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La diffida ad adempiere

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 63-68)

9. L’azione di risoluzione

9.1. La risoluzione per inadempimento

9.1.1. La diffida ad adempiere

Un contratto può anzitutto essere risolto per inadempimento ai sensi dell’art. 1454 c.c., mediante una diffida ad adempiere.

Come noto, la diffida ad adempiere è una dichiarazione con la quale il contraente fedele intima alla controparte di provvedere all’adempimento entro un congruo termine, con l’espresso avvertimento che, ove il termine fissato decorra senza che si faccia luogo all’adempimento, il contratto s’intenderà da quel momento risolto. Gli studiosi si mostrano unanimi nel ritenere che siffatta dichiarazione abbia carattere unilaterale recettizio (e quindi produca effetto dal momento in cui perviene al destinatario: artt. 1334 e 1335 c.c.) e debba rivestire forma scritta ad substantiam. Essa deve sempre indicare: (i) il termine concesso per l’adempimento in modo specifico, non essendo sufficiente la generica intimazione ad adempiere “entro un congruo termine” (179); (ii) la menzione dell’effetto risolutivo per il caso

(177) Cfr. E. ALLORIO, L’ordinamento giuridico cit., p. 110; R. TOMMASINI, voce Annullabilità cit., p. 2.

(178) Cfr. M. ALLARA, La teoria delle vicende del rapporto giuridico cit., p. 271 (implicitamente); I. PAGNI, Le azioni cit., p. 317, secondo cui “il contratto, in sé considerato, è e resta valido, mentre si scioglie il rapporto contrattuale venuto in essere tra le parti”; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 875, per il quale “la risoluzione colpisce non il contratto, ma direttamente e solo i suoi effetti: rende il contratto inefficace, senza toccarne la validità”; R. TOMMASINI, voce Annullabilità cit., p. 2, che precisa che la risoluzione ha “riflessi sulla efficacia” del contratto.

(179) Sulla recettizietà della diffida, v. C. M. BIANCA, Diritto civile, V. La responsabilità, Milano, 2012, p. 333; M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 250; A. DALMARTELLO, voce Risoluzione del contratto, in Noviss.

in cui il debitore non assolva ai propri obblighi entro il termine fissato, così da consentire di accertare le intenzioni risolutive dell’intimante (180).

Vediamo qual è la modalità con cui l’effetto di risoluzione si produce nel caso in esame. Il primo elemento dello schema è l’art. 1454 c.c., che individua le diverse componenti della fattispecie astratta dell’effetto risolutorio.

Innanzitutto, occorre che sussista l’inadempimento, le cui caratteristiche hanno costituito a lungo – e costituiscono ancora – terreno di scontro tra gli interpreti. Chi reputa che l’inadempimento debba essere sempre imputabile al contraente infedele fronteggia chi, all’opposto, opina che lo stesso possa anche non esserlo (181). Inoltre, sebbene vi sia

Dig. it., vol. XVI, Torino, 1969, p. 126, spec. 141; G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in G. SICCHIERO –M.D’AURIA –F.GALBUSERA, Risoluzione dei contratti, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, Napoli, 2013, p. 71. Sulla forma scritta ad substantiam, v. C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 333; M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 269; A. DALMARTELLO, voce Risoluzione cit., p. 142; C. DE MENECH, Diffida ad adempiere e risoluzione “di diritto” ex art. 1454 c.c., in Contratti 2013, p. 703, spec. 705; U. NATOLI, voce Diffida ad adempiere, in Enc. dir., vol. XII, Milano, 1964, p. 509, spec. 510; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 903; C. SCOGNAMIGLIO, Sulla disponibilità degli effetti della diffida ad adempiere da parte dell’intimante, in Giur. it. 1988, I, I, p. 447, spec. 454. Sulla necessità della determinazione del termine concesso al debitore, v. M. COSTANZA, sub art. 1454 cit., p. 441; U. NATOLI, voce Diffida cit., p. 509; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 903; G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., p. 76. In giurisprudenza, v. Trib. Brescia, 8 aprile 2015, n. 1061, in DeJure.

(180) Sottolineano l’imprescindibilità di tale indicazione G. F. BASINI, L’importanza dell’inadempimento e la diffida ad adempiere, in Contratti 1995, p. 549, spec. 550-551; C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 334; M. COSTANZA, sub art. 1454 cit., p. 441; C. DE MENECH, Diffida ad adempiere cit., p. 706; U. NATOLI, voce Diffida cit., p. 509; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 903; C. SCOGNAMIGLIO, Sulla disponibilità cit., p. 454, che dà rilievo all’“esigenza che sia accertata l’effettiva direzione dell’intento dell’intimante alla produzione dell’effetto risolutivo”; G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., p. 77, il quale precisa che la diffida che non contiene tale avvertimento non è efficace “ad effetti risolutori”.

(181) Con il termine “imputabilità” si intende “la riferibilità di un fatto al comportamento del soggetto, l’ascrivibilità di una determinata conseguenza alla sfera di controllo del soggetto stesso”: la definizione è di F. MACIOCE, Risoluzione del contratto e imputabilità dell’inadempimento, Napoli, 1988, p. 11.

Nel primo senso indicato nel testo, cfr. C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 336; M. CAMPA, La tempestiva costituzione in giudizio del convenuto quale condizione per far valere le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio. La diffida ad adempiere ed i suoi presupposti per la risoluzione del contratto, in Foro pad. 2009, I, p. 130, spec. 138; I. PAGNI, Le azioni cit., p. 326; G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., p. 70, che ne individua la ragione nella circostanza che la diffida ad adempiere sia disciplinata nella stessa sezione dedicata alla risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., in cui l’inadempimento è imputabile (in proposito, v. infra, par. 9.1.4). Nel secondo senso si esprimono M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 263, sulla base del seguente ragionamento: “la diffida ad adempiere, infatti, si può fondatamente ritenere che possa assumere la valenza anche di una costituzione in mora del contraente inadempiente. Questi, allora, quale debitore costituito in mora, sarebbe tenuto a sopportare anche le conseguenze dovute a cause a lui non imputabili, ai sensi dell’art. 1221 c.c. Sarebbe, perciò, contrario ai principi limitare la risolubilità del contratto all’inadempimento imputabile (rectius colpevole)”; M. COSTANZA, sub art. 1454 cit., p. 437, per la quale lo scioglimento del contratto costituisce “solo un rimedio ai difetti del sinallagma” e “la rilevanza dell’imputabilità rimane circoscritta alle conseguenze risarcitorie”; M. DELLACASA, Inadempimento e risoluzione del contratto: un punto di vista sulla giurisprudenza, in Danno e resp. 2008, p. 261, spec. 264, secondo cui “la rilevanza accordata all’imputabilità dell’inadempimento […] determina una situazione di asimmetria informativa tra le parti, rendendo l’iniziativa risolutoria estremamente rischiosa. Siccome l’imputabilità dell’inadempimento è un fattore interno alla sfera del debitore, il creditore desideroso di affrancarsi dal rapporto contrattuale non dispone di tutte le informazioni necessarie per valutare la fondatezza dell’istanza risolutoria. Il contraente che promuove la risoluzione e interrompe l’attuazione del rapporto contrattuale corre il rischio di incorrere in responsabilità, in quanto la sua iniziativa può risultare infondata in dipendenza di una circostanza che non ha avuto la possibilità di conoscere”; F. MACIOCE, Risoluzione cit., pp. 42-43.

consenso sulla necessità che l’inadempimento sia grave ai sensi dell’art. 1455 c.c. (182), chi ritiene che la gravità debba manifestarsi in concreto si scontra con chi crede che possa essere solo potenziale (183), e chi pensa che debba sussistere al momento della ricezione della diffida bisticcia con chi asserisce che debba trasparire al momento della scadenza del termine concesso al debitore (184).

(182) Salvi rarissimi casi: v. Trib. Trani, 5 dicembre 2017, n. 2612, e Cass., 17 agosto 2011, n. 17337, per i quali, “tenendo conto della lettera della norma (di cui all’art 1454 c.c.) e considerato che la stessa non menziona in alcun modo l’importanza dell’inadempimento, neppure con un semplice rinvio formale alla previsione di cui all’art. 1455 c.c. se ne deve dedurre che il grave inadempimento non assurge ad elemento essenziale della risoluzione di diritto per diffida ad adempiere, al pari di quanto accade nelle altre due ipotesi di risoluzione per clausola espressa e per termine essenziale, essendo presupposto imprescindibile della sola risoluzione giudiziale”.

Secondo la tesi più equilibrata, l’importanza dell’inadempimento deve essere valutata sia sulla base di criteri soggettivi (quali l’interesse concreto e attuale del creditore, l’intenzione delle parti, l’atteggiamento incolpevole, la tempestiva riparazione, la protratta tolleranza del contraente fedele) sia sulla base di criteri oggettivi (l’economia del contratto, l’equilibrio tra le prestazioni, l’entità della violazione, sia in astratto, sia in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente): v. A. BELFIORE, voce Risoluzione del contratto per inadempimento, in Enc. dir., vol. XL, Milano, 1989, p. 1307, spec. 1322 ss.; M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 62; R. MONGILLO, Importanza dell’inadempimento cit., pp. 832-833; M. PALADINI, L’atto unilaterale di risoluzione per inadempimento, Torino, 2013, pp. 78-79. In giurisprudenza, v. Cass., 4 maggio 2018, n. 10627; Cass., 18 febbraio 2008, n. 3954; Cass., 7 febbraio 2001, n. 1773.

(183) La prima soluzione è quella nettamente maggioritaria: cfr. G. G. AULETTA, Risoluzione e rescissione dei contratti, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1948, p. 641, spec. 646-647, secondo cui l’art. 1455 c.c., “sia per la sua dizione generica che per la sua collocazione, va riferito così alla risoluzione giudiziale dell’art. 1453 come alla risoluzione per diffida dell’art. 1454 […], altrimenti, sarebbe facile eludere il divieto della non scarsa importanza, ricorrendo alla risoluzione per diffida invece che alla risoluzione per sentenza”; G. F. BASINI, L’importanza dell’inadempimento cit., passim; M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 260; M. CAMPA, La tempestiva costituzione cit., p. 138; U. CARNEVALI, La risoluzione per inadempimento cit., p. 42; R. E. CERCHIA, Quando il vincolo contrattuale si scioglie. Unicità e pluralità di temi e problemi nella prospettiva europea, Milano, 2012, p. 124; M. COSTANZA, sub art. 1454 cit., p. 434; I. PAGNI, Le azioni cit., p. 326; A. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela c.d. costitutiva cit., p. 74; C. TURCO, L’imputabilità e l’importanza dell’inadempimento nella clausola risolutiva, Torino, 1997, p. 164, per cui la constatazione dell’effettiva gravità dell’inadempimento serve ad evitare che la risoluzione per diffida venga asservita al “possibile interesse del creditore a speculare sull’inadempimento, cioè a giuridicizzare una mera rimeditazione sulla convenienza dell’affare di già concluso”.

Nel secondo senso si esprime, invece, M. DELLACASA, Offerta tardiva della prestazione e rifiuto del creditore: vantaggi e inconvenienti di una risoluzione «atipica», in Riv. dir. civ. 2007, p. 509, spec. 529-530, il quale precisa che la gravità si compone di due profili: la rilevanza della prestazione ineseguita nell’economia del contratto e l’entità della lesione arrecata al creditore. Certamente l’inadempimento deve riguardare una prestazione di importanza non secondaria nell’economia del contratto, ma può anche non avere ancora leso gravemente l’interesse che ha indotto il creditore a contrarre; in quest’ottica, la gravità dell’inadempimento non è attuale, ma solo potenziale. Cfr. anche G. AULETTA, Importanza dell’inadempimento e diffida ad adempiere, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1955, p. 655, spec. 656 ss., secondo cui la valutazione della gravità dell’inadempimento deve essere effettuata con diversi metri di giudizio, a seconda del grado di adempimento della prestazione del debitore.

Un’ultima notazione: quegli autori che individuano sia l’imputabilità sia la gravità quali caratteri necessari del fatto “inadempimento” concludono che, sotto tale profilo, la risoluzione ex art. 1454 c.c. condivida i medesimi presupposti della risoluzione ex art. 1453 c.c. (su cui v. infra, par. 9.1.4); così, per esempio, M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 258; M. COSTANZA, sub art. 1454 cit., p. 434.

(184) Propendono per la prima soluzione M. COSTANZA, sub art. 1454 cit., p. 437, per la quale la diffida non può essere validamente esercitata “se non si è già avuto quell’inadempimento di non scarsa importanza che la legge pone come circostanza imprescindibile dello scioglimento del rapporto contrattuale”; M. G. CUBEDDU, L’importanza dell’inadempimento, Torino, 1995, p. 297 ss., anche nt. 67; C. TURCO, L’imputabilità cit., p. 165. Nello stesso senso, in giurisprudenza, v. Cass., 27 novembre 2009, n. 25040; Cass., 13 marzo 2006, n. 5407. Prospettano, invece, la seconda ricostruzione C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 337; M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., pp. 261-262, il quale sottolinea come “il pieno compimento della fattispecie, di

In secondo luogo, occorre che intervenga una diffida ad adempiere, che possieda i connotati supra delineati e che provenga dalla parte che abbia adempiuto alle proprie obbligazioni. Ciò è necessario in quanto l’eventuale stato di inadempienza del diffidante consentirebbe alla controparte di sollevare l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. e impedire così la risoluzione del contratto (185). Il termine concesso con la diffida non può essere inferiore a quindici giorni, salvo che le parti si siano accordate diversamente o salvo che risulti congruo un termine inferiore, alla luce della natura del contratto o degli usi vigenti nel mercato in cui lo stesso si inscrive (art. 1454, c. 2, c.c.) (186).

In terzo luogo, occorre che l’inadempimento perduri fino alla scadenza del termine. La componente fattuale dello schema di produzione dell’effetto di risoluzione è costituita dal concreto verificarsi del fatto “inadempimento”. Quando ciò accade, sorge in capo al contraente insoddisfatto un diritto potestativo, che rappresenta il terzo addendo della fattispecie costitutiva in senso stretto dell’effetto di risoluzione e che viene esercitato nelle forme della diffida ad adempiere (187). A quest’ultima si aggiunge, poi, un ulteriore elemento meramente fattuale, ossia la permanenza dell’inadempimento sino alla scadenza del congruo termine (188).

Si tratta ora di capire se, una volta verificatisi i fatti descritti dalla norma e una volta esercitato il diritto potestativo di risoluzione nelle forme legittime, l’effetto di risoluzione venga alla luce o se, a tale scopo, occorra anche una pronuncia giudiziale.

cui all’art. 1454 c.c., si ha soltanto allo spirare del termine intimato. È in questo momento che si verifica l’effetto risolutorio; e quindi in questo momento – non prima – devono concorrere tutti i requisiti necessari”; A. GUARINO, La diffida ad adempiere e la gravità dell’inadempimento, in AA. VV., Studi in onore di Filippo Vassalli, vol. II, Torino, 1960, p. 965, spec. 971; M. PALADINI, L’atto unilaterale cit., p. 68. In giurisprudenza, v. Cass., 30 giugno 2013, n. 2217, per cui l’accertamento giudiziale della gravità dell’inadempimento deve essere effettuato “in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine”; Cass., 18 aprile 2007, n. 9314; Cass., 20 marzo 1991, n. 2979, secondo cui “la valutazione della gravità dell’inadempimento va operata con esclusivo riferimento al momento della scadenza del […] termine”.

(185) Cfr. M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., pp. 256, 264; G. MIRABELLI, Dei contratti cit., p. 555. In giurisprudenza, v. Cass., 4 maggio 1994, n. 4275.

(186) Chiaramente, il termine non congruo rende la diffida inefficace: v. M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 275. Il giudizio di congruità non può avere ad oggetto esclusivamente la situazione del debitore, e quindi la concreta possibilità che riesca ad approntare tutti i mezzi necessari per l’esecuzione della prestazione (anche perché l’adempimento avrebbe dovuto essere preparato, almeno in parte, prima del ricevimento della diffida); esso deve altresì prendere in considerazione il sacrificio che il debitore sopporta a causa dell’attesa: cfr. M. COSTANZA, sub art. 1454 cit., p. 445. Da un punto di vista probatorio, sarà il diffidante a dover dimostrare la congruità di un termine infraquindicinale, e sarà invece il debitore a dover provare l’incongruità di quello pari o superiore: così M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., pp. 274-275. Contra, M. DELLACASA, Offerta tardiva cit., p. 531, per cui l’onere della prova relativa alla congruità del termine grava sempre sul creditore.

(187) Cfr. I. PAGNI, Le azioni cit., p. 318, per la quale “il verificarsi del fatto «inadempimento» fa nascere un potere in capo alla parte”; G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., p. 71, per cui “la diffida ad adempiere costituisce […] dichiarazione di volontà di esercizio di un diritto potestativo del contraente creditore”.

(188) Per mere ragioni di completezza, si ricorda che un risalente orientamento giurisprudenziale considerava necessaria, ai fini dell’insorgere dell’effetto risolutivo, anche un’ultima e definitiva scelta da parte del contraente innocente: v. Cass., 18 maggio 1987, n. 4353, in Giur. it. 1988, I, 1, p. 448, con nota di C. SCOGNAMIGLIO, Sulla disponibilità cit.; Cass., 23 aprile 1977, n. 1530, in Giur. it. 1978, I, 1, p. 536.

Ancora una volta, è lo stesso legislatore a fornire risposta al quesito. L’art. 1454, c. 1, c.c. dispone che, “decorso inutilmente detto termine [ossia quello fissato nella diffida], il contratto s’intenderà senz’altro risolto”. L’art. 1454, c. 3, c.c. rafforza il concetto prevedendo che “decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto”. Ne segue che il diritto potestativo di risoluzione attuabile tramite la diffida ad adempiere è un diritto potestativo sostanziale e che la sequenza che conduce all’insorgere dell’effetto di risoluzione è così composta: norma – fatto – potere sull’an – effetto (189). Le norme sono in questa occasione a tal punto perentorie e inequivocabili che nessuno, né in dottrina né in giurisprudenza, ha mai tentato di prospettare soluzioni alternative.

Ovviamente, sarebbe ingenuo pensare che, data la natura sostanziale del diritto potestativo, l’autorità giurisdizionale non compaia mai sulla scena. Come si è visto, non basta un inadempimento qualunque per poter attivare la diffida e le modalità con cui questa deve essere posta in essere sono rigorosamente disciplinate dalla legge. È ben possibile, allora, che il contraente asseritamente inadempiente instauri un giudizio, al fine di contestare la propria inadempienza e/o la legittimità dell’intimazione della controparte. Se ciò avvenisse, il giudizio sarebbe inevitabilmente un giudizio di mero accertamento e la sentenza pronunciata all’esito dello stesso avrebbe natura dichiarativa. Alle medesime conclusioni si perverrebbe altresì ove l’azione fosse instaurata dallo stesso contraente che ha fatto ricorso alla risoluzione di diritto, come passo prodromico rispetto a una domanda di condanna della controparte alla restituzione della prestazione già corrisposta o al risarcimento dei danni (190).

(189) Cfr. Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile del 1942, n. 661, ove si legge che “la persistente inadempienza del debitore provoca la risoluzione ipso iure”. In tali termini, v. G. F. BASINI, Risoluzione del contratto e sanzione dell’inadempiente, Milano, 2001, p. 126, secondo cui, nei casi in esame, “al creditore viene attribuito un potere ‘costitutivo’”; C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 338; M. CAMPA, La tempestiva costituzione cit., p. 134; U. CARNEVALI, La risoluzione per inadempimento cit., pp. 42-43, secondo il quale la diffida ad adempiere è una fattispecie di risoluzione riconducibile “a poteri giuridici di autotutela che l’ordinamento attribuisce ai privati e che rientrano […] nella categoria dei diritti potestativi sostanziali, secondo lo schema fatto/atto/effetto”; C. CONSOLO, Spiegazioni cit., vol. I, p. 32; A. DALMARTELLO, voce Risoluzione cit., pp. 141-142, per cui “la diffida produce, al momento della scadenza del termine in essa indicato, l’effetto finale e principale che le è proprio: vale a dire la risoluzione del contratto”; C. DE MENECH, Diffida ad adempiere cit., p. 709, chiarissima nel dire che l’effetto risolutorio “si realizza nel momento in cui (e sempre che) l’inadempienza persista ancora alla scadenza del termine fissato”; M. DELLACASA, Il creditore può rinunciare alla risoluzione «di diritto»? Luci ed ombre di una regola giurisprudenziale, in Riv. dir. civ. 2012, II, p. 21, spec. 28; G. IUDICA, Risoluzione per inadempimento, in Riv. dir. civ. 1983, II, p. 184, spec. 189; L. MONTESANO, La tutela giurisdizionale cit., p. 132; U. NATOLI, voce Diffida cit., p. 509; I. PAGNI, Le azioni cit., pp. 327, 394; A. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela c.d. costitutiva cit., p. 74, secondo il quale la dichiarazione di diffida è “atto di esercizio di un vero e proprio potere sostanziale”; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 901 ss.; P. TRIMARCHI, Istituzioni cit., p. 335.

(190) Dottrina e giurisprudenza sono in proposito unanimi. Quanto alla prima, v. A. ADDANTE, Colpa dell’obbligato ed operatività della clausola risolutiva espressa, in Contratti 2003, p. 231, spec. 232; A. ATTARDI, Diritto processuale cit., vol. I, p. 111; G. F. BASINI, L’importanza dell’inadempimento cit., p. 550; C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 338; M. CAMPA, La tempestiva costituzione cit., p. 134; U. CARNEVALI, La risoluzione per inadempimento cit., p. 39; R. E. CERCHIA, Quando il vincolo contrattuale si scioglie cit., p. 131; A. DALMARTELLO, voce Risoluzione cit., p. 142; G. MIRABELLI, Dei contratti cit., p. 555; C. SCOGNAMIGLIO, Sulla disponibilità cit., p. 452, nt. 17; A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale cit., p. 701; P. TRIMARCHI, Istituzioni cit., p. 335; C. TURCO, L’imputabilità cit., pp. 163-164. Quanto alla giurisprudenza, cfr. Trib. Torino, 6 novembre 2008, n. 7297, in Foro pad. 2009, I, p. 124, con nota di M. CAMPA, La tempestiva costituzione cit.; Cass., 13 marzo 2006, n. 5407; Cass., 2 dicembre 2005, n. 26232, in Corr. giur. 2006, p. 1097; Cass., 18 maggio 1987, n. 4535, in Giur. it. 1988, I, I, p. 448, con nota di C. SCOGNAMIGLIO, Sulla disponibilità cit.

L’azione di mero accertamento non è soggetta a prescrizione; il che significa che, una volta realizzatosi l’effetto di risoluzione sul piano stragiudiziale, si può procedere a renderlo incontrovertibile in ogni momento. Tuttavia, l’eventuale prescrizione delle azioni di ripetizione o di risarcimento dei danni potrebbe causare un difetto di interesse alla pronuncia nel caso concreto (191).

Alla luce della disamina effettuata, la diffida appare, dunque, una forma di risoluzione particolarmente equilibrata. Essa rappresenta uno strumento celere ed economico di autotutela, posto a favore del contraente deluso, al quale è lasciata la facoltà di avvalersene o meno. D’altro canto, essa risponde anche all’esigenza di tutelare il debitore, il quale viene avvertito dell’intenzione di controparte di sciogliersi dal vincolo contrattuale e posto nelle condizioni di mantenere in piedi un rapporto che può essergli utile (192).

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 63-68)