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Le eccezioni di merito. Le eccezioni in senso lato e in senso stretto

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 105-108)

Le impugnative del contratto possono comparire sulla scena processuale non solo con la veste di domande giudiziali, ma anche sotto forma di eccezioni di merito (300).

Nel prisma delle categorie generali, l’eccezione di merito si configura come “l’attività mediante la quale il convenuto determina un allargamento della quaestio facti, rendendo necessario che il giudice esamini e qualifichi giuridicamente altri fatti oltre quello costitutivo allegato dall’attore, facendone dipendere il contenuto della propria decisione” (301).

Con la domanda giudiziale, la parte attrice introduce i fatti dai quali scaturisce la situazione giuridica soggettiva dalla stessa fatta valere, ossia i fatti che compongono la fattispecie costitutiva in senso stretto (302). Con l’eccezione, invece, il convenuto deduce i fatti che compongono la fattispecie in senso ampio, ossia i fatti che (i) impediscono il prodursi degli effetti giuridici attribuiti alla fattispecie costitutiva in senso stretto, (ii) modificano tali effetti o (iii) ne determinano la cessazione (303).

L’immissione nel processo di fatti impeditivi, modificativi o estintivi produce due effetti. Il primo, necessario e ineliminabile, consiste nel fatto che il giudice deve esaminare anche l’esistenza o l’inesistenza di detti fatti e il contenuto della pronuncia di merito dipende anche dall’esito di tale verifica. Il secondo, meramente eventuale, consiste nella possibilità che il fatto impeditivo, modificativo o estintivo divenga l’unico tema dell’indagine sulla quaestio

facti, eliminando l’esigenza di decidere dell’esistenza o inesistenza dei fatti costitutivi (304). Sulla scorta di queste affermazioni introduttive, è facilmente intuibile che le impugnative contrattuali possono essere inserite in un giudizio tramite lo strumento dell’eccezione in tutti i casi in cui si discuta dell’efficacia di un contratto e gli effetti di nullità, annullabilità, rescindibilità o risolubilità si presentino quali fatti impeditivi o estintivi della stessa. Dunque,

(300) I confini della presente trattazione non consentono di indagare a fondo il complesso fenomeno dell’eccezione, che ha destato – e continua a destare – un dibattito acceso e variegato tra gli studiosi di diritto processuale, e che, anche singolarmente trattato, potrebbe costituire materia di interi imponenti volumi. Ci si limiterà, quindi, ad affrontare solo quelle tematiche che abbiano una qualche influenza sulle modalità di produzione degli effetti di nullità, annullamento, rescissione e risoluzione, nonché sulle modalità di svolgimento del giudizio nel quale tali effetti vengano in considerazione.

(301) La definizione è di G. FABBRINI, L’eccezione di merito nello svolgimento del processo di cognizione, in Scritti giuridici, vol. I, Studi sull’oggetto del processo e sugli effetti del giudicato, Milano, 1989, p. 333, spec. 353, il quale precisa che l’eccezione si distingue sia dalla pura e semplice contestazione del fatto costitutivo addotto dall’attore (la c.d. mera difesa) sia dalla domanda riconvenzionale.

(302) Cfr. supra, par. 2.

(303) E ciò in ossequio al disposto dell’art. 2697 c.c. Chiarissimo, in proposito, è E. GRASSO, La pronuncia d’ufficio cit., p. 248. V. anche G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., pp. 366-367, per il quale “l’eccezione non è altro che il potere processuale del convenuto di inserire nella quaestio facti tutte le circostanze di fatto che, secondo la costruzione legale della fattispecie, sono collegate al fatto costitutivo affermato dall’attore da un nesso di efficacia impeditiva, modificativa o estintiva”.

nell’affrontare lo studio delle eccezioni di impugnativa del contratto, anche denominate eccezioni di “caducabilità” del contratto (Aufhebungseinreden) (305), occorre sempre immaginarsi che sia pendente un giudizio che ha ad oggetto uno o più effetti di un contratto, del quale il convenuto intenda contestare la sussistenza, la validità o l’efficacia (306).

Il primo nodo che andrà sciolto è relativo alla riconduzione di ciascuna delle eccezioni di impugnativa nell’alveo delle eccezioni in senso stretto, rilevabili solo su iniziativa di parte, o delle eccezioni in senso lato, rilevabili anche d’ufficio. Nell’un caso, il legislatore attribuisce al soggetto interessato la libera scelta di far valere o meno una determinata eccezione, conferendogli un potere il cui esercizio è rimesso esclusivamente alla sua volontà. Ne segue che, ove anche i fatti impeditivi, modificativi o estintivi emergano dalle allegazioni attoree, il giudice non può comunque tenerne conto se difetta l’atto di volontà del convenuto, volto a sottoporre alla sua cognizione anche l’esistenza e la fondatezza di tali eccezioni. Viceversa, nel secondo caso, i fatti impeditivi, modificativi o estintivi che risultino dagli atti di causa (307) possono sempre costituire la base della pronuncia giudiziale, anche a prescindere da una specifica attività di allegazione del convenuto (308).

(305) Così C. CONSOLO, Oggetto del giudicato cit., p. 281, nt. 147.

(306) In termini simili si esprime A. MOTTO, Poteri cit., p. 242: “per eccezioni di impugnativa negoziale intendiamo designare quelle eccezioni che la legge attribuisce alla parte convenuta per l’adempimento di un obbligo, elemento di un rapporto giuridico di fonte negoziale”.

Merita di essere brevemente accennata la circostanza che una parte della dottrina specifica ulteriormente i connotati delle eccezioni di impugnativa e giunge a qualificarle come eccezioni riconvenzionali (v., per esempio, E. MERLIN, Elementi cit., p. 87; E. REDENTI, Diritto processuale civile, vol. I, Milano, 1947, p. 33). La categoria, generata dal pensiero di Mortara (cfr. L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, vol. II, Milano, 1923, p. 99 ss.), troverebbe il proprio campo di applicazione in tutte quelle ipotesi in cui uno “stesso fatto possa essere addotto fra le stesse parti a fondamento di un’azione oppure a fondamento di un’eccezione, a seconda che l’una o l’altra delle parti prenda per prima l’iniziativa di adire il giudice” (così E. REDENTI, Diritto processuale civile cit., vol. I, p. 33), in tutte quelle ipotesi in cui l’eccezione introduce la cognizione di un rapporto giuridico (così R. ORIANI, voce Eccezione cit., p. 309). Tuttavia, essa è stata oggetto di accese critiche: da un lato, si è detto che l’eccezione riconvenzionale, “dal punto di vista terminologico, si risolve in una contraddizione in termini, perché eccezione e riconvenzione […] sono termini antitetici” (v. G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, vol. I, Napoli, 1950 (rist.), p. 309); dall’altro, si è rilevato che la validità della figura in esame sembra smentita “dalla formulazione dell’art. 34 c.p.c., che pare non consentire il tertium genus della eccezione riconvenzionale tra la vera eccezione, che non modifica i limiti oggettivi della emananda pronuncia, e la vera domanda, che sola – come esercizio di azione – può operare tale modificazione” (v. G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., p. 348, nt. 15; sui rapporti tra domanda, eccezione e perimetro dell’oggetto del giudizio si tornerà più approfonditamente infra, par. 26). Non si può, poi, ignorare che la categoria è stata teorizzata in un momento in cui la distinzione tra domanda riconvenzionale ed eccezione riconvenzionale poteva avere un’utilità sul piano pratico, cadendo la prima sotto la scure di preclusioni anticipate rispetto a quelle della seconda; invece, l’attuale formulazione dell’art. 167 c.p.c. fissa il medesimo termine preclusivo per le domande riconvenzionali e per le eccezioni non rilevabili d’ufficio, con la conseguenza che la figura in parola ha perso la convenienza di cui un tempo godeva (la condivisibile osservazione è di F. RUSSO, Contributo allo studio dell’eccezione nel processo civile, Roma, 2013, pp. 162-163). (307) Proprio la circostanza che i fatti di cui si tratta risultino dagli atti di causa consente di rendere le eccezioni rilevabili d’ufficio compatibili con il divieto di utilizzazione della scienza privata del giudice (art. 115 c.p.c.): v. G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., p. 356; F. RUSSO, Contributo allo studio dell’eccezione cit., p. 175, il quale sottolinea che “il potere di rilievo di ufficio incontra, in particolare, un […] limite nel divieto di scienza privata (art. 115 c.p.c.). Salvi i casi espressamente previsti dalla legge, come il fatto notorio o la massima di esperienza, il giudice non può conoscere fatti non risultanti dagli atti processuali”.

(308) La distinzione è pacificamente accettata: v. G. CHIOVENDA, Sulla «eccezione», in Saggi di diritto processuale civile (1894-1937), vol. I, Milano, 1993, p. 149, spec. 154, il quale evidenzia che le eccezioni in senso lato “saranno

Secondo la teoria più accreditata, i casi in cui è necessaria la sollecitazione di parte presentano carattere eccezionale, mentre i casi di rilevazione ex officio rappresentano la normalità (309). Ciò discende da due diverse considerazioni. In primo luogo, sembra strano che il legislatore abbia previsto rare ipotesi di rilievo officioso e si sia, per converso, preoccupato di confermare in molteplici disposizioni un principio generale, quale dovrebbe essere quello per cui, nell’ambito dei diritti disponibili, l’eccezione è riservata alla parte (in via esemplificativa, v. artt. 1242, 1460, 1495, 1667, 1944, 2938, 2969 c.c.); al contrario, proprio la presenza di svariate norme che prevedono eccezioni in senso stretto denota l’intenzione di porre un limite a poteri altrimenti esercitabili d’ufficio (310). In secondo luogo, la lettera dell’art. 112 c.p.c. pone in evidenza quale sia la regola e quale sia l’eccezione: “il giudice […] non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti” (311).

Peraltro, come osservato in dottrina, l’usuale rilevabilità officiosa della rilevanza giuridica dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi:

a) corrisponde all’essenza della funzione giurisdizionale civile, che è quella di troncare le liti tra cittadini non appena vi siano i presupposti di merito sufficienti per farlo; così, “dato che incertezza è crisi dell’ordinamento, […] quando il giudice può dettare, in relazione all’accertata esistenza di un fatto impeditivo, modificativo o estintivo, la regola del caso concreto risolvendo la lite, eliminando l’incertezza, superando la crisi, deve farlo senz’altro” (312);

rilevate d’ufficio dal giudice, anche se il convenuto è assente o tace; le [eccezioni in senso stretto] non potranno rilevarsi dal giudice, per quanto da lui conosciute, se non quando un atto di volontà del convenuto lo ecciti a farlo”; V. COLESANTI, voce Eccezione (diritto processuale civile), in Enc. dir., vol. XIV, Milano, 1965, p. 172, spec. 192-193; G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., p. 353; I. PAGNI, Le azioni cit., p. 210; F. RUSSO, Contributo allo studio dell’eccezione cit., p. 164.

In dottrina, alcuni riportano la distinzione tra eccezioni in senso lato ed eccezioni in senso stretto alla differenza tra fatti operanti ipso iure e fatti operanti ope exceptionis (cfr. V. COLESANTI, voce Eccezione cit., pp. 173-174). Ma tale discrimen viene criticato perché non sempre applicabile: per esempio, è pacifico che la compensazione e la prescrizione operino ipso iure ed estinguano diritti in modo automatico; eppure, si tratta di eccezioni comunemente ricomprese nella categoria delle eccezioni rilevabili solo dalla parte (v. C. CONSOLO, Spiegazioni cit., vol. I, p. 157).

(309) Propugnano questa ricostruzione G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., p. 343; E. GRASSO, La pronuncia d’ufficio cit., pp. 333-334; R. ORIANI, Eccezioni rilevabili (e non rilevabili) d’ufficio. Profili generali (I), in Corr. giur. 2005, p. 1011, spec. 1014; R. ORIANI, voce Eccezione cit., p. 267, per il quale “giustamente la dottrina dominante non accetta la tesi che limita alle ipotesi previste dalla legge i casi di rilievo di ufficio dei fatti est., mod., imp.”; I. PAGNI, Le azioni cit., p. 211; A. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela c.d. costitutiva cit., p. 71.

(310) Così, espressamente, R. ORIANI, voce Eccezione cit., p. 267.

(311) Che dall’art. 112 c.p.c. si debba desumere che la rilevabilità officiosa è la regola e che la rilevabilità su istanza di parte è la deroga trova conferme in G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., p. 343, per il quale “la legge attraverso l’interpretazione letterale dell’art. 112 c.p.c. offre lo spunto per ritenere […] tecnicamente eccezionale” l’ipotesi in cui “esiste un monopolio del potere di inserir[e]” i fatti impeditivi, modificativi o estintivi “nella quaestio facti a favore della sola parte a vantaggio della quale se ne manifestano gli effetti”; E. GRASSO, La pronuncia d’ufficio cit., pp. 333-334; R. ORIANI, voce Eccezione cit., p. 268.

(312) Cfr. G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., p. 358, il quale prosegue precisando che “questa tendenza si arresta solo dove l’apprezzamento legislativo di specifiche esigenze contrastanti ha fatto nascere apposite norme positive che escludono l’altrimenti normale potere di rilevazione del giudice”. Sulla stessa linea si pone R. ORIANI, voce Eccezione cit., p. 311.

b) non è altro che la conseguenza del carattere di regola generale dello schema norma – fatto – effetto e del carattere eccezionale della subordinazione del prodursi degli effetti impeditivi, modificativi o estintivi all’esercizio del potere di parte di attribuire rilevanza ai corrispondenti fatti (313).

Sarebbe, invece, sbagliato credere che l’eccezionalità della rilevabilità di fatti impeditivi, modificativi o estintivi ad opera della sola parte interessata derivi dal fatto che il potere di parte di proporre un’eccezione abbia carattere anomalo. Tutto il contrario. Il convenuto ha sempre il potere di rilevare tutti i fatti impeditivi, modificativi o estintivi; viceversa, il giudice ha il potere di rilevarne alcuni e non altri: “quello che caratterizza il procedimento in presenza delle eccezioni in senso stretto è la mancanza del potere di rilevazione del giudice, non la presenza di una natura «speciale» del potere del convenuto” (314).

Il secondo profilo delle eccezioni di impugnativa su cui si concentrerà l’attenzione è quello della loro prescrittibilità.

Nei paragrafi che seguono, si svolgerà dapprima un’analisi separata per ogni singola eccezione di impugnativa contrattuale, nell’ambito della quale si indagheranno gli aspetti della natura in senso lato o in senso stretto delle stesse, nonché del termine entro il quale si prescrivono. Successivamente, si effettuerà un esame unitario delle modalità con cui tali eccezioni operano, del ruolo dalle medesime eventualmente ricoperto all’interno degli schemi di produzione degli effetti sostanziali di nullità, annullamento, rescissione e risoluzione dei contratti, e, infine, della natura della sentenza che rigetti la domanda attorea in accoglimento delle eccezioni in discorso.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 105-108)