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Le ipotesi di risoluzione giudiziale. L’eccezione di risolubilità

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 117-122)

14. L’eccezione di risolubilità e l’eccezione di risoluzione

14.1. Le ipotesi di risoluzione giudiziale. L’eccezione di risolubilità

Cominciamo dalle forme di risoluzione giudiziale, ossia la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. e la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

A differenza di quanto accade per l’annullabilità (art. 1442, c. 4, c.c.) e per la rescindibilità (art. 1449, c. 2, c.c.), il codice civile non prevede espressamente che la risolubilità di un contratto possa essere fatta valere in via di eccezione; o meglio, non lo prevede con una norma di parte generale, suscettibile di applicarsi a tutte le tipologie di contratti.

Figure specifiche di eccezione di risolubilità per inadempimento sono, per vero, previste nell’ambito della disciplina del contratto di compravendita e del contratto di appalto. Quanto

al primo, il legislatore ha disposto che, ove la cosa venduta presenti dei “vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”, il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, a meno che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione (v. combinato disposto degli artt. 1490 e 1492 c.c.). L’azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna del bene; tuttavia, il compratore, convenuto per l’esecuzione del contratto, può sempre far valere la garanzia (purché il vizio sia stato denunciato entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso di un anno dalla consegna: cfr. art. 1495, c. 3, c.c.). Analoga regolamentazione è data al contratto di appalto, rispetto al quale è previsto che il committente, convenuto in giudizio dall’appaltatore per il pagamento del corrispettivo, può sempre opporre le difformità e i vizi dell’opera, purché dette difformità e detti vizi siano stati denunciati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi due anni dalla consegna (art. 1667, c. 3, c.c.).

Al di fuori di tali due peculiari ipotesi, manca una norma che consenta di opporre la risolubilità del contratto dovuta all’inadempimento della controparte in via di eccezione (333). Il medesimo deficit si riscontra rispetto all’eccezione di risolubilità del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta: quest’ultima non è espressamente contemplata né dagli artt. 1467 ss. c.c., né dalle norme che codificano specifiche ipotesi di sopravvenienze gravose (v., per esempio, gli artt. 1623 e 1664 c.c.).

Si pone, dunque, un problema di ammissibilità dell’eccezione in esame.

A mio avviso, al silenzio del legislatore deve essere attribuita portata dirimente, in applicazione del principio per cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. La principale ragione a supporto di tale conclusione risiede, mi sembra, nella peculiare tecnica con cui si formano gli effetti sostanziali allorquando sia necessario a tal fine l’intervento di una sentenza. Come si è visto (334), in siffatte occasioni l’effetto giuridico si crea in forza dell’obbligato susseguirsi di determinati fatti, dell’esercizio di un diritto potestativo a natura giudiziale e di una pronuncia c.d. costitutiva (secondo lo schema norma – fatto – potere sull’an – accertamento giudiziale – effetto); il che significa che, fin quando non interviene il provvedimento giurisdizionale, quel determinato effetto non si produce. Quando, allora, l’ordinamento prevede che certi avvenimenti acquisiscano rilevanza giuridica solo ove fatti valere con lo strumento della domanda giudiziale, l’interprete deve aderire alla voluntas legis e non può costruire eccezioni alla regola. A meno che non sia il medesimo legislatore a consentirlo.

Occorre qui effettuare un breve inciso. Come già notato (335), nelle ipotesi in esame, tra il momento in cui si verificano i presupposti fattuali della modificazione sostanziale e il momento in cui viene pronunciata la sentenza che opera detta modificazione, il rapporto

(333) Benché la rubrica dell’art. 1453 c.c. reciti “Risolubilità del contratto per inadempimento”, la norma disciplina l’azione giudiziale di risoluzione per inadempimento e non lascia aperture espresse rispetto alla possibilità di far valere l’inadempimento della controparte in via di eccezione a fini risolutori.

Giova precisare che il discorso che qui si conduce attiene alla sola ipotesi di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. La possibilità di opporre la risoluzione di diritto sarà, invece, oggetto di esame nel successivo paragrafo 14.2.

(334) Cfr. supra, par. 2. (335) Cfr. supra, parr. 12 e 13.

contrattuale si trova in uno stato in cui è suscettibile di modificazione, ma non ancora modificato. Per tale ragione, si parla, in questa fase, di contratto annullabile, rescindibile e risolubile, in contrapposizione al contratto annullato, rescisso e risolto per il tramite della sentenza costitutiva. È proprio in questa fase che vengono a inserirsi le eccezioni di impugnativa contrattuale, con le quali si fa valere la citata suscettibilità di modificazione. Il che rende più corretto discorrere di eccezione di risolubilità, piuttosto che di eccezione di risoluzione, al fine di evidenziare che l’effetto caducatorio non si è ancora prodotto.

Ora, tornando all’ammissibilità dell’eccezione, negli altri casi di azioni di impugnativa contrattuale a carattere costitutivo (annullamento e rescissione), i conditores hanno ritenuto di attribuire rilevanza giuridica ai presupposti fattuali dell’effetto di annullamento e dell’effetto di rescissione anche in situazioni in cui non viene instaurata la relativa azione: così, hanno previsto la possibilità di far valere l’annullabilità o la rescindibilità del contratto – e, dunque, la sola suscettibilità di annullamento e di rescissione – attraverso una mera eccezione (336). La circostanza che, invece, tale possibilità non sia stata esplicitata con riferimento all’azione di risoluzione induce a pensare che lo stato di risolubilità del negozio non possa essere fatto valere che per il tramite di una domanda (337).

Quanto all’eccezione di risolubilità per inadempimento, la tesi qui proposta trova conforto in un’ulteriore considerazione di sistema, che coinvolge l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.

Ai sensi della disposizione da ultimo citata, “1. Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. 2. Tuttavia non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”.

Come da più parti osservato, l’eccezione di inadempimento ha una funzione nettamente diversa da quella dell’effetto di risoluzione per inadempimento. La prima favorisce la regolare attuazione del sinallagma contrattuale. Infatti, l’eccipiente, rifiutandosi di adempiere sino a quando la controparte esegua ovvero offra di eseguire la controprestazione da lei dovuta, stimola l’adempimento dell’altro contraente. In questi casi, il rapporto negoziale rimane in vita, sebbene entri in uno stato che potremmo definire di “quiescenza”, che perdura fino all’adempimento o all’offerta di adempimento della controparte. Viceversa, il rimedio risolutorio determina lo scioglimento del contratto e il venir meno del rapporto obbligatorio. Proprio in ragione di tale differenza, l’exceptio inadimplenti contractus merita

(336) Sulle caratteristiche di tale attribuzione di rilevanza ci si soffermerà funditus nel successivo paragrafo 15. (337) In proposito, v. anche E. MERLIN, Compensazione e processo, vol. I, cit., p. 233, nt. 70, per la quale “è infatti l’opponibilità in via di eccezione delle fattispecie dell’annullabilità, rescindibilità ecc. a doversi riguardare come eccezionale, e come strettamente collegata alla conseguibilità dell’effetto principale per il solo tramite di una pronuncia costitutiva”.

l’attributo di rimedio dilatorio, mentre la risoluzione per inadempimento presenta i connotati di un rimedio caducatorio (338).

La divergente finalità dei due meccanismi si ripercuote anche sui presupposti di accesso all’uno e all’altro. L’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. implica che abbia ancora senso parlare di un rapporto contrattuale; perciò, non dovrebbe poter essere utilizzata ove l’inadempimento sia definitivo e irreversibile. L’effetto di risoluzione, invece, sorge anche in conseguenza di un inadempimento di tal sorta (339).

(338) In tali termini si esprime la dottrina maggioritaria: v. A. M. BENEDETTI, La deriva dell’eccezione d’inadempimento: da rimedio sospensivo a rimedio criptorisolutorio?, in Danno e resp. 2003, p. 754, spec. 756, 758, che parla di “rimedio dilatorio non distruttivo”; A. DALMARTELLO, voce Eccezione di inadempimento, in Noviss. Dig. it., vol. VI, Torino, 1960, p. 354, spec. 355, per cui “l’eccezione di inadempimento infatti rappresenta un rimedio temporaneo, transitorio o dilatorio che dir si voglia, in quanto si esaurisce nella facoltà di sospendere la propria prestazione fino a quando l’altro contraente non adempia o non offra di adempiere la controprestazione da lui dovuta […]. L’eccezione di inadempimento è quindi un rimedio che lascia integro il contratto ed anzi tende a sollecitarne la piena esecuzione hinc inde”; M. DELLACASA, Offerta tardiva cit., p. 513; M. DELLACASA, Risoluzione per inadempimento cit., pp. 52-53; V. ROPPO, Il contratto cit., pp. 919-920, 924, per il quale l’eccezione di inadempimento è “un’eccezione sospensiva”, concessa “alla parte per stimolare controparte ad adempiere”: “la risoluzione scioglie il contratto e distrugge le relative obbligazioni, mentre l’eccezione si limita a sospendere temporaneamente l’obbligazione dell’eccipiente; anzi, l’eccezione è proprio il fattore che impedisce lo scioglimento del contratto, in quanto paralizza la domanda di risoluzione proposta contro l’eccipiente”; R. SACCO, I rimedi sinallagmatici cit., p. 644, secondo il quale “la risoluzione tende a distruggere il rapporto contrattuale, le eccezioni dilatorie mirano a rafforzarlo garantendo l’obbligazione mal sicura”. In giurisprudenza, v. Cass., 28 aprile 1986, n. 2923, per cui l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. “potrà anche accompagnarsi a una riconvenzionale di risoluzione del contratto, ma la sua funzione elettiva rimane sempre quella di presidio a colui che del contratto voglia la conservazione: funzione quindi di stimolo per la controparte inadempiente a eliminare il proprio inadempimento sì che il fine – quanto meno originariamente – comune ai contraenti sia raggiunto”.

Mentre è pacifico che l’exceptio inadimplenti contractus sia un’eccezione riservata alla parte (v., per tutti, A. M. BENEDETTI, La deriva dell’eccezione d’inadempimento cit., p. 756; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 924), si discute sulla natura giudiziale o sostanziale della stessa. La maggior parte degli studiosi ritiene che l’eccezione di inadempimento possa essere esercitata solo in sede processuale, e non in via stragiudiziale: v. R. BOLAFFI, Le eccezioni di diritto sostanziale, Milano, 1936, p. 185; V. PERSICO, L’eccezione di inadempimento, Milano, 1955, p. 60; F. REALMONTE, voce Eccezione di inadempimento, in Enc. dir., vol. XIV, Milano, 1965, p. 222, spec. 236. Una voce dottrinale opina, invece, che l’art. 1460 c.c. faccia nascere in capo alla parte il diritto potestativo sostanziale di provocare unilateralmente l’inesigibilità della prestazione da essa dovuta: v. I. PAGNI, Le azioni cit., p. 333. Altri, infine, credono che l’eccezione di inadempimento possa essere indifferentemente esercitata in entrambi gli scenari: v. A. M. BENEDETTI, La deriva dell’eccezione d’inadempimento cit., p. 756; C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 372; A. DALMARTELLO, voce Eccezione di inadempimento cit., p. 356; V. ROPPO, Il contratto cit., pp. 921-922.

Per ragioni di completezza, è qui utile precisare che il nostro ordinamento conosce anche un’altra eccezione dilatoria, ossia l’eccezione di sospensione di cui all’art. 1461 c.c. La norma accorda a ciascun contraente la possibilità di sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione. Si ritiene che detta eccezione abbia “valore anche prima e fuori del giudizio”: così R. SACCO, I rimedi sinallagmatici cit., p. 647; negli stessi termini, L. BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici dell’autotutela privata, vol. II, Milano, 1974, p. 80 ss., spec. 108, la quale parla di “comunicazione al contraente […] della decisione dell’altro di sospendere l’esecuzione della prestazione”. Il rimedio in parola ha funzione cautelare: non reagisce contro una lesione del sinallagma già consumata, bensì contro il pericolo di una lesione futura; tanto è vero che può essere utilizzato anche dalla parte che ha un credito ancora inesigibile (cfr. V. ROPPO, Il contratto cit., p. 924). Proprio tale caratteristica fa sì che non si possa trarre dall’esistenza dell’eccezione di sospensione ex art. 1461 c.c. l’ammissibilità dell’eccezione di risolubilità del contratto, che avrebbe presupposti completamente differenti.

(339) Cfr. A. M. BENEDETTI, La deriva dell’eccezione d’inadempimento cit., p. 758; M. DELLACASA, Offerta tardiva cit., pp. 526-527.

Ebbene, come si vede, il legislatore ha espressamente previsto che l’inadempimento possa essere allegato in via di eccezione al fine di rafforzare il sinallagma e non ha, invece, disposto che lo stesso possa accadere al fine di scioglierlo. Essendo lo scopo dell’eccezione diametralmente opposto nei due casi, mi sembra che non solo non si possa trarre dall’art. 1460 c.c. un argomento a favore dell’ammissibilità dell’eccezione di risolubilità del contratto, ma che addirittura la norma sia un indice a favore della soluzione inversa.

Non si può, però, sottacere che la giurisprudenza, alterando la fisionomia dell’exceptio

inadimplenti contractus, in diverse occasioni ha consentito al contraente deluso di sollevarla

anche a fronte di un inadempimento irreparabile e di rifiutare in modo definitivo l’esecuzione della controprestazione (340). Eppure, l’esistenza di tale orientamento non riesce a scalfire la conclusione qui raggiunta, benché ne modifichi il supporto motivazionale. Se l’eccezione di inadempimento avesse i connotati che la giurisprudenza le attribuisce, essa non sarebbe in alcun modo distinguibile dall’eccezione di risolubilità per inadempimento di cui si sta indagando l’esistenza. Si avrebbero così due istituti uguali, uno dei quali risulterebbe ridondante. E, tra un’eccezione espressamente prevista dal legislatore e un’altra creata in via interpretativa dai pratici, non sembra dubbio che avrebbe la meglio la prima.

Ne segue che, comunque si vogliano ricostruire i connotati dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., la sua presenza costituisce un eloquente dato a sfavore dell’ammissibilità dell’eccezione di risolubilità per inadempimento.

Spostando l’attenzione sull’eccezione di risolubilità per eccessiva onerosità sopravvenuta, l’inammissibilità della stessa pare discendere anche dalla considerazione che la risoluzione del contratto ex artt. 1467 ss. c.c. rappresenta un’incisiva deroga al fondamentale principio per cui pacta sunt servanda, incastonato nell’art. 1372 c.c., a mente del quale “il contratto ha forza di legge tra le parti”. Il legislatore ha scelto di creare un’eccezione alla regola, attribuendo giuridica rilevanza solo a determinate sopravvenienze e solo quando le stesse vengono fatte valere con particolari modalità (ossia con una domanda giudiziale). Ebbene, poiché tale disciplina è eccezionale, all’interprete non è consentito estenderne la portata a casi diversi da quelli espressamente indicati (341). Pertanto, non vi è spazio per plasmare un’eccezione di risolubilità per eccessiva onerosità sopravvenuta a partire dalle disposizioni normative che contemplano la corrispettiva azione.

(340) Si vedano, ad esempio, Trib. Trento, 9 giugno 2011, in Pluris; Cass., 4 marzo 2005, n. 4777; Cass., 1 luglio 2002, n. 9517; Cass., 13 luglio 1998, n. 6812. Tale orientamento è criticato dalla dottrina in quanto, in sostanza, consente alla parte convenuta in giudizio di sostituire l’eccezione di inadempimento alla domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento e crea un rilevante problema: siccome il giudice non pronuncia la risoluzione del contratto, viene a mancare un titolo sulla base del quale le parti sono legittimate a ottenere la restituzione delle prestazioni già eseguite (v. M. DELLACASA, Risoluzione per inadempimento cit., p. 54). (341) In tal senso depone l’art. 14 prel., in forza del quale “le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”.

Alla luce della disamina svolta, mi sembra, dunque, opportuno concludere che le eccezioni di risolubilità del contratto per inadempimento e per eccessiva onerosità sopravvenuta non trovino cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico (342).

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 117-122)