• Non ci sono risultati.

La risoluzione ex art. 1453 c.c

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 75-88)

9. L’azione di risoluzione

9.1. La risoluzione per inadempimento

9.1.4. La risoluzione ex art. 1453 c.c

Resta da analizzare l’ultima ipotesi di risoluzione per inadempimento prevista dal legislatore (anzi, la prima, se si segue l’ordine codicistico), ossia quella disciplinata dall’art. 1453 c.c., che si trova al centro di un pluriennale e fervente dibattito.

La norma menzionata rappresenta il primo tratto dell’itinerario che conduce alla produzione dell’effetto risolutivo.

Sul piano della fattispecie concreta, l’unico elemento meramente fattuale cui viene attribuita rilevanza è l’inadempimento. E si ripropongono anche in questo ambito le

(210) Abbracciano la ricostruzione qui proposta M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 336; F. D. BUSNELLI, voce Clausola risolutiva cit., p. 200: “anche nel caso del termine essenziale, la risoluzione non deriva immediatamente dall’inadempimento di una parte, ma da questo più il successivo comportamento della controparte. E anche se si tratta di un comportamento puramente passivo, non per questo esso ha un significato diverso. La rilevanza giuridica del silenzio, quale fatto costitutivo della risoluzione […] è, in realtà, chiaramente sancita dall’art. 1457 c.c.”; A. DALMARTELLO, voce Risoluzione cit., p. 144, secondo cui la risoluzione ex art. 1457 c.c. è “ancora sempre potestativa. Di particolare non vi è che questo: che per optare per la risoluzione basta, in questo caso, una astensione (nei tre giorni successivi alla scadenza del termine). Ritengo, perciò, esatta la tesi che considera evento risolutivo non la mera scadenza del termine, ma tale scadenza congiunta o combinata con la omissione della richiesta di adempimento nei tre giorni successivi”; M. DELLACASA, Il creditore cit., p. 30, secondo cui la legge consente al creditore che conservi un interesse per la prestazione di “esigerne l’esecuzione – ed evitare, così, la risoluzione del contratto” (enfasi aggiunta); M. GRONDONA, La clausola risolutiva cit., p. 100 ss., il quale concorda con la natura costitutiva del silenzio; G. IORIO, Ritardo cit., p. 252; U. NATOLI, Termine essenziale cit., p. 229, il quale sottolinea che l’ipotesi prevista dall’art. 1457 c.c. disciplina “uno di quei casi in cui il silenzio ha un significato non equivoco, manifesta cioè la volontà precisa di un certo effetto, cioè della risoluzione”; I. PAGNI, Le azioni cit., pp. 318-319, anche nt. 19; C. SCOGNAMIGLIO, Termine essenziale cit., p. 695; C. TURCO, L’imputabilità cit., pp. 166, 174. In giurisprudenza, v. Cass., 3 luglio 2000, n. 8881. Precisa che la dichiarazione di voler conseguire l’adempimento ha natura recettizia G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., p. 67.

(211) In tal senso, v. A. ADDANTE, Colpa dell’obbligato cit., p. 232; G. F. BASINI, L’importanza dell’inadempimento cit., p. 550; M. ROSSETTI, La risoluzione cit., p. 427; G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., p. 54; P. TRIMARCHI, Istituzioni cit., p. 335; C. TURCO, L’imputabilità cit., p. 167. In giurisprudenza, v., ex multis, Trib. Milano, 21 giugno 2017, n. 7028 (in obiter), in DeJure; Trib. Pesaro, 20 febbraio 2017, n. 61, in DeJure; Trib. Taranto, 13 maggio 2016, in DeJure; Cass., 11 novembre 2011, n. 23687; Cass., 18 febbraio 2011, n. 3993, in Contratti 2011, p. 889, con nota di M. CUCCOVILLO, Essenzialità del termine cit.

(212) In tal senso, v. G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., pp. 51-52. Cfr. anche P. TRIMARCHI, Istituzioni cit., p. 335.

medesime discussioni che hanno coinvolto la dottrina e la giurisprudenza nella ricostruzione delle risoluzioni di diritto di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c.

Alcuni reputano indispensabile che l’inadempienza sia imputabile al debitore. Infatti, si dice, è proprio l’imputabilità che consente di distinguere la risoluzione per inadempimento dalla risoluzione per impossibilità sopravvenuta ex artt. 1463 ss. c.c. (213); se si eliminasse tale presupposto, l’una species di risoluzione sarebbe un inutile duplicato dell’altra. All’interno, però, di questa corrente di pensiero si fronteggiano due fazioni: da un lato, vi sono coloro che interpretano il requisito dell’imputabilità come sinonimo di colpevolezza, per cui l’inadempimento deve essere causato da un comportamento quantomeno colposo (214); dall’altro, si pongono coloro che scindono l’imputabilità, quale indice di oggettiva riferibilità di un fatto alla sfera di controllo di un soggetto, dalla colpevolezza, quale elemento psicologico dell’agire del singolo, e che ritengono solo la prima connotato imprescindibile dell’inadempimento (215).

Su un versante completamente diverso si attestano, invece, coloro che escludono che l’imputabilità dell’inadempimento incida sul regime della risoluzione e che limitano la rilevanza del requisito al risarcimento del danno. L’argomentazione che sorregge la conclusione è la seguente. La risoluzione è un rimedio sinallagmatico, che opera in presenza di una grave alterazione del rapporto contrattuale; la perdita di interesse nell’attuazione dello scambio da parte del creditore è l’unico dato che rileva ai fini dello scioglimento del contratto, senza che esso possa essere precluso da un fattore interno alla sfera del debitore, quale l’imputabilità della violazione. Non si può, allora, estendere un requisito tipico della responsabilità contrattuale alla risoluzione per inadempimento, in quanto i due rimedi rispondono a logiche diverse (216).

(213) Sulla quale v. infra, par. 9.2.

(214) La ragione dell’impiego fungibile degli aggettivi “imputabile” e “colposo” è ben spiegata da F. MACIOCE, Risoluzione cit., p. 12 ss. La nozione di colpa viene assunta a criterio individuatore della responsabilità dall’art. 1176 c.c. e l’area della responsabilità del debitore di cui all’art. 1218 c.c. non ne è estranea; sicché “l’inadempimento viene a qualificarsi incolpevole se l’impossibilità si è verificata nonostante l’impiego della diligenza dovuta da parte del debitore; così come non si ha inadempimento colpevole quando, pur essendo la prestazione possibile, la massima diligenza impiegata dal debitore non è sufficiente per soddisfare l’interesse del creditore”. Se si estende, allora, la rilevanza della colpa anche nel campo della responsabilità del debitore, pare evidente che l’inadempimento imputabile viene a collimare con l’inadempimento colpevole.

Si schierano a favore della necessaria colpevolezza dell’inadempimento G. G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento cit., pp. 12, 16; A. BELFIORE, voce Risoluzione cit., pp. 1316-1317; C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 303 ss.; A. DALMARTELLO, voce Risoluzione cit., p. 128, il quale rileva che “deve trattarsi di inadempimento imputabile, perché l’inadempimento non imputabile – equivalente alla fortuita impossibilità della prestazione – è causa estintiva dell’obbligazione e come tale non può se non impropriamente qualificarsi «inadempimento», non essendo concepibile l’inadempimento di un’obbligazione estinta (talché la locuzione «inadempimento incolpevole» contiene, a rigore, una contraddizione in terminis)”; P. GALLO, Inadempimento reciproco cit., p. 318; I. PAGNI, Le azioni cit., p. 326.

(215) Cfr. M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., pp. 75, 78. Sulla distinzione tra imputabilità e colpevolezza, v. anche V. ROPPO, Il contratto cit., p. 898.

(216) Seguono questo approccio F. CRISTIANO, Mutuo dissenso e domande reciproche di risoluzione per inadempimento, in Contratti 2010, p. 787, spec. 789 (se ben si comprende); M. DELLACASA, Inadempimento cit., p. 263; M. GIORGIANNI, voce Inadempimento (diritto privato), in Enc. dir., vol. XX, Milano, 1970, p. 860, spec. 886; F. MACIOCE, Risoluzione cit., p. 31; L. MOSCO, La risoluzione del contratto per inadempimento, Napoli, 1950, p. 20 ss.

Il legislatore non ha, invece, lasciato spazio a dubbi circa l’imprescindibilità di un ulteriore carattere dell’inadempimento: la gravità. Infatti, l’art. 1455 c.c. prevede espressamente che “il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra” (217). Fa comunque discutere il momento in cui detta gravità debba essere valutata: se nel momento in cui doveva essere effettuato l’adempimento, oppure quando viene proposta la domanda giudiziale, o ancora quando il giudice si pronuncia sulla stessa (218).

Ora, a fronte di un’inadempienza che presenti le caratteristiche finora descritte, non è assolutamente scontato che la parte innocente intenda liberarsi dal vincolo contrattuale. Al contrario, per questa potrebbe rivelarsi di gran lunga preferibile mantenere in piedi il negozio e richiedere che esso venga adempiuto. Si possono immaginare le più svariate motivazioni: il contraente inadempiente è il migliore nel suo settore; cercare di ottenere la prestazione da soggetti terzi comporterebbe un ritardo non sopportabile; sono già stati corrisposti diversi acconti sul prezzo; la controparte è l’unica ad avere ottenuto le autorizzazioni amministrative necessarie per adempiere alla propria obbligazione; la controparte opera in un paese straniero nel quale il contraente fedele non ha ulteriori contatti fidati, e così via.

Ecco perché l’effetto di risoluzione non discende in via diretta e automatica dal fatto “inadempimento”, ma occorre che la parte insoddisfatta dia allo stesso giuridica rilevanza, attraverso l’esercizio di un diritto potestativo. Tale ricostruzione, che è senza dubbio la più opportuna, è quella prescelta dal nostro legislatore, il quale ha disposto che, “nei contratti a prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie alle sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto” (art. 1453, c. 1, c.c.).

Sul piano dogmatico, il diritto potestativo in discorso si inquadra nella categoria dei diritti potestativi a necessario esercizio giudiziale. In aggiunta alla norma menzionata, la quale prevede che il creditore possa “chiedere la risoluzione del contratto” e non “risolvere il

Con riferimento all’obiezione per cui l’imputabilità dell’inadempimento sarebbe l’unico elemento in grado di dare alla risoluzione per inadempimento autonomia rispetto alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta, M. DELLACASA, Inadempimento cit., p. 263, risponde che la risoluzione di cui agli artt. 1463 ss. c.c. ha come presupposto non tanto la non imputabilità dell’inadempimento, quanto piuttosto la sua definitività.

(217) Si badi bene, l’insussistenza di tale connotato nega rilevanza all’inadempimento ai soli fini risolutori; non gliela sottrae, invece, con riguardo a un’eventuale azione di adempimento e al risarcimento dei danni: cfr. A. DALMARTELLO, voce Risoluzione cit., p. 133. Con particolare riferimento all’ipotesi di ritardo nell’adempimento, al fine di escludere che la risoluzione possa scaturire da ritardi marginali, cfr. M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 89; M. ROSSI, Il “semplice” ritardo e la risoluzione per inadempimento, in Obbl. e contr. 2007, p. 327, spec. 333. Sui criteri per valutare la gravità della violazione degli obblighi contrattuali, v. supra, nota 182. (218) La prima interpretazione è rinvenibile in una datata sentenza della Corte di Cassazione (Cass., 15 giugno 1989, n. 2879). La seconda è l’opzione prediletta da C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 299 e, in giurisprudenza, da Cass., 24 aprile 2013, n. 10054, in Contratti 2014, p. 164, con nota adesiva di M. CUCCOVILLO, Risoluzione del contratto per inadempimento, apparenza del difetto e comportamento processuale del convenuto contrario a buona fede; Cass., 24 luglio 2012, n. 12895. L’ultima soluzione è abbracciata da Trib. Teramo, 21 maggio 2014, n. 728, in DeJure; Cass., 14 novembre 2006, n. 24207; Cass., 29 agosto 1990, n. 8955. In dottrina, nello stesso senso, cfr. V. ROPPO, Il contratto cit., p. 894; A. VENTURELLI, Costituzione in mora e azione giudiziale di risoluzione del contratto per inadempimento, in Obbl. e contr. 2012, p. 749, spec. 757, con particolare riferimento all’ipotesi di ritardo nell’inadempimento.

contratto”, utili indicazioni in tal senso si traggono dagli ulteriori due commi dell’art. 1453 c.c.: il secondo dispone che “la risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione”; il terzo precisa che “dalla data della domanda di

risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione”. Ora, anche a voler

concedere che il primo comma dell’art. 1453 c.c. non sia dirimente nella determinazione della natura del diritto potestativo dallo stesso previsto, analoga considerazione non può di certo applicarsi agli ultimi due commi, i quali fugano ogni dubbio circa la necessità che il diritto potestativo sia attuato a mezzo di una domanda giudiziale (219).

Dunque, a differenza di quanto accade nelle ipotesi di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., questa volta il contraente deluso non può produrre l’effetto di risoluzione in prima persona; occorre, invece, che l’esercizio del suo potere sia integrato da un ulteriore elemento di fattispecie, a cui solo lo scioglimento del contratto può essere ricollegato. Tale elemento, come ormai facilmente intuibile, è la pronuncia giudiziale che accoglie la domanda di risoluzione, la quale si pone come causa efficiente dell’effetto risolutivo e dell’estinzione dell’efficacia del contratto. Ne segue che l’azione di risoluzione di cui all’art. 1453 c.c. è un’azione costitutiva e che la sentenza che la conclude positivamente è un provvedimento costitutivo-estintivo, che modifica la realtà preesistente eliminando il rapporto contrattuale impugnato (220).

(219) Così A. ATTARDI, In tema di limiti oggettivi cit., p. 536, il quale, come ricordato supra (nota 121), cambia opinione rispetto a quanto sostenuto nel suo precedente articolo ID., Conflitto di decisioni cit.; C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 292; E. GRASSO, La pronuncia d’ufficio cit., p. 303 ss., anche nt. 62; G. IORIO, Ritardo cit., pp. 24-25; R. ORIANI, voce Eccezione cit., p. 271; E. F. RICCI, voce Accertamento cit., p. 23. In giurisprudenza, cfr. Cass., 13 aprile 1959, n. 1086, in Giur. it. 1959, I, 1, p. 1192, con nota di L. CIFFO BONACCORSO, L’eccezione cit.

(220) In tal senso si esprimono A. ATTARDI, Diritto processuale cit., vol. I, p. 110; G. G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento cit., p. 415; G. F. BASINI, L’importanza dell’inadempimento cit., p. 550; G. F. BASINI, Risoluzione del contratto cit., p. 126; A. BELFIORE, voce Risoluzione cit., p. 1335, per cui “la sentenza di risoluzione va, quindi, considerata come un elemento essenziale (un coelemento di efficacia) della fattispecie risolutiva disciplinata dall’art. 1453 e va correlativamente annoverata tra le sentenze costitutive”; C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., pp. 291-292, 309; M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 194; M. BOVE, Lineamenti cit., p. 227 ss.; F. D. BUSNELLI, Della tutela giurisdizionale cit., p. 200, che parla espressamente di sentenza estintiva di un rapporto giuridico; F. CAMMEO, L’azione cit., p. 42; L. CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico cit., p. 383 ss.; U. CARNEVALI, La risoluzione per inadempimento cit., p. 38 ss.; A. CERINO CANOVA, La domanda giudiziale cit., p. 40; G. CHIOVENDA, Principii cit., pp. 193-194; C. CONSOLO, Il concorso di azioni cit., p. 790 ss., per cui l’estinzione del rapporto avviene “solo ope iudicis”; C. CONSOLO, Il processo nella risoluzione del contratto per inadempimento, in Riv. dir. civ. 1995, I, p. 299, spec. 301-302, 320, per cui l’effetto di risoluzione “rimane frutto […] della sentenza che abbia davvero e in concreto ad accogliere quella domanda dell’attore”; C. CONSOLO, Spiegazioni cit., vol. I, p. 32; F. CRISTIANO, Mutuo dissenso cit., p. 790; A. DALMARTELLO, voce Risoluzione cit., p. 140; G. IORIO, Ritardo cit., p. 23, il quale sottolinea che “il profilo letterale della fattispecie […] non sembra dare adito a dubbi circa il carattere costitutivo della sentenza”; S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 145; E. MERLIN, Elementi cit., p. 50; L. MONTESANO, Limiti oggettivi cit., pp. 39-40; A. MOTTO, Domanda di risoluzione per inadempimento e recesso dell’attore dal contratto nel corso del processo, in Riv. arb. 2014, p. 616, spec. 618; A. MOTTO, Poteri cit., p. 247, anche nt. 99 e 100, 260 ss.; R. ORIANI, Diritti potestativi cit., pp. 13-14, il quale parla di una vera e propria “riserva di giurisdizione”; A. PALMA, La inammissibilità dell’esercizio del recesso e del diritto di ritenere la caparra, a seguito dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, in Corr. giur. 2006, p. 1099, spec. 1101; E. F. RICCI, voce Accertamento cit., p. 23; V. ROPPO, Il contratto cit., pp. 878, 910; C. SCOGNAMIGLIO, Sulla disponibilità cit., p. 452, nt. 17; A. SEGNI, Tutela giurisdizionale cit., p. 317; P. TRIMARCHI, Istituzioni cit., p. 334. In giurisprudenza, v., ex plurimis,

Benché la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie siano stabilmente orientate a favore della natura giudiziale del diritto potestativo ex art. 1453 c.c. e della natura costitutiva della sentenza di risoluzione, le conclusioni qui proposte sono state oggetto di numerosi attacchi, concentrati su due fronti. Qualcuno ha criticato, in prima battura, la riconduzione del diritto potestativo di risoluzione ex art. 1453 c.c. nell’alveo dei diritti potestativi a necessario esercizio giudiziale, e ha cercato di dimostrarne la più corretta sussunzione nella categoria dei poteri sostanziali; dalla confutazione del carattere giudiziale del diritto potestativo è, poi, giocoforza derivata la contestazione della costitutività del provvedimento che definisce positivamente l’azione. Qualcun altro, invece, pur riconoscendo che il diritto potestativo di risoluzione deve essere necessariamente esercitato nell’ambito del processo, ha censurato (solo) l’idoneità della sentenza a provocare lo scioglimento del contratto.

Analizziamo le citate obiezioni partitamente.

La prima teorica che merita attenzione è il frutto dell’interessante e innovativa elaborazione di Ilaria Pagni. La proposta ricostruttiva dell’Autrice prende le mosse dalla preliminare constatazione che l’inadempimento può assumere una duplice valenza: di fatto impeditivo dell’efficacia del rapporto contrattuale, nell’ipotesi prevista dall’art. 1460 c.c., in cui l’eccezione di inadempimento comporta la paralisi del rapporto (221); di fatto estintivo nelle ipotesi previste dagli artt. 1453 ss. c.c., in cui determina (insieme ad altri fattori) lo scioglimento del rapporto. Si può, allora, ipotizzare che colui che viene convenuto in adempimento, oltre a rifiutare di assolvere ai propri obblighi ex art. 1460 c.c., si avvalga dell’altrui inadempimento anche nella sua qualità di fatto estintivo. Si configura così l’eccezione di risoluzione, ossia il diritto potestativo sostanziale che consente alla parte di produrre lo scioglimento del contratto nell’ambito del processo (222).

Da qui a riconoscere che tale eccezione possa essere esercitata anche in via stragiudiziale, e che quindi l’effetto di risoluzione si possa produrre anche al di fuori delle aule giudiziarie, il passo è breve. Ciò è confermato da due circostanze: da un lato, dopo aver manifestato la propria volontà risolutoria tramite una dichiarazione stragiudiziale, il creditore non può più cambiare idea e non può più domandare l’esecuzione del contratto, in applicazione del principio dell’affidamento (223); dall’altro, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale

Cass., sez. un., 23 novembre 2018, n. 30416; Cass., 16 novembre 2018, n. 29654; Cass., 25 settembre 2018, n. 22781; Trib. Brindisi, 13 settembre 2018, n. 1335, in DeJure; Cass., 15 marzo 2018, n. 6386; Trib. Bari, 27 febbraio 2017, n. 1060, in DeJure; Trib. Pesaro, 20 febbraio 2017, n. 61, in DeJure; Trib. Milano, 13 luglio 2016, n. 9118, in DeJure; Cass., 24 maggio 2016, n. 10691; Trib. Taranto, 13 maggio 2016, in DeJure; Cass., 12 ottobre 2015, n. 20408; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511; Trib. Nola, 11 gennaio 2011, in DeJure; Cass., 6 febbraio 2009, n. 3039.

Della natura dichiarativa della sentenza che rigetti la domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. si è detto supra, par. 3.

(221) Sull’eccezione di inadempimento, v. infra, par. 14. (222) Cfr. I. PAGNI, Le azioni cit., p. 332 ss.

(223) La norma da cui si discende tale principio è il già citato art. 1453, c. 2, c.c., che secondo l’Autrice è applicabile per analogia anche nelle ipotesi in cui il contraente fedele eserciti il proprio diritto potestativo di risoluzione con una dichiarazione stragiudiziale: cfr. I. PAGNI, Le azioni cit., p. 365. Viceversa, il debitore potrà ancora offrirsi di adempiere, contando sul fatto che la successiva verifica giudiziale accerti che la fattispecie risolutiva non si è mai completata: v. I. PAGNI, Le azioni cit., p. 369.

maggioritario (224), il creditore ha sempre diritto di rifiutare l’adempimento tardivo anche se non ha ancora proposto la domanda di risoluzione. Come si nota, dunque, il contraente fedele può considerarsi sciolto dalle proprie obbligazioni fin dal momento in cui manifesta la volontà di risolvere il rapporto, senza dover attendere l’intervento giudiziale (225).

Nel pensiero dell’Autrice, quindi, il diritto potestativo ex art. 1453 c.c. è un diritto sostanziale e la risoluzione del contratto deriva direttamente dalla sua attuazione. L’unico requisito che deve sussistere affinché lo stesso sia validamente esercitato a scopi risolutori è che la volontà di liberarsi dal vincolo contrattuale sia “manifesta” (226). Peraltro, Pagni sottolinea come tale conclusione sia perfettamente compatibile con la rubrica dell’art. 1453 c.c., la quale non parla affatto di risoluzione “giudiziale”, ma soltanto di “risolubilità per inadempimento” (227).

La delineata teorica si chiude coerentemente con l’attribuzione all’eventuale giudizio, instaurato dall’una o dall’altra parte, della qualifica di processo di mero accertamento e con l’attribuzione alla sentenza che lo definisce della qualifica di sentenza dichiarativa: “dopo la manifestazione di volontà del contraente insoddisfatto, sia essa comunicata alla parte in via stragiudiziale, o sottesa all’eccezione di risoluzione, oppure contenuta nell’atto di citazione in giudizio […], la sentenza sopravverrà quando il contratto è ormai stato privato della propria efficacia e il giudice non dovrà fare altro che dichiarare quali sono i diritti e gli obblighi delle parti, senza dover modificare od estinguere alcunché” (228).

In anni più recenti, ai medesimi risultati giunge Mauro Paladini, il quale riprende alcuni argomenti spesi da Ilaria Pagni e ne utilizza di nuovi.

Anche ad avviso di Paladini (229), la circostanza che la manifestazione della volontà risolutoria preclude qualsivoglia successiva possibilità di domandare l’adempimento conferma la natura sostanziale del diritto di risoluzione: non ha, infatti, alcun senso

(224) Così Cass., 14 maggio 2018, n. 11653; App. Milano, 22 gennaio 2010, n. 153, in DeJure; Cass., 5 settembre 2006, n. 19074; Cass., sez. un., 9 luglio 1997, n. 6224, in Giust. civ. 1998, I, p. 825; Cass., sez. un., 6 giugno 1997, n. 5086, in Contratti 1997, p. 450, con nota critica di L. BARBIERA, Tardivo adempimento del debitore, rifiuto del creditore e risoluzione del contratto; in Corr. giur. 1997, p. 768, con nota di V. CARBONE, Il creditore può rifiutare il tardivo adempimento?; e in Giust. civ. 1997, I, p. 2765, con nota di M. COSTANZA, Rifiuto legittimo della prestazione da parte del creditore e gravità dell’inadempimento. Si noti che sussistono comunque pareri contrastanti, che ammettono la legittimità del rifiuto dell’adempimento solo dopo la proposizione della domanda giudiziale: v. L. BARBIERA, Tardivo adempimento cit., passim; C. DE MENECH, La preclusione dell’adempimento tardivo ex art. 1453, ultimo comma, c.c. nella giurisprudenza, in Contratti 2014, p. 573, spec. 581, secondo cui la ricostruzione della giurisprudenza maggioritaria va a svantaggio delle parti contraenti; infatti, il contraente fedele rischia che la sua valutazione in ordine alla gravità dell’inadempimento non coincida con la successiva valutazione del giudice e si trovi, quindi, costretto a risarcire il danno provocato dal suo rifiuto; d’altro canto, l’inadempiente resta in uno stato di soggezione temporalmente indefinito; “se sceglie di completare l’allestimento della prestazione, […] corre il rischio di vedersi rifiutare l’offerta tardiva ed accorgersi di avere inutilmente sprecato ingenti risorse; ove decida

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 75-88)