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Il rilievo officioso di ulteriori cause di nullità e della diversa estensione oggettiva della medesima della medesima

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 172-184)

I LIMITI OGGETTIVI DEL GIUDICATO NELLE IMPUGNATIVE CONTRATTUALI

21. Il rilievo officioso di ulteriori cause di nullità e della diversa estensione oggettiva della medesima della medesima

Un’ulteriore questione che si pone quando si esamina l’azione di nullità del contratto è se, laddove una delle parti proponga una domanda di nullità (principale, se formulata dall’attore; riconvenzionale, se formulata dal convenuto) facendo valere un determinato vizio, il giudice possa rilevare d’ufficio motivi di nullità diversi da quelli allegati, sempre che, ovviamente, emergano dagli atti di causa (477).

(476) Cfr. supra, par. 19.2.2.

(477) Sull’imprescindibilità di emersione ex actis ai fini del rilievo officioso, in ossequio al principio dispositivo, per cui il giudice non può sostituirsi alle parti nella ricerca delle prove, v. A. CATAUDELLA, Il giudice cit., p. 681, per cui la rilevabilità d’ufficio della nullità “è sempre subordinata alla circostanza che la nullità emerga da elementi acquisiti al processo”; C. CAVALLINI, Il rilievo d’ufficio cit., p. 136, il quale rileva che la nullità deve emergere dagli atti del processo, “alligata atque probata”; C. CONSOLO, Nullità del contratto cit., p. 18; N. COVIELLO, Manuale cit., p. 334; G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., p. 356, il quale sottolinea che l’esistenza delle eccezioni in senso lato non comporta il “superamento del divieto di utilizzazione della scienza privata, perché il giudice deve pur sempre ricavare la notizia del fatto dagli atti di causa”; R. ORIANI, voce Eccezione cit., pp. 276-277, per cui “il potere di rilievo di ufficio è, ovviamente, subordinato alla presenza di vizi riscontrabili attraverso l’esame del fascicolo di ufficio e dei fascicoli di parte, non potendo certo il giudice utilizzare il suo

Come sappiamo, l’art. 1421 c.c. dispone che, in linea generale, il giudice possa sempre rilevare d’ufficio la nullità del contratto e che, anzi, secondo la lettura più accreditata, il giudice abbia un vero e proprio dovere di farlo ogniqualvolta l’invalidità risulti ex actis (478). Tuttavia, la disposizione civilistica nulla dice circa le modalità con cui tale potere-dovere si coordini con i principi che reggono il processo civile.

Il tema merita, dunque, qualche riflessione.

Una nutrita schiera di studiosi, fiancheggiata dalla più recente giurisprudenza, sostiene che l’autorità giudicante abbia sempre il potere-dovere di rilevare d’ufficio cause di nullità diverse da quelle poste a fondamento dell’azione di nullità. E la ragione è da rinvenirsi nel carattere autodeterminato della domanda. Se quest’ultima è unitaria, a prescindere dal motivo di nullità allegato da chi la propone, il giudice deve verificare l’esistenza di tutte le possibili cause di nullità e non esclusivamente di quella indicata. In tale contesto, il rilievo officioso ha ad oggetto (non un’eccezione, bensì) un ulteriore titolo della domanda giudiziale (479). L’unica accortezza che il giudice deve avere è quella di sottoporre la questione al contraddittorio delle parti (480).

Secondo una differente linea di pensiero, invece, il rilievo officioso di profili di nullità diversi da quello fatto valere da chi propone la domanda non può essere ammesso.

sapere privato”; F. PECCENINI, sub art. 1421, in AA.VV., Della simulazione, della nullità del contratto, dell’annullabilità del contratto, in F. GALGANO (a cura di), Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1998, p. 176: “in ossequio al principio di disponibilità delle prove, è opinione pacifica che il giudice possa esercitare la facoltà di rilevare d’ufficio la nullità esclusivamente sulla base degli atti di causa, non avendo egli né il potere né il dovere di svolgere di sua iniziativa indagini volte ad acquisire elementi di fatto dai quali possa discendere la nullità”; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 791; R. SACCO, voce Nullità cit., p. 309; F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali cit., p. 246, secondo cui la nullità è rilevabile d’ufficio “purché la stessa consti legalmente al giudice”; R. TOMMASINI, voce Nullità cit., p. 889, nt. 114. In giurisprudenza, v. in tal senso Cass., 22 agosto 2018, n. 20944 (in obiter); Cass., 4 maggio 2018, n. 10583; Cass., 12 aprile 2018, n. 9095; Cass., 30 maggio 2017, n. 13632; Cass., 16 marzo 2016, n. 5249; Cass., sez. un., 7 maggio 2013, n. 10531; Cass., 18 gennaio 2002, n. 547.

(478) V. supra, par. 11.

(479) È questa l’opinione di M. BOVE, Rilievo d’ufficio cit., p. 1390, il quale scrive: “a me sembra condivisibile […] l’affermazione per cui […] il giudice può rilevare d’ufficio motivi di nullità non fatti valere dall’attore. [Il che] non ha niente a che fare con l’art. 1421 c.c., perché, se questa disposizione conferisce al giudice il potere di rilevare un’eccezione attinente ad un fatto impeditivo del diritto fatto valere dall’attore, evidentemente nel caso di domanda di nullità si tratta solo di riconoscere al giudice il potere di rilevare un fatto costitutivo del diritto fatto valere diverso ed ulteriore rispetto a quello allegato dall’attore, potere ammissibile, purché ovviamente esso si fondi su risultanze degli atti di causa, in quanto non si tratta di fatti individuatori del diritto fatto valere”; A. CATAUDELLA, Il giudice cit., p. 677; C. CONSOLO, Nullità del contratto cit., p. 18; F. CORSINI, Rilevabilità cit., p. 677, nt. 34; V. MARICONDA, La Cassazione cit., p. 967; F. PECCENINI, sub art. 1421 cit., p. 177, il quale osserva che l’operatività del principio della rilevabilità d’ufficio non trova alcun limite nell’art. 1421 c.c. In giurisprudenza, in tal senso, ex plurimis, v. Cass., 29 marzo 2019, n. 8914; Cass., 12 marzo 2019, n. 7034; Cass., 12 dicembre 2018, n. 32148; Cass., 22 agosto 2018, n. 20944; Cass., 6 giugno 2018, n. 14688; Cass., 13 dicembre 2017, n. 29985; Cass., 2 maggio 2017, n. 10629; Cass., 23 gennaio 2017, n. 1674; Cass., 11 novembre 2016, n. 23064, per cui il giudice ha “il potere-dovere di rilevare d’ufficio ogni causa di nullità, anche diversa da quella fatta valere dall’attore”; Cass., 11 ottobre 2016, n. 20446; Cass., 26 gennaio 2016, n. 1368; Cass., 20 gennaio 2016, n. 896, in Contratti 2016, p. 771, con nota di E. BIVONA, Rilevabilità d’ufficio della nullità tra regole sul contratto e regole sul processo; Cass., 30 ottobre 2015, n. 22179; Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, par. 6.13.3 ss.; Cass., 31 ottobre 2014, n. 23306; Cass., 18 novembre 2013, n. 25841.

In dottrina, si è osservato che la possibilità del rilievo d’ufficio pone a repentaglio il principio di terzietà del giudice: quest’ultimo rischierebbe di sostituirsi all’impostazione difensiva della parte che, per scelta strategica o anche solo per errore, abbia fatto valere una causa di nullità insussistente in luogo di altra, invece, esistente. Inoltre, il sottoporre la nuova questione alle parti ai sensi dell’art. 101, c. 2, c.p.c. – con conseguente assegnazione di un termine entro il quale proporre le domande e le eccezioni originate dal rilievo d’ufficio – comporterebbe il proliferare di domande di accertamento della nullità del contratto e sacrificherebbe il principio di ragionevole durata dei processi (481).

In giurisprudenza, l’esclusione del potere-dovere di rilevare d’ufficio motivi di nullità diversi da quelli fatti valere dalle parti è stata argomentata con la necessità di coordinare il principio della rilevabilità d’ufficio della nullità con il principio dispositivo e con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato: “allorché sia la parte a chiedere la dichiarazione di invalidità di un atto ad essa pregiudizievole, la pronuncia del giudice deve essere circoscritta alle ragioni enunciate dall’interessato e non può fondarsi su elementi rilevati d’ufficio […], perché in questa ipotesi la nullità si configura come elemento costitutivo della domanda, il quale opera come limite alla pronuncia del giudice” (482).

A me sembra che gli argomenti a favore dell’inammissibilità del rilievo officioso non siano condivisibili.

Anzitutto, l’approccio giurisprudenziale sconta un evidente errore di prospettiva. Esso assimila il rilievo d’ufficio di un diverso profilo di nullità del contratto con la pronuncia d’ufficio della nullità contrattuale per il motivo rilevato, e così riscontra nella semplice rilevazione di ulteriori cause di nullità una violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. Tuttavia, rilievo della nullità e declaratoria della nullità sono fenomeni che vanno tenuti distinti, come sarà approfondito nel corso dei prossimi paragrafi (483). Il mero rilievo, consistendo sostanzialmente nella sottoposizione all’attenzione delle parti di una questione che esse non abbiano autonomamente indagato, non può provocare – di per sé solo – una discrasia tra l’oggetto della domanda e l’oggetto della pronuncia.

Quanto al rispetto del principio di terzietà del giudice, si potrebbe sostenere che il giudice non possa suggerire difese all’attore solo se, al contempo, si sostenesse che non può suggerirle nemmeno al convenuto. Invece, la dottrina comunemente asserisce che il giudice abbia il potere-dovere di rilevare d’ufficio cause di nullità del contratto diverse da quelle

(481) Così C. SCOGNAMIGLIO, Il giudice e le nullità: punti fermi e problemi aperti nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Nuova giur. civ. comm. 2013, I, p. 28, spec. 36. Cfr. anche G. BIANCHI, Nullità e annullabilità del contratto, Padova, 2002, p. 552; C. CONSOLO, Postilla cit., p. 187, il quale in tale sede opina che, configurandosi i plurimi titoli di nullità come “fondamenti alternativi” della domanda, essi non sono suscettibili di rilievo officioso; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 792.

(482) Cfr., in tal senso, ex multis, Cass., 20 settembre 2013, n. 21600; Cass., 11 luglio 2012, n. 11651 (in obiter); Cass., 26 gennaio 2010, n. 1526; Cass., 26 giugno 2009, n. 15093 (in materia di licenziamento); Cass., 28 novembre 2008, n. 28424, in Contratti 2009, p. 449, con nota di P. LEONE, Potere di rilievo officioso della nullità e principio della domanda; Cass., 19 giugno 2008, n. 16621; Cass., 5 novembre 2001, n. 13628; Cass., 18 febbraio 1999, n. 1378; Cass., 15 febbraio 1991, n. 1589.

eccepite dal convenuto (484). Né vale precisare che, in quest’ultimo caso, il potere-dovere del giudice sia giustificato dalla necessità di non attribuire effetti a un contratto nullo, dal momento che lo stesso problema si pone anche laddove una parte agisca per ottenere la declaratoria di nullità sulla base di un vizio insussistente, pur sussistendo altri vizi idonei a rendere il contratto invalido.

Infine, con riferimento al moltiplicarsi delle domande di nullità, credo che l’avvenimento rappresenti un vantaggio, anziché uno svantaggio, correlato alla facoltà di rilevare d’ufficio profili di nullità diversi da quelli allegati a supporto della domanda. Maggiore è il numero di domande di nullità proposte simultaneamente avverso il medesimo contratto, maggiore è la probabilità che esso non venga impugnato successivamente. In tal guisa, la durata del singolo processo può dilatarsi a beneficio della inferiore durata complessiva dei procedimenti giudiziari in una prospettiva d’insieme.

Passando dalla pars destruens alla pars construens, si può osservare che l’art. 1421 c.c. non contiene alcuna limitazione alla possibilità, per il giudice, di rilevare d’ufficio la nullità del contratto. Sicché sembra più corretto consentire all’autorità giudicante di rilevare ulteriori profili di nullità del contratto anche nell’ambito di un’azione di nullità.

Né il carattere eterodeterminato che si è qui inteso attribuire alla domanda di nullità può rappresentare un ostacolo a tale rilievo. E infatti, come notato, rilevando un ulteriore vizio del contratto, il giudice si limita a sottoporre la questione alle parti, assegnando loro un termine per contraddire sul punto. Sarà, poi, facoltà dell’attore proporre una nuova domanda di nullità, diversa dalla precedente, che si fondi sulla differente causa petendi posta in luce dal magistrato.

Altra tematica che affligge gli interpreti è inerente alla possibilità che, a fronte di una domanda di nullità totale del contratto, il giudice rilevi che l’invalidità attenga solo a una porzione dello stesso, e viceversa.

A chi considera la rilevazione della diversa estensione oggettiva della nullità sempre ammessa si oppone chi ritiene che ciò non sia possibile (485).

La questione può trovare, a mio avviso, soluzione sulla base delle medesime considerazioni già svolte in punto di rilievo officioso di motivi di nullità del contratto non fatti valere dalle parti. Da un lato, l’art. 1421 c.c. non innalza barriere al potere-dovere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità contrattuale. Dall’altro, se il rilievo equivale a una mera estensione delle questioni controverse e dibattute tra le parti, non si vede per quale ragione il giudice non potrebbe far notare che un determinato vizio inficia una singola clausola del

(484) Cfr. S. PAGLIANTINI, La rilevabilità officiosa della nullità secondo il canone delle Sezioni Unite: “Eppur si muove”?, in Contratti 2012, p. 869, spec. 884, anche nt. 55; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 792; C. SCOGNAMIGLIO, Il giudice cit., p. 37.

(485) Nel primo senso, v., in dottrina, A. CATAUDELLA, Il giudice cit., p. 680; C. CONSOLO, Nullità del contratto cit., p. 49; e in giurisprudenza Cass., 12 dicembre 2014, n. 26242, par. 6.16.5 ss. Nel senso opposto, v. Cass., 13 giugno 2019, n. 15950 (confondendo, però, il rilievo d’ufficio con la declaratoria di nullità); Cass., 22 gennaio 1980, n. 500 (s.m.), per cui “la questione della estensione o meno a tutto il contratto, a norma del comma 1 dell’art. 1419 c.c., della nullità di una singola clausola non è esaminabile di ufficio”.

contratto o l’intero regolamento negoziale, in presenza delle inverse allegazioni del soggetto che ha proposto la domanda.

In definitiva, pare corretto affermare che il giudice innanzi al quale è introdotta un’azione di nullità possa – anzi debba – sempre rilevare d’ufficio eventuali ulteriori profili di nullità diversi da quelli allegati in causa, nonché rilevare la diversa estensione oggettiva dell’invalidità del contratto. Si vedrà, poi, nel prosieguo quale impatto tale rilievo e le attività processuali compiute a valle dello stesso abbiano in punto di conformazione dell’oggetto del giudizio e del giudicato.

22. Alcuni strumenti di lavoro per modellare l’estensione oggettiva del giudicato. La fattispecie. La pregiudizialità. Il principio della ragione più liquida

La trattazione fino a questo punto effettuata ci ha consentito di giungere ad alcune prime conclusioni, che costituiranno le basi sulle quali erigere i confini oggettivi della res iudicata.

Il problema che ora si pone è il seguente. Al fine di decidere su quello che è l’oggetto della domanda, il giudice deve normalmente valutare e risolvere una serie indefinita di questioni (486). Quando ciò accade, fino a dove si spinge il giudicato? Su quanti dei plurimi aspetti che il magistrato si trova ad affrontare egli statuisce in modo incontrovertibile?

Per rispondere al quesito, pare utile esaminare preliminarmente alcune nozioni di carattere generale.

Si è detto che oggetto del processo possono essere solo i diritti soggettivi, gli status e, nelle ipotesi eccezionali espressamente indicate dalla legge, le situazioni giuridiche preliminari (quale è la nullità del contratto) (487).

Ciascuna di tali situazioni giuridiche configura l’effetto di una fattispecie; o meglio, di una c.d. fattispecie costitutiva in senso stretto (488). Gli elementi che compongono detta fattispecie possono alternativamente corrispondere a:

a) meri fatti storici, vicende o situazioni concrete. Si pensi al decorso del tempo, a un incidente stradale, alla morte di un soggetto;

b) esistenza, inesistenza o modo di essere di un altro effetto giuridico, ossia del risultato di altra – distinta e autonoma – fattispecie costitutiva in senso stretto. Per esemplificare, lo status di figlio nato nel matrimonio è elemento della fattispecie costitutiva in senso stretto dell’obbligo alimentare di cui all’art. 433 c.c., ma, al tempo

(486) Cfr. B. SASSANI, Lineamenti cit., p. 483, per cui “la sentenza è un atto complesso, comprensivo di tante separate affermazioni e ricco di giudizi (ricognizioni di fatto, interpretazioni di diritto ecc.): si tratta di identificare cosa resterà in concreto assoggettato al giudicato, nel senso che non potrà più essere messo in contestazione”; S. SATTA, voce Accertamento incidentale cit., p. 243, secondo cui “la decisione finale della causa, cioè quella intorno al bene di cui si contende, presuppone la decisione di una serie indefinita di punti, che, in quanto controversi, danno luogo a questioni”.

(487) Cfr. supra, par. 18.

stesso, è l’effetto della fattispecie costitutiva in senso stretto composta dalla nascita in costanza di matrimonio (489).

Gli elementi di fattispecie che rientrano in questo secondo gruppo possono essere definiti come “fatti-effetti” (490), mentre la relazione giuridica che intercorre tra due effetti giuridici, tale che l’uno integri un elemento della fattispecie dell’altro, è detta “pregiudizialità” (491).

Come intuibile, capita piuttosto di frequente che l’oggetto del giudizio – diritto soggettivo, status o situazione giuridica preliminare che sia – abbia, all’interno della propria fattispecie costitutiva in senso stretto, un quid che si presenta come effetto giuridico di una distinta fattispecie. In queste ipotesi, “la soluzione della quaestio facti viene ad assumere una colorazione abbastanza particolare, perché in verità dire esistente sotto il profilo del fatto quello che è un effetto di una diversa fattispecie equivale a dire esistente ed operante quella fattispecie medesima” (492).

Analogo discorso si può ripetere per gli elementi che compongono le c.d. fattispecie in senso ampio, delle quali fanno parte, oltre ai fatti costitutivi di un effetto giuridico, i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi dello stesso (493); anche questi ultimi componenti di fattispecie possono coincidere con meri fatti storici oppure con effetti giuridici prodotti da diverse e autonome fattispecie. Esempio del primo tipo è la distruzione del bene oggetto di deposito, esempi del secondo tipo sono gli effetti di annullamento, rescissione e risoluzione dei contratti.

Sul piano processuale, l’effetto della fattispecie costitutiva in senso stretto forma oggetto di domanda; viceversa, il non-effetto della fattispecie in senso ampio forma oggetto di eccezione (494).

(489) Per la distinzione descritta nel testo tra le due tipologie di elementi di fattispecie, cfr. M. BOVE, Lineamenti cit., p. 229, per il quale, se “il diritto soggettivo è l’effetto di una fattispecie, ossia la conseguenza, innanzitutto, della sussistenza di determinati fatti costitutivi, è possibile che questi ‘fatti’ siano appunto mere vicende o situazioni concrete, ma è anche possibile che essi consistano in altri effetti giuridici, quindi in situazioni giuridiche, che di per sé potrebbero pure essere oggetto di un autonomo processo”; R. CAPONI –A.PROTO

PISANI, Lineamenti cit., p. 78, che spiegano: “i fatti (costitutivi, impeditivi, modificativi ed estintivi) rilevanti ai fini del diritto dedotto in giudizio possono essere meri fatti o fatti-diritti. Per meri fatti si intendono quelli che rilevano unicamente come fatti costitutivi, modificativi, ecc. del diritto fatto valere in giudizio […]. Per fatti-diritti si intendono invece quelli che, oltre ad avere rilievo di fatti costitutivi, impeditivi, ecc. ai fini del diritto dedotto in giudizio dall’attore, in sé e per sé sono diritti sorgenti da un’autonoma fattispecie, cosicché potrebbero costituire oggetto di una autonoma domanda”; G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., pp. 346-347; F. P. LUISO, Diritto processuale cit., vol. I, p. 159.

(490) Usualmente, in dottrina ci si riferisce a questi elementi con la locuzione “fatti-diritti”. Tuttavia, poiché gli stessi possono essere tanto diritti soggettivi quanto status, situazioni giuridiche preliminari o rapporti giuridici, mi sembra maggiormente corretto utilizzare la terminologia più generica di “fatti-effetti”.

(491) Cfr. E. ALLORIO, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1992 (rist.), p. 67 ss., per il quale la “definizione di rapporto giuridico pregiudiziale a un altro è […] questa: il rapporto giuridico che rientra nella fattispecie d’altro rapporto giuridico”; G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., p. 346, anche nt. 13; S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 63, nt. 5.

(492) Le nitide parole sono di G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., pp. 346-347. (493) Cfr. supra, par. 2.

(494) In tal senso, v. E. GRASSO, La pronuncia d’ufficio cit., pp. 264-265, che scrive: “oggetto della rilevazione ad opera della parte che si ponga nella posizione di eccipiente, o del giudice che si sostituisca in ciò alla parte, è la fattispecie complessa sopra individuata: ossia la fattispecie costitutiva, integrata da un altro elemento insieme col quale forma un ente unitario diverso e, quanto agli effetti, antitetico”.

Si tratta, adesso, di comprendere come reagisce il processo all’allegazione di un fatto che corrisponde all’effetto di altra autonoma fattispecie. E ciò sia che il fatto sia dedotto a fondamento di una domanda, sia che sia dedotto a fondamento di un’eccezione. In proposito, si pongono tre possibilità.

In primo luogo, può accadere che tutte le parti in causa diano una versione unanime e concorde dell’esistenza e del modo di essere del fatto-effetto. Ciò succede tanto allorché l’attore deduca un fatto e il convenuto non lo contesti, quanto nell’ipotesi inversa. In tal caso, il giudice non deve far altro che porre quell’elemento di fattispecie a fondamento della propria decisione, così per come è stato allegato in giudizio. Ci troviamo qui nel settore dei punti pregiudiziali.

In secondo luogo, può capitare che l’effetto della diversa fattispecie venga contestato dalla parte contro la quale manifesta la sua efficacia sostanziale. In tale situazione, il giudice deve risolvere il profilo controverso, valutando l’effettiva sussistenza del fatto-effetto e qualificandola giuridicamente, per poi porre la soluzione ottenuta alla base della propria pronuncia. Il punto pregiudiziale, quando contestato, diviene una questione pregiudiziale.

In terzo luogo, può darsi che il fatto-effetto non venga semplicemente contestato, ma si elevi addirittura ad oggetto di vero e proprio accertamento, o perché disposto dalla legge o dietro proposizione di domanda di parte, secondo quanto previsto dall’art. 34 c.p.c. In questo modo, la questione pregiudiziale si trasforma in una causa pregiudiziale (495).

Tra quelli indicati, il fattore su cui si è maggiormente concentrata l’elaborazione dottrinale è senz’altro la questione pregiudiziale, per la quale sono state formulate diverse definizioni (496).

In termini generali, sono pregiudiziali quelle questioni che devono essere risolte dal giudice per pronunciarsi sulla domanda proposta, quelle questioni “la cui soluzione costituisce una premessa della decisione” (497).

(495) Per la tradizionale e ormai pacifica distinzione tra punti, questioni e cause pregiudiziali, cfr. V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, vol. I, Napoli, 1957, p. 113; V. ANDRIOLI, Diritto processuale cit., vol. I, p.

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