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Le ipotesi di risoluzione stragiudiziale. L’eccezione di risoluzione

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 122-140)

14. L’eccezione di risolubilità e l’eccezione di risoluzione

14.2. Le ipotesi di risoluzione stragiudiziale. L’eccezione di risoluzione

La questione dell’ammissibilità dell’eccezione si è posta anche rispetto a quei fatti che danno origine alle ipotesi di risoluzione di diritto, ossia nei casi di risoluzione per inadempimento ex artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., nonché nei casi di risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Difatti, nemmeno per questi sussistono previsioni legislative che espressamente contemplino la possibilità di eccepirli.

(342) La soluzione è condivisa da gran parte della dottrina e della giurisprudenza: v. C. CONSOLO, Oggetto del giudicato cit., p. 281, nt. 147; C. CONSOLO, Spiegazioni cit., vol. I, p. 155; P. GALLO, voce Eccessiva onerosità cit., pp. 242-243, anche nt. 71; E. MERLIN, Compensazione e processo, vol. I, cit., p. 241, nt. 79, la quale ritiene che “l’opponibilità in via di eccezione dei fatti costitutivi dei diritti potestativi possa essere affermata solo in presenza di un’esplicita disposizione di legge”; A. MOTTO, Poteri cit., p. 314, nt. 240, per il quale “la modificazione giuridica dovrà ritenersi conseguibile in via di eccezione nei soli casi previsti dalla legge […]; invero, attesa la diversità (strutturale, funzionale e di effetti) tra potere di azione costitutiva e quello di eccezione costitutiva, nei casi in cui è prevista una figura di azione costitutiva, ma non una corrispondente figura di eccezione, è da ritenere che la legge esiga che la modificazione giuridica sia attuata in via di domanda e non possa conseguire in via di eccezione”. Con specifico riferimento all’eccezione di risolubilità del contratto per inadempimento, v. G. G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento cit., p. 412, per il quale “la natura costitutiva dell’azione importa anche un superamento della questione […] sulla possibilità di far valere il potere di risoluzione in via d’eccezione. […] non si può ammettere da noi […] poiché la sentenza costitutiva non può essere provocata che per via di azione”; in giurisprudenza, v. Cass., 26 ottobre 2004, n. 20744; Cass., 28 aprile 1986, n. 2923. Con riguardo, invece, all’eccezione di eccessiva onerosità sopravvenuta, v. M. AMBROSOLI, Le sopravvenienze cit., p. 363; A. BOSELLI, La risoluzione cit., p. 262, per il quale “la legge non […] non attribuisce affatto al debitore onerato il potere di rifiutarsi, o di astenersi o di sospendere comunque la prestazione, ma unicamente quello di domandare la risoluzione del contratto. Ove adunque il debitore […] intenda valersi della circostanza sopravvenuta di cui è caso ai fini della sua difesa, è mestieri si faccia a domandare, contemporaneamente, la risoluzione del contratto”; G. CASELLA, La risoluzione cit., pp. 164-165, per cui “la soluzione negativa dev’essere prospettata anche in riferimento alla questione […] del riconoscimento in capo al debitore, convenuto per l’adempimento, della possibilità di eccepire, sic et simpliciter, l’eccessiva onerosità sopravvenuta della propria prestazione […]: invero, il potere che la legge attribuisce al contraente onerato non è quello di rifiutare l’esecuzione della prestazione dovuta […], bensì quello di provocare, mediante l’esercizio della relativa azione, lo scioglimento (con effetto costitutivo) del vincolo contrattuale”; G. MIRABELLI, Dei contratti cit., pp. 590-591; in giurisprudenza, Cass., 7 novembre 2017, n. 26363; Cass., 26 ottobre 2004, n. 20744; Cass., 10 febbraio 1990, n. 955, secondo cui la validità del principio per cui l’eccessiva onerosità sopravvenuta non può essere opposta in via di eccezione “si fonda sul rilievo che l’art. 1467 espressamente prevede l’onere della parte che deve la prestazione divenuta eccessivamente onerosa di ‘domandare’ la risoluzione del contratto, nonché sul rilievo che l’eccessiva onerosità non è prevista come causa di estinzione dell’obbligazione, al pari dell’impossibilità della prestazione (art. 1256 c.c.), o come causa di rifiuto dell’inadempimento, al pari dell’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.)”; Cass., 28 novembre 1988, n. 5724; Cass., 6 aprile 1987, n. 3321; Cass., 28 aprile 1986, n. 2926.

Non mancano, ad ogni modo, voci di contrario avviso. Propendono per l’ammissibilità dell’eccezione di risolubilità per inadempimento, v. A. ATTARDI, Diritto processuale cit., vol. I, p. 117; M. DELLACASA, L’azione di risoluzione cit., p. 207, che precisa altresì che l’eccezione è imprescrittibile; I. PAGNI, Le azioni cit., pp. 335 ss., 644; F. RUSSO, Contributo allo studio dell’eccezione cit., p. 141. L’eccezione di risolubilità per eccessiva onerosità sopravvenuta è, invece, ammessa da F. CARRESI, Il contratto cit., pp. 838-839, nt. 331; R. ORIANI, voce Eccezione cit., p. 279; A. DE MARTINI, L’eccessiva onerosità nell’esecuzione dei contratti, Milano, 1950, p. 107 ss.; F. RUSSO, Contributo allo studio dell’eccezione cit., p. 141; P. TARTAGLIA, voce Onerosità eccessiva cit., p. 170; in giurisprudenza, da Cass., 26 marzo 2012, n. 4852.

Le fattispecie in esame differiscono notevolmente da quelle oggetto di attenzione nel precedente paragrafo. Qui, l’effetto di risoluzione si produce direttamente sul piano sostanziale, senza la necessità dell’intermediazione dell’autorità giurisdizionale, con la modalità norma – fatto – effetto ovvero con la modalità norma – fatto – potere sull’an – effetto, a seconda dei casi (343). Qui, non è concepibile un lasso temporale in cui il rapporto giuridico è suscettibile di caducazione, ma non è ancora stato caducato. Delle due l’una: o la fattispecie costitutiva dell’effetto risolutivo non è ancora completa, e allora il rapporto non è ancora suscettibile di modificazione; oppure la fattispecie è integrata in tutti i suoi elementi, e allora l’effetto risolutivo è già istantaneamente sorto in concomitanza con l’insorgere dell’ultimo elemento della fattispecie che è venuto in essere.

Risulta, allora, evidente che, in questo caso, ciò che può costituire oggetto di eccezione non è l’astratta modificabilità del rapporto negoziale, bensì la concreta modificazione ormai intervenuta sul piano sostanziale. Per tale ragione, mi sembra più corretto discorrere non di eccezione di risolubilità del contratto, che evoca un effetto in potenza, bensì di eccezione di risoluzione, che definisce un effetto attuale.

Alla luce di tali premesse, credo che la risposta al dubbio relativo all’ammissibilità dell’eccezione di risoluzione debba essere ricercata nell’art. 2697 c.c., che presuppone che il convenuto possa sempre eccepire l’estinzione del diritto attoreo e che impone che il convenuto dia prova dei fatti – evidentemente già verificatisi nel momento in cui solleva l’eccezione – sui quali la propria allegazione si fonda. Pertanto, al convenuto è sempre consentito introdurre nel processo i fatti costitutivi dell’effetto risolutorio con la veste dell’eccezione (344). Chiaro è, poi, che, nelle ipotesi in cui tra i presupposti dell’effetto vi sia anche un diritto potestativo stragiudiziale, l’eccezione di risoluzione risulterà fondata solo ove tale diritto sia stato esercitato dal convenuto.

Né osta alla soluzione proposta la circostanza che il legislatore non abbia espressamente previsto l’eccezione di risoluzione. Nelle situazioni analizzate nel precedente paragrafo, che

(343) Cfr. supra, parr. 9.1 ss.

(344) È questo, indubbiamente, l’orientamento maggioritario. Sull’eccezione di risoluzione per diffida ad adempiere, v. M. DELLACASA, Le risoluzioni di diritto: la diffida ad adempiere, in V. ROPPO (a cura di), Rimedi – 2, in Trattato del contratto, diretto da V. ROPPO, vol. V, Milano, 2006, p. 293; R. ORIANI, voce Eccezione cit., p. 275. Sull’eccezione di risoluzione per l’operare di una clausola risolutiva espressa, v. R. E. CERCHIA, Quando il vincolo contrattuale si scioglie cit., p. 132; M. DELLACASA, La clausola risolutiva espressa, in V. ROPPO (a cura di), Rimedi – 2, in Trattato del contratto, diretto da V. ROPPO, vol. V, Milano, 2006, p. 324; R. ORIANI, voce Eccezione cit., p. 275. Sull’eccezione di risoluzione per decorso di un termine essenziale, v. M. DELLACASA, Il termine essenziale, in V. ROPPO (a cura di), Rimedi – 2, in Trattato del contratto, diretto da V. ROPPO, vol. V, Milano, 2006, p. 344, per cui “la risoluzione conseguente alla scadenza del termine essenziale può essere fatta valere tanto in via di azione quanto in via di eccezione, per contrastare una domanda di adempimento”; G. IORIO, Ritardo cit., p. 249, nt. 115; R. ORIANI, voce Eccezione cit., p. 275. Sull’eccezione di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, v. A. ATTARDI, Diritto processuale cit., vol. I, p. 117; F. RUSSO, Contributo allo studio dell’eccezione cit., p. 141; M. TAMPONI, La risoluzione cit., p. 1799. In giurisprudenza, tra tante, considerano ammissibile l’eccezione di risoluzione Cass., 26 luglio 2017, n. 18370; Cass., 5 gennaio 2005, n. 167 (clausola risolutiva espressa); Cass., 30 ottobre 2003, n. 16356; Cass., 23 maggio 1984, n. 3149 (termine essenziale); Cass., 8 aprile 1983, n. 2497 (diffida ad adempiere). Si segnala, in senso contrario, C. CONSOLO, Oggetto del giudicato cit., p. 281, nt. 147, per cui “il caso dell’eccezione di risolubilità, specie per eccessiva onerosità sopravvenuta, solleva taluni problemi e sembra da escludere per tutte e tre le forme di risoluzione”; C. CONSOLO, Spiegazioni cit., vol. I, p. 155.

danno origine alle azioni di risoluzione costitutive, la regola generale è che i presupposti fattuali dell’effetto estintivo non hanno rilevanza giuridica, finché la parte interessata non la attribuisca loro tramite l’instaurazione di un processo; sicché l’intervento del legislatore è indispensabile per creare delle deroghe all’ordinario meccanismo di attribuzione di giuridica rilevanza ai fatti storici. Viceversa, nelle ipotesi in esame, la regola generale è che i presupposti fattuali dell’effetto estintivo acquisiscono sempre rilevanza giuridica al di fuori delle aule giudiziarie; sicché l’art. 2697 c.c. è già sufficiente a legittimarne la rilevabilità sotto forma di eccezione, senza che occorra ulteriormente precisarlo (345).

Superato così lo scoglio della generale ammissibilità dell’eccezione di risoluzione, subito si affaccia il problema del suo inquadramento tra le eccezioni in senso stretto o tra le eccezioni in senso lato.

Qualche interprete esclude che il giudice possa rilevare d’ufficio l’intervenuta risoluzione del contratto, in quanto essa è subordinata alla dichiarazione della parte interessata (346). Siffatto ragionamento, a mio modo di vedere, non regge. Come già evidenziato, l’eccezione di risoluzione è quella eccezione che diviene spendibile ogniqualvolta la fattispecie costitutiva dell’effetto risolutivo si è integralmente perfezionata e tale effetto è venuto alla luce. Orbene, laddove l’effetto si produca secondo lo schema norma – fatto – potere sull’an – effetto (risoluzione per inadempimento ex artt. 1454, 1456, 1457 c.c. e risoluzione per impossibilità sopravvenuta parziale), il diritto potestativo sostanziale fa parte della fattispecie costitutiva ed è necessario che sia già stato esercitato affinché si apra la via dell’eccezione di

(345) Perciò, quando nel prosieguo della trattazione si parlerà, in generale, di eccezioni corrispondenti all’azione di risoluzione, si farà sempre riferimento alle eccezioni corrispondenti alle azioni di risoluzione stragiudiziale, mai a quelle corrispondenti alle azioni di risoluzione giudiziale.

(346) In tali termini si esprimono R. ORIANI, voce Eccezione cit., p. 275, per il quale il giudice “non potrà rilevare di ufficio la risoluzione del contratto in presenza di una clausola risolutiva espressa, posto che, a norma dell’art. 1456, 2° co., c.c., la risoluzione si verifica di diritto solo quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della detta clausola”; G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., pp. 49, 55. Cfr. anche M. DELLACASA, La diffida ad adempiere cit., p. 293, il quale considera la risoluzione del contratto mediante diffida non rilevabile dal giudice: tale forma di risoluzione “dovrà essere eccepita dalla parte interessata al rigetto della domanda di adempimento”. In giurisprudenza, si è esclusa la rilevabilità officiosa della risoluzione conseguente alla dichiarazione con cui il creditore si avvale della clausola risolutiva espressa (v., per esempio, Cass., 5 gennaio 2005, n. 167; Cass., 11 luglio 2003, n. 10935) e, più in generale, la rilevabilità officiosa dell’intervenuta risoluzione di diritto (Cass., 26 luglio 2017, n. 18370; Cass., 30 ottobre 2003, n. 16356).

Giova precisare che aspetto ben diverso dalla rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di risoluzione è la pronuncia officiosa della risoluzione stessa, chiaramente esclusa dal principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. (sulla distinzione tra rilevabilità officiosa e pronuncia officiosa, v. infra, parr. 26 e 46). Cfr., in proposito, M. DELLACASA, Risoluzione per inadempimento cit., p. 60, che scrive: “se non ritenendo sussistenti i presupposti della risoluzione il diffidato agisce in giudizio chiedendo l’adempimento o la risoluzione del contratto per fatto imputabile all’intimante, quest’ultimo deve domandare riconvenzionalmente la risoluzione, che non può essere pronunciata d’ufficio” (corsivo mio). In giurisprudenza, v. Cass., 18 maggio 1987, n. 4535, in Giur. it. 1988, I, I, p. 448, con nota di C. SCOGNAMIGLIO, Sulla disponibilità cit., la quale sottolinea come “l’espressione «risoluto di diritto» dell’art. 1454 cit. significa soltanto che la pronuncia giudiziale relativa ha carattere dichiarativo della risoluzione stessa, non già che ad essa il giudice possa provvedere d’ufficio”. Di tanto in tanto, si ha la sensazione che alcuni studiosi confondano la rilevabilità officiosa dell’eccezione con la pronuncia officiosa su domanda non proposta: v., per esempio, M. DELLACASA, La clausola risolutiva espressa cit., p. 324, per cui “la risoluzione conseguente alla dichiarazione prevista dall’art. 1456, c. 2, non può essere pronunciata d’ufficio, ma solo su istanza di parte”; M. DELLACASA, Il termine essenziale cit., pp. 344-345; M. ROSSETTI, La risoluzione cit., pp. 375, 426.

risoluzione. Pertanto, non ha senso escludere la rilevabilità officiosa dell’eccezione in parola perché essa è subordinata alla dichiarazione della parte interessata; difatti, al momento del rilievo officioso, tale dichiarazione è già stata effettuata (347).

È, invece, più corretto ritenere che l’eccezione di risoluzione sia rilevabile d’ufficio, e ciò non solo in ragione di quanto si è appena osservato. Se l’effetto si è già prodotto al di fuori del processo, il giudice deve tenerne conto – ovviamente se risulta dagli atti di causa – indipendentemente dal fatto che sia stato allegato dalla parte che ha contribuito a produrlo; così comportandosi, il giudice non fa altro che prendere atto e conoscere di una realtà già compiutamente svoltasi (348). Inoltre, gioca a favore della rilevabilità officiosa dell’eccezione anche la circostanza che i casi di rilevazione ex officio rappresentano la normalità, mentre i casi di rilevazione demandata alla parte rappresentano un’eccezione (349); e non si riscontrano previsioni legislative che depongano nel senso della seconda qualificazione.

Mi sembra, infine, che le eccezioni di risoluzione non siano sottoponibili ad alcun termine di prescrizione. Una volta che il contratto si è sciolto stragiudizialmente, la sua caducazione costituisce un fatto estintivo dei diritti dal medesimo derivanti e può essere sine

die eccepita dalla parte (o rilevata d’ufficio) nell’ambito di eventuali azioni di adempimento

contrattuale. Il che, in termini pratici, significa che, fintanto che tali azioni non si prescrivano, l’eccezione di risoluzione è sempre proponibile.

15. Il modo di operare delle eccezioni di impugnativa. Le eccezioni-deduzioni e le eccezioni-impugnazioni. La natura della sentenza che rigetta la domanda attorea in accoglimento dell’eccezione di impugnativa

Occorre ora occuparsi in modo più dettagliato di una tematica che si è già parzialmente trattata nei paragrafi precedenti, ossia delle modalità con cui le eccezioni di impugnativa

(347) In questa ipotesi, la possibilità che la risoluzione del contratto venga rilevata d’ufficio dal giudice non contrasta con la volontà del legislatore di attribuire alla parte fedele la scelta sul mantenimento o sulla caducazione del contratto. Qui, il giudice non si sostituisce alla parte con l’esercizio dei propri poteri officiosi, in quanto la parte ha già esercitato la propria scelta.

(348) Di tale avviso sono M. COSTANZA, sub art. 1457 cit., p. 101 ss., con riguardo alla risoluzione per decorso di termine essenziale; A. MOTTO, Domanda di risoluzione cit., p. 620, nt. 6, per cui, “quando la dichiarazione potestativa esplica efficacia estintiva del diritto azionato in giudizio, all’interno del processo è oggetto di un’eccezione rilevabile anche d’ufficio: se il fatto è legittimamente acquisito al materiale di causa […], il giudice può porlo a fondamento della decisione, anche in difetto di rilievo ad opera della parte interessata”; R. ORIANI, Eccezioni rilevabili (e non rilevabili) d’ufficio cit., p. 1023; R. ORIANI, voce Eccezione cit., pp. 272, in termini generali, e 275, con riferimento alla risoluzione per diffida ad adempiere e scadenza di termine essenziale; F. RUSSO, Contributo allo studio dell’eccezione cit., p. 142, secondo cui, quando “l’effetto negoziale si è già verificato prima del giudizio, […] sarà compito del giudice accertare il semplice fatto storico dell’intervenuto scioglimento”; M. TAMPONI, La risoluzione cit., p. 1799, parlando di risoluzione per impossibilità sopravvenuta totale. In giurisprudenza, cfr. Cass., 12 gennaio 2007, n. 494; Cass., 11 luglio 2003, n. 10935 (impossibilità sopravvenuta); Cass., 7 giugno 1988, n. 3880. V. anche R. CAPONI, Azione di nullità cit., p. 101, secondo cui “l’applicazione dello schema generale di produzione degli effetti giuridici sul piano sostanziale norma – fatto – effetto […] rende ragione del principio della rilevabilità d’ufficio delle eccezioni” (l’Autore lo afferma con riguardo all’eccezione di nullità, ma lo stesso principio è applicabile anche all’ipotesi di risoluzione per impossibilità sopravvenuta totale).

contrattuale interagiscono con il processo di formazione degli effetti giuridici sostanziali. Lo scopo della disamina è individuare la natura della sentenza che rigetta la domanda attorea in accoglimento di un’eccezione di impugnativa, sempre con il fine ultimo di gettare le corrette basi per lo studio del fenomeno dell’estensione oggettiva che la res iudicata assume in queste occasioni.

Le riflessioni che si stanno per svolgere sollecitano una suddivisione delle eccezioni di impugnativa in due categorie. Da un lato, vi sono le c.d. eccezioni-deduzioni, che intervengono laddove operino schemi di produzione “stragiudiziale” degli effetti giuridici (e, quindi, norma – fatto – effetto e norma – fatto – potere sull’an – effetto). Dall’altro, vi sono le c.d. eccezioni-impugnazioni, che trovano spazio in corrispondenza dello schema di produzione “giudiziale” degli effetti giuridici (e, quindi, norma – fatto – potere sull’an – accertamento giudiziale – effetto) (350).

Nel primo gruppo devono ricomprendersi le eccezioni di nullità e le eccezioni di risoluzione, nell’accezione indicata nel precedente paragrafo. Il meccanismo di funzionamento delle stesse non solleva particolari criticità. Dette eccezioni non trovano alcuno spazio nelle fattispecie costitutive degli effetti sostanziali di nullità e di risoluzione del contratto e non rivestono alcun ruolo rispetto al concreto verificarsi di tali effetti: come più volte ribadito (351), questi ultimi nascono sul piano sostanziale, in via del tutto autonoma rispetto a qualsivoglia attività difensiva processuale della parte interessata.

Nello scenario appena descritto, il potere di eccezione ha il limitato effetto di attribuire rilevanza giuridica all’interno del processo a fatti che, sul piano sostanziale, sono già produttivi di effetti giuridici: l’eccezione si risolve “in un’istanza diretta a condizionare il potere decisorio nel merito del giudice all’accertamento e qualificazione di fatti giuridici produttivi di effetti impeditivi, estintivi, modificativi rispetto al diritto oggetto del giudizio” (352).

Da quanto esposto discende che, indipendentemente dalla soluzione che si intenda dare al problema dell’estensione del giudicato alle eccezioni (353), la pronuncia che dovesse rigettare la domanda attorea in ragione dell’accoglimento di un’eccezione di nullità o di risoluzione del contratto sarebbe giocoforza una pronuncia meramente dichiarativa di effetti già esistenti nel mondo dei fenomeni giuridici.

Il discorso, così lineare per le eccezioni-deduzioni, si fa intricatissimo non appena si volga l’attenzione alle eccezioni-impugnazioni (354), tra le quali sono inquadrabili le eccezioni

(350) La terminologia è presa in prestito da F. RUSSO, Contributo allo studio dell’eccezione cit., p. 126 ss., anche se viene utilizzata con accezione diversa da quella proposta dall’Autore.

(351) Cfr. supra, parr. 5, 9.1.1, 9.1.2, 9.1.3, 9.2 e 14.2. (352) Così A. MOTTO, Poteri cit., pp. 299-300.

(353) Problema che verrà affrontato nel secondo capitolo della trattazione: v. infra, parr. 26 e 39.

(354) In dottrina si è sostenuto che le eccezioni-impugnazioni si distinguano dalle eccezioni-deduzioni perché la mera acquisizione di un fatto al processo (i.e. la sua allegazione dalle parti o il suo risultare comunque dagli atti di causa) non è ancora sufficiente per ottenere il rigetto della domanda. Occorre, invece, “che la parte esprima anche una volontà chiara di avvalersi di uno strumento previsto dall’ordinamento che, muovendo dall’accertamento di tale fatto, gli consenta di ottenere il rigetto della domanda”: cfr. F. RUSSO, Contributo allo studio dell’eccezione cit., p. 138.

di annullabilità e di rescindibilità del contratto (non, invece, quella di risolubilità del negozio, che non risulta ammessa nel nostro ordinamento).

Le teorie che si sono susseguite in merito al modus operandi di siffatte eccezioni sono molteplici: alcune appaiono molto distanti tra loro, altre presentano qualche punto di contatto. Nelle prossime pagine, se ne compirà una rassegna, evidenziandone eventuali punti di forza e profili critici, alla ricerca della ricostruzione che meglio concilia esigenze sostanziali e processuali, e che meglio tutela l’armonia del sistema.

Innanzitutto, vi è chi opina che l’eccezione sia equivalente all’azione e che la modalità di produzione dell’effetto sostanziale estintivo sia identico nei due casi. Così, come logico, chi crede che le azioni di annullamento e di rescissione siano costitutive inferisce che anche l’accoglimento delle corrispondenti eccezioni dia luogo a una pronuncia costitutiva (355); per converso, chi reputa che le citate azioni siano di mero accertamento desume che anche l’accoglimento delle relative eccezioni conduca a una sentenza dichiarativa (356).

Tale tesi desta qualche perplessità ove si acceda alla prima ramificazione descritta. Se così fosse, non troverebbe alcuna giustificazione l’art. 1442, c. 4, c.c., che ammette l’esercizio dell’eccezione di annullabilità anche una volta scaduto il termine di prescrizione dell’azione: si rivela, infatti, “intimamente contraddittoria l’idea di un potere sostanziale che «sopravvive» alla sua estinzione per prescrizione per essere esercitato e provocare così la caducazione del rapporto” (357).

La seconda ricostruzione che viene in rilievo è quella per cui l’eccezione-impugnazione produce sempre gli effetti di una vera e propria domanda riconvenzionale (358). In tale scenario, la pronuncia con la quale viene accolta l’eccezione/domanda riconvenzionale

(355) Cfr. B. CARPINO, La rescissione cit., pp. 90-91, il quale, parlando dell’eccezione di annullabilità, precisa che,

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