diritto di proprietà è stato trasferito a Sempronia. Se, al contrario, il primo giudice ha accertato che Tizio era proprietario del bene mobile, perché l’aveva acquistato (non già a non domino, bensì) per successione mortis causa a titolo particolare, il secondo giudice non potrà de plano concludere che Sempronia sia titolare di un diritto di proprietà sul bene mobile.

Qualora, invece, si ritenesse che la causa petendi non abbia rilevanza ai fini della determinazione dell’oggetto della domanda di accertamento del diritto di proprietà e la tesi fosse portata alle sue estreme conseguenze, si dovrebbe concludere che la prima sentenza si sia limitata ad accertare che, in un dato momento storico (coincidente con la data dell’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado, se la pronuncia non è stata impugnata, o in appello, se è stata assoggettata agli ordinari mezzi di impugnazione), Tizio fosse proprietario del bene mobile, senza specificarne la data di acquisto. Il giudicato coprirebbe tutti i fatti costitutivi del diritto, anche se non dedotti (464), e avrebbe una portata conformativa indeterminabile.

Ora, appare evidente che quest’ultimo esito non è accettabile e mi sembra che, per evitarlo, si presentino due alternative.

La prima opzione, che si deve al pensiero di Attardi, è quella di attribuire portata individuatrice alla causa petendi anche nel settore dei diritti autodeterminati. Anche l’Autore prende le mosse dalla constatazione che, siccome l’accertamento del diritto autodeterminato riguarda anche il passato, “non si può […] ritenere senz’altro che la portata della declaratoria della sussistenza della proprietà in capo ad un soggetto sia identica quale che sia il fatto giuridico in relazione al quale la proprietà medesima venga riconosciuta” (465). Risulta, allora, preferibile distinguere il ruolo del fatto costitutivo nell’individuazione del diritto dal ruolo del fatto costitutivo nell’individuazione della domanda: poiché anche i diritti autodeterminati possono ricollegarsi a più fatti giuridici, anche per essi la causa petendi è elemento di identificazione della domanda, con la conseguenza che a più causae petendi corrispondono più azioni (466).

(464) Cfr. G. PUGLIESE, voce Giudicato civile cit., pp. 863-864, per cui “in materia reale […] il giudicato […] si estende a tutti i possibili fatti costitutivi”. In termini analoghi si esprime altresì A. BONSIGNORI, Tutela giurisdizionale cit., p. 131.

(465) Cfr. A. ATTARDI, Diritto processuale cit., vol. I, p. 133.

(466) In tal senso si esprime A. ATTARDI, Diritto processuale cit., vol. I, p. 130 ss. Nel precedente scritto A. ATTARDI, In tema di limiti oggettivi cit., p. 539, l’Autore aveva preso posizione sulla questione in termini più ambigui. In tale sede, Attardi scriveva: “se è vero che il contenuto dei diritti in questione [diritti assoluti, ndr.] è identico, non è indifferente che il diritto riconosciuto ad un soggetto si ricolleghi a una piuttosto che ad altra fattispecie, quantomeno con riguardo al momento del passato nel quale il diritto stesso risulta posto in essere: il valore del bene della vita riconosciuto ad un soggetto dalla sentenza può, in relazione ad esso, variare. In altre parole, credo che – anche per i diritti in questione – il fatto giuridico sia un momento di identificazione”. Come si vede, non è chiaro se l’Autore intendesse qualificare il fatto generatore come elemento di individuazione del diritto o della domanda proposta per tutelarlo.

Merita di essere qui segnalata una tesi intermedia, che conferisce alla causa petendi il ruolo di elemento di identificazione delle domande su diritti autodeterminati nei soli casi in cui il fatto generatore sia un acquisto a

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