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I rapporti tra oggetto del giudicato, oggetto del processo e oggetto della domanda

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 144-149)

I LIMITI OGGETTIVI DEL GIUDICATO NELLE IMPUGNATIVE CONTRATTUALI

17. I rapporti tra oggetto del giudicato, oggetto del processo e oggetto della domanda

Per lo studioso che si affacci all’esame dell’estensione oggettiva del giudicato, la norma da cui prendere le mosse è l’art. 2909 c.c., il quale, sotto la rubrica “Cosa giudicata”, dispone che “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.

Le poche parole di cui è composta la previsione legislativa consentono di identificare alcuni primi elementi utili.

In termini generali, a “passare in giudicato” è la sentenza, sicché l’oggetto del giudicato non può che coincidere con l’oggetto della sentenza.

Aumentando il grado di dettaglio, ciò che diviene incontrovertibile è l’“accertamento contenuto nella sentenza”, dal che consegue che l’oggetto del giudicato si modella sull’oggetto dell’accertamento incluso nel provvedimento giudiziale.

Giunti a questo punto, però, la formulazione della norma si mostra singolarmente ermetica, non offrendo alcun indizio circa quello che dovrebbe essere tale oggetto. Il compito di riempire di significato il significante “accertamento” è, dunque, integralmente demandato all’interprete, il quale non può far altro che puntellare il proprio sforzo esegetico con altre disposizioni normative.

Uno valido spunto, che permette di compiere un ulteriore passo nel (lungo) cammino che porta alla delimitazione dell’oggetto della res iudicata, si rinviene nel già richiamato art. 112 c.p.c., a mente del quale “il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa […]”. Tale disposizione, che enuncia il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, chiarisce che l’oggetto della pronuncia giudiziale deve necessariamente combaciare con l’oggetto della domanda di parte (404).

Alla luce di quanto esposto, si può allora affermare che, per stabilire l’oggetto del giudicato, si deve procedere a ritroso: l’oggetto del giudicato equivale all’oggetto della sentenza, che a sua volta equivale all’oggetto del processo, che in ultima analisi equivale alla

res in iudicium deducta con la domanda giudiziale (405).

(404) Così L. P.COMOGLIO –C.FERRI –M.TARUFFO, Lezioni sul processo civile, vol. I, Bologna, 1995, p. 759; B. SASSANI, Lineamenti cit., p. 484; A. SEGNI, Tutela giurisdizionale cit., p. 349, per cui “il giudicato si forma […] sull’oggetto della domanda”. Ad avviso di A. CHIZZINI, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Il codice civile. Commentario, fondato da P. SCHLESINGER e continuato da F. D. BUSNELLI, Milano, 2018, p. 37, è proprio “nell’esercizio di una funzione [giurisdizionale] condizionata alla proposizione della domanda, cui si riconnette il dovere decisorio del giudice, che si deve cogliere il punto di equilibrio (non facile) tra autonomia delle parti, quale lo stato moderno (pur vorace accentratore) deve riconoscere, e potere pubblico”.

(405) L’ordinaria equazione tra oggetto della domanda, del processo e del giudicato è unanimemente riconosciuta: cfr. V. ANDRIOLI, Diritto processuale cit., vol. I, p. 996, per cui “l’oggetto della cosa giudicata si ricalca sull’oggetto della domanda”; G.ARIETA –F.DE SANTIS –L.MONTESANO, Corso base di diritto processuale

Eppure, la tendenziale equivalenza che sussiste tra oggetto della domanda, del processo e del giudicato non trova sempre concreta applicazione (406).

Anzitutto, si può avere una fisiologica divergenza tra oggetto della domanda e oggetto della decisione nelle ipotesi in cui le parti propongano una pluralità di domande tra loro alternative o condizionate (407). In questi casi, ove accolga una delle più domande alternativamente cumulate, accolga la domanda principale a fronte di un cumulo condizionato in senso proprio o rigetti la domanda principale a fronte di un cumulo condizionato in senso improprio, il giudice assorbe e omette di esaminare l’altra domanda; e ciò nel pieno rispetto delle norme processuali.

In tale scenario, l’oggetto della regiudicata non si può plasmare sull’oggetto della domanda, o meglio delle domande, in quanto su alcune di esse l’organo giudicante non si è espresso. Il giudicato ha, quindi, un ambito oggettivo inferiore a quello delle domande e risulta limitato al solo decisum (408).

Giova osservare che tale soluzione non presenta criticità nella prospettiva di tutelare il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. L’esercizio di tale diritto viene calibrato, nel corso del

civile, Padova, 2016, p. 688, secondo i quali “l’estensione dell’accertamento che «fa stato» ai sensi dell’art. 2909 c.c. è individuata oggettivamente dalla domanda, nei cui limiti (art. 112 c.p.c.) la sentenza passata in giudicato che lo contiene ha irretrattabilmente deciso”; P. BIAVATI, Argomenti di diritto processuale civile, Bologna, 2016, p. 125; A. BONSIGNORI, Tutela giurisdizionale cit., pp. 126-127; M. BOVE, Lineamenti cit., p. 225, per il quale, “se la res iudicata non è altro che la res litigiosa dopo che è stata giudicata, evidentemente l’oggetto del giudicato coincide con quello che è stato, prima, l’oggetto della domanda, poi, l’oggetto del processo ed, infine, l’oggetto della decisione”; F. D. BUSNELLI, Della tutela giurisdizionale cit., p. 216; R. CAPONI –A.PROTO PISANI, Lineamenti cit., p. 77; F. CARNELUTTI, Sistema cit., vol. I, p. 290; A. CHIZZINI, La tutela giurisdizionale cit., pp. 37 ss., 369, secondo il quale la domanda giudiziale ha la funzione di definire “i confini del giudizio, di determinare i limiti del dovere del giudice di decidere nel merito, di conformare a sé […] la portata del giudicato”; è in base alla domanda giudiziale, “per il principio sancito dall’art. 112 c.p.c., che si dovrà infine valutare la portata dell’accertamento ai sensi dell’art. 2909 c.c.”; E. HEINITZ, I limiti oggettivi della cosa giudicata, Padova, 1937, p. 129; F. LANCELLOTTI, Variazioni dell’implicito rispetto alla domanda, alla pronuncia ed al giudicato, in Riv. dir. proc. 1980, p. 465, spec. 466; E. T. LIEBMAN, Manuale cit., vol. I, pp. 278-279, secondo cui la res iudicata ha “gli stessi limiti dell’efficacia della sentenza. Vale perciò il principio che la cosa giudicata si estende all’oggetto del processo”; A. LUGO, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 2012, p. 231; F. P. LUISO, Diritto processuale cit., vol. I, p. 157, per cui, “tendenzialmente, ciò che è oggetto della domanda diventa anche oggetto della sentenza, per cui noi possiamo parlare dell’oggetto della domanda, dell’oggetto del processo e dell’oggetto della decisione come di tre aspetti di un unico fenomeno. Le tre nozioni tendenzialmente coincidono: ciò che la domanda individua diviene oggetto del processo; ciò che è oggetto del processo diviene oggetto della decisione e quindi del giudicato”; F. P. LUISO, Istituzioni di diritto processuale civile, Torino, 2018, p. 129; S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., pp. 10-11; S. MENCHINI, voce Regiudicata civile cit., p. 429; S. MENCHINI, Il giudicato civile cit., p. 68; R. POLI, In tema di giudicato cit., pp. 583-584; S. SATTA – C. PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 2000, p. 140. (406) Per utilizzare le parole della Corte di Cassazione, “oggetto del processo, oggetto della domanda giudiziale e oggetto del giudicato risultano allora cerchi sicuramente concentrici, ma le cui aree non appaiono sempre perfettamente sovrapponibili”: cfr. Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, par. 5.4.

(407) Come noto, si è in presenza di un cumulo alternativo di domande in tutti i casi in cui la parte proponga più domande senza indicare un particolare ordine di decisione; in tali situazioni, il giudice ha la libertà di accogliere la domanda che per prima è matura per la decisione. Si è, invece, in presenza di un cumulo condizionato in senso proprio in tutti i casi in cui la parte proponga una domanda in via principale e, in via subordinata, per l’ipotesi in cui sia rigettata, ne proponga un’altra. Da ultimo, si è in presenza di un cumulo condizionato in senso improprio laddove la parte proponga una domanda in via principale e, per l’ipotesi in cui questa sia accolta, proponga una domanda ulteriore.

processo, sulla base delle domande proposte. Ciò significa che i litiganti hanno piena possibilità di contraddire su tutte le questioni inerenti a tutte le domande formulate; se, poi, all’esito del giudizio qualche domanda resta assorbita, le parti non perdono i propri diritti di azione e difesa rispetto alla stessa, ma sono libere di riattivare il contraddittorio sul punto in altri e successivi giudizi. Il giudicato, formandosi su un quid minus rispetto a quanto effettivamente discusso, non va a limitare i diritti delle parti.

Qualche maggiore problema è dato, invece, dalle ipotesi in cui la discrepanza tra oggetto della domanda e oggetto della decisione derivi dai patologici fenomeni di ultrapetizione, extrapetizione e infrapetizione (409).

Cominciando dai primi due, la dottrina nettamente maggioritaria ritiene che il giudicato si sagomi sul quantum decisum, indipendentemente da quanto fosse posto ad oggetto della domanda e indipendentemente da quanto sia stato effettivamente dibattuto in corso di causa (410).

Per comprendere le implicazioni di tale ricostruzione, può essere utile un esempio. Si immagini che due soggetti abbiano stipulato due contratti di compravendita immobiliare, entrambi con una stretta di mano. Si immagini, poi, che il venditore agisca in giudizio per ottenere la declaratoria di nullità di uno dei due accordi, ma il giudice dichiari la nullità di entrambi, sulla scorta del fatto che anche l’invalidità del secondo contratto emerga dagli atti. Se si seguisse l’indirizzo predominante, si dovrebbe concludere che la res iudicata copra l’accertamento della nullità di entrambi i negozi.

Tale esito entra, però, in conflitto con i diritti di azione e difesa delle parti, nonché con il principio del contraddittorio che governa il giusto processo civile. Infatti, se la domanda di nullità ha ad oggetto uno solo dei due contratti, ci si può ragionevolmente aspettare che le parti si concentrino su tale questione e convoglino i propri sforzi di allegazione e prova verso la medesima. Ben potrebbe accadere che nulla dicano in merito al diverso contratto, parimenti viziato per difetto di forma scritta. Ma se la regiudicata si estendesse anche a tale diversa fattispecie, i contraenti avrebbero definitivamente perso ogni possibilità di esercitare i propri diritti di azione e difesa relativamente alla stessa. Il giudicato si risolverebbe, in sostanza, in uno sbarramento all’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti.

D’altro canto, i vizi di ultra o extrapetizione sono usualmente ricondotti a vizi di nullità della sentenza disciplinati dall’art. 161, c. 1, c.p.c. (411). È noto che, in forza di tale

(409) Ricorre il vizio di ultrapetizione laddove il giudice attribuisca alla parte più di quanto richiesto (si pensi a una condanna al pagamento di una somma maggiore rispetto a quella domandata). Ricorre il vizio di extrapetizione laddove il giudice si pronunci su un diritto diverso da quello fatto valere (si pensi all’accertamento di un diritto di usufrutto a fronte di una domanda di accertamento del diritto di proprietà). Ricorre un vizio di infrapetizione, o di omessa pronuncia, laddove il giudice ometta di decidere su una delle domande proposte o su una parte dell’unica domanda formulata.

(410) Cfr. V. ANDRIOLI, Diritto processuale cit., vol. I, p. 997; A. BONSIGNORI, Tutela giurisdizionale cit., p. 127; C. CONSOLO, Oggetto del giudicato cit., p. 241; E. HEINITZ, I limiti oggettivi cit., p. 129; F. P. LUISO, Diritto processuale cit., vol. I, p. 158; S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 13; S. MENCHINI, Il giudicato civile cit., p. 68; B. SASSANI, Lineamenti cit., p. 484. In giurisprudenza, v. Cass., 26 ottobre 2012, n. 18447.

(411) Così, ad esempio, F. P. LUISO, Istituzioni cit., p. 129; B. SASSANI, Lineamenti cit., p. 484; A. SEGNI, Tutela giurisdizionale cit., p. 349, per cui gli errori di extra e ultra petita “danno diritto ad impugnare la sentenza, ma, se

disposizione, “la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione” (principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione). Ciò comporta che, se i vizi in esame non vengono convertiti in motivi di gravame, essi si sanano con il passaggio in giudicato formale del provvedimento giurisdizionale.

Ebbene, se ci si pone nell’ottica di fornire la massima tutela ai diritti di azione e di difesa delle parti, si è portati a concludere che, nelle ipotesi di ultra ed extra petita, il giudicato si formi solo su ciò che è stato oggetto sia di domanda sia di decisione e che, per converso, non si formi su ciò che è oggetto di decisione e non di domanda. Invece, se si offre maggior peso al dettato dell’art. 161, c. 1, c.p.c., si è indotti a pensare che la regiudicata copra l’intero

decisum, nella misura in cui i vizi in discorso restino sanati dal sopravvenire del giudicato

formale.

Al fine di conciliare le due posizioni, occorre, a mio avviso, considerare due fattori. Da un lato, l’art. 24 Cost. è una norma di rango superiore rispetto all’art. 161 c.p.c., il quale deve sottostare a una interpretazione costituzionalmente orientata. Dall’altro, se si accettasse di attribuire efficacia di giudicato a tutte le decisioni incluse nelle pronunce giudiziali, indipendentemente dal contenuto delle domande di parte e dallo svolgimento del giudizio, il discorso relativo ai limiti oggettivi del giudicato potrebbe chiudersi qui e trovare compiuta soluzione nella seguente affermazione: tutte le decisioni che il magistrato inserisce nella sentenza sono coperte dal giudicato; e ciò sia che riguardino questioni lato sensu connesse con quelle che le parti intendevano discutere sia che riguardino questioni che nulla hanno a che vedere con l’oggetto degli atti introduttivi. Stando così le cose, sorgerebbe spontaneo domandarsi per quale ragione dottrina e giurisprudenza abbiano utilizzato fiumi d’inchiostro per valutare l’estendibilità del giudicato alle questioni pregiudiziali, alle eccezioni, ai motivi delle pronunce, o abbiano teorizzato la figura del giudicato implicito.

A me sembra che la soluzione non possa ravvisarsi nella pura propagazione del giudicato sull’intero decisum. Credo, invece, che la conclusione sia più articolata. La circostanza che il giudice pronunci extra o ultra petita dà effettivamente origine a un vizio della sentenza. Se il vizio non viene (come si suol dire) convertito in un motivo di gravame o se il motivo di gravame viene rigettato, l’intera sentenza passa in giudicato formale, anche nei capi ultronei rispetto all’oggetto delle domande di parte. Ciò non significa, tuttavia, che il provvedimento giudiziale acquisisca efficacia di giudicato sostanziale nella sua integrità. Al contrario, la res

iudicata sostanziale copre solo i capi non affetti da vizi di ultra o extrapetizione, ossia solo i

capi che contengono pronunce sull’oggetto delle domande di parte. In tal guisa, i diritti di azione e difesa vengono salvaguardati, e viene salvaguardata anche la fisiologica equivalenza tra oggetto della domanda, oggetto del processo e oggetto del giudicato.

In altri termini, alle ipotesi di ultra e di extrapetizione andrebbe preferibilmente applicato il regime processuale delle sentenze inesistenti, di cui all’art. 161, c. 2, c.p.c.

la sentenza passa in giudicato, essi non possono più farsi valere, né sono motivi di inesistenza o nullità assoluta della sentenza che sopravvivano al giudicato”.

Il raccordo di compromesso qui proposto non rappresenta una assoluta novità nel panorama processualcivilistico. Infatti, un risultato molto simile è da alcuni raggiunto in materia di litisconsorzio necessario. Secondo una parte degli interpreti, il provvedimento che viene emesso in assenza di uno o più litisconsorti necessari, pur passando formalmente in giudicato, è inutiliter dato, ossia inefficace. Ne consegue che chiunque può riproporre la domanda originariamente formulata e far valere l’inefficacia della sentenza a fronte di un’eventuale eccezione di precedente giudicato (412).

La differenza sta nel fatto che, nel caso in esame, la sentenza non è completamente inefficace, ma è almeno in parte idonea ad acquisire efficacia di giudicato sostanziale.

Non intendo nascondere che la prospettazione qui indicata non trovi precedenti e imponga un rilevante “stiracchiamento” dell’art. 161, c. 2, c.p.c.; tuttavia, mi sembra che essa si riveli necessaria, se si vuole mantenere un certo grado di coerenza con quanto si verrà a dire nel prosieguo della trattazione (413).

Volgendo, ora, l’attenzione ai casi di omessa pronuncia, essi assomigliano alle situazioni di assorbimento di domande alternative o condizionate, con la differenza che qui l’omesso esame della domanda costituisce un errore del giudice, e non una corretta applicazione di norme processuali. Cionondimeno, la sentenza ha un oggetto più ridotto della domanda; pertanto, la regiudicata può formarsi sul solo decisum, in quanto non è “concepibile un giudicato sostanziale su una pronuncia inesistente” (414), senza che ciò comporti un vulnus al contraddittorio tra le parti (415).

(412) Cfr., per tutti, F. CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, vol. IV, Padova, 1926, p. 71; G. CHIOVENDA, Sul litisconsorzio necessario, Prato, 1904, p. 31; C. CONSOLO, Spiegazioni cit., vol. I, pp. 107-108. (413) Uno spiraglio nella direzione qui prescelta è aperto da G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, vol. II, Bari, 2017, p. 304, nt. 10, secondo cui il principio incardinato nell’art. 34 c.p.c., in forza del quale la pronuncia con efficacia di giudicato presupponga un’espressa domanda di parte (su cui v. infra, par. 23), “dovrebbe coerentemente condurre ad escludere la formazione del giudicato ogniqualvolta il giudice fosse andato al di là delle domande delle parti, sconfinando nell’ultrapetizione o addirittura nell’extrapetizione”. (414) Le parole sono di E. GRASSO, Dei poteri del giudice, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E. ALLORIO, vol. I, Torino, 1973, p. 1276.

(415) In tali termini cfr. V. ANDRIOLI, Diritto processuale cit., vol. I, p. 997; C. CONSOLO, Oggetto del giudicato cit., p. 241; F. P. LUISO, Diritto processuale cit., vol. I, p. 158; B. SASSANI, Lineamenti cit., p. 484. In giurisprudenza, è ricorrentemente affermato che “quando la sentenza di primo grado manchi di statuire su una delle domande introdotte in causa (e non ricorrono gli estremi di una sua reiezione implicita, né risulta che la stessa sia rimasta assorbita dalla decisione di altra domanda da cui dipenda) deve riconoscersi alla parte istante la facoltà di far valere tale omissione in sede di gravame, ovvero, in alternativa, di riproporre […] la domanda in separato giudizio, considerato che la rinunzia implicita alla domanda stessa di cui all’art. 346 c.p.c., per non avere denunciato quell’omissione in appello, ha valore processuale e non anche sostanziale. Con la conseguenza che, stante la menzionata facoltà di scelta, nel separato giudizio non è opponibile il giudicato derivante dalla mancata impugnazione della sentenza per omessa pronunzia”: v. Cass., 10 luglio 2018, n. 18062; Cass., 16 giugno 2016, n. 12387; Cass., 12 novembre 2015, n. 23117; Cass., 6 maggio 2011, n. 10017; Cass., 16 maggio 2006, n. 11356; Cass., 30 maggio 2002, n. 7917; Cass., 9 ottobre 1998, n. 10029; Cass., 5 settembre 1997, n. 8605; Cass., 22 marzo 1995, n. 3260; Cass., 27 luglio 1993, n. 8381; Cass., 4 ottobre 1986, n. 5895; Cass., 6 febbraio 1985, n. 872, in Giust. civ. 1986, I, p. 1473; Cass., 28 maggio 1981, n. 3521, in Giur. it. Mass. 1981, p. 879.

Ad avviso di S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 13 ss., occorre operare alcune distinzioni. Nell’ipotesi di omessa pronuncia relativa a una delle più domande proposte in cumulo, non può nascere alcun impedimento dal giudicato, in quanto non è concepibile un giudicato sostanziale su una pronuncia che non esiste. Nell’ipotesi di omessa pronuncia che riguardi, all’interno dell’unica domanda proposta e dell’unica situazione soggettiva fatta valere, una tra più allegazioni costitutive o uno tra più elementi rilevanti per la determinazione del quantum

In conclusione, il primo punto fermo che può essere tratto dal discorso appena svolto è che, salvi i casi eccezionali di assorbimento di domande alternative o cumulate e di infrapetizione, vale l’equazione tra oggetto del giudicato, oggetto della pronuncia, oggetto del processo e oggetto della domanda. E basta collegare i poli estremi della catena per avvedersi che la determinazione della sfera oggettiva del giudicato trova origine nell’analisi del contenuto della domanda (416). È, dunque, con tale esame che occorre proseguire il ragionamento.

18. Ciò che in astratto può costituire l’oggetto della domanda (e, quindi, del processo

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 144-149)