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Il termine essenziale

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 72-75)

9. L’azione di risoluzione

9.1. La risoluzione per inadempimento

9.1.3. Il termine essenziale

Subito dopo la disciplina della risoluzione per clausola risolutiva espressa si trova quella della risoluzione per decorso di un termine essenziale.

La norma che dà avvio alla sequenza generatrice dell’effetto di risoluzione è l’art. 1457 c.c., a mente del quale “1. Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni. 2. In mancanza, il contratto s’intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione”.

Passando dalla fattispecie astratta alla fattispecie concreta, il primo fattore che viene in rilievo è l’effettiva presenza, nel quadro del regolamento contrattuale, di un termine essenziale. In via di prima approssimazione, può dirsi che una scadenza merita tale epiteto quando risulta che, per la parte nel cui interesse essa è fissata, il contratto perde la propria utilità economica se la scadenza non viene rispettata. Secondo l’insegnamento tradizionale, un termine può godere dell’attributo dell’essenzialità: (i) in senso oggettivo, quando è la

NOCERA, Clausola risolutiva cit., pp. 243-244; A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale cit., p. 700; S. TRIFIRÒ, Clausola risolutiva cit., p. 693; P. TRIMARCHI, Istituzioni cit., p. 335. Nello stesso senso, in giurisprudenza, v. Cass., 24 maggio 2016, n. 10691; Cass., 6 febbraio 2009, n. 3039; Cass., 5 gennaio 2005, n. 167; Cass., 18 giugno 1997, n. 5455, per cui “il giudice – la cui pronuncia, diversamente dalla risoluzione per grave inadempimento prevista dalla regola generale di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c., ha natura dichiarativa e non costitutiva – deve accertare soltanto se la pattuizione configuri effettivamente una clausola risolutiva espressa e, in caso positivo, se si sia verificato l’inadempimento previsto nella stessa nonché se il creditore abbia esercitato (mediante la dichiarazione di volersi avvalere della clausola) il diritto di provocare la risoluzione del rapporto”.

(202) Così G. G. AULETTA, Risoluzione e rescissione cit., pp. 648-649. In termini analoghi, G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., p. 38; P. TRIMARCHI, Istituzioni cit., p. 335. Contra, v. supra, nota 198. (203) Cfr. G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., pp. 51-52.

stessa natura della prestazione a esigere che essa sia eseguita tempestivamente (si pensi alla prestazione canora del tenore al concerto di Capodanno, o all’obbligazione della sarta che deve confezionare un abito da sposa); (ii) in senso soggettivo specifico, quando le parti qualificano espressamente una determinata prestazione come improrogabile; (iii) in senso soggettivo generale, quando è sistematicamente interesse delle parti, in determinate categorie di negozi, che alcune obbligazioni vengano adempiute entro una certa scadenza, anche se ciò non trova esplicita previsione nel testo del contratto (si pensi ai contratti di borsa). Ne segue che i criteri cui ci si deve appellare per vagliare l’essenzialità di un termine sono molteplici: tra questi, un ruolo preminente è da attribuire al dato letterale del negozio (204), alla natura della prestazione cui il termine accede, nonché alla tipologia di operazione che le parti vogliono concludere (205).

Il secondo elemento che compone la fattispecie dell’effetto di risoluzione è l’inadempimento, che, nell’ipotesi in esame, è sempre rappresentato dal mancato rispetto della scadenza. Anche riguardo a questa species di risoluzione per inadempimento, lo scontro relativo ai connotati che la violazione degli obblighi contrattuali deve presentare è acceso, anche se lievemente meno tumultuoso. Quanto all’imputabilità, si registrano tre diverse vedute: alcuni ritengono sufficiente la pura e semplice inadempienza oggettiva; altri credono che essa debba essere almeno imputabile al debitore, sebbene non necessariamente colposa; altri ancora opinano che l’inadempimento possa entrare a far parte della fattispecie costitutiva dell’effetto risolutivo solo se colpevole (206). Quanto all’importanza, invece, gli interpreti si attestano su posizioni omogenee e osservano che la gravità del mancato rispetto

(204) In proposito, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che l’utilizzo dell’espressione “entro e non oltre” non sia in alcun modo sufficiente per desumere l’essenzialità di un termine, e che alla stessa debbano invece accompagnarsi altri dati (l’oggetto del negozio, ulteriori indicazioni dei paciscenti), dai quali sia possibile inferire che le parti considerano perduta l’utilità di un adempimento perfezionatosi oltre una certa data: cfr., ex multis, Cass., 16 marzo 2018, n. 6547; Cass., 15 luglio 2106, n. 14426; Cass., 25 ottobre 2010, n. 21838; Cass., 6 dicembre 2007, n. 25549.

(205) Cfr. A. ADDANTE, Colpa dell’obbligato cit., p. 233; M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 320 ss.; M. CUCCOVILLO, Essenzialità del termine e risoluzione del contratto per inadempimento, in Contratti 2011, p. 892, spec. 893 ss.; A. DALMARTELLO, voce Risoluzione cit., p. 143, il quale, con riguardo al termine essenziale soggettivo generale, precisa che con esso “la legge non fa altro che apprezzare, in via generale, l’interesse delle parti nell’ambito di un dato tipo di negozio, per dare un significato al loro silenzio”; G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., p. 54.

(206) Nel primo senso, v. M. DELLACASA, Inadempimento cit., p. 264, secondo cui “la rilevanza accordata all’imputabilità dell’inadempimento […] determina una situazione di asimmetria informativa tra le parti, rendendo l’iniziativa risolutoria estremamente rischiosa. Siccome l’imputabilità dell’inadempimento è un fattore interno alla sfera del debitore, il creditore desideroso di affrancarsi dal rapporto contrattuale non dispone di tutte le informazioni necessarie per valutare la fondatezza dell’istanza risolutoria. Il contraente che promuove la risoluzione e interrompe l’attuazione del rapporto contrattuale corre il rischio di incorrere in responsabilità, in quanto la sua iniziativa può risultare infondata in dipendenza di una circostanza che non ha avuto la possibilità di conoscere”; F. MACIOCE, Risoluzione cit., pp. 36, 42-43. Nel secondo senso, v. M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., pp. 328-329; G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., p. 57, secondo cui “l’inosservanza non imputabile del termine essenziale non risolve il contratto ai sensi della disposizione in esame, ovvero per inadempimento del contraente fedele, superfluo essendo invece il requisito della colpa”. In giurisprudenza, v. Cass., 18 febbraio 2011, n. 3993, in Contratti 2011, p. 889, con nota di M. CUCCOVILLO, Essenzialità del termine cit. Nel terzo e ultimo senso, v. U. NATOLI, Termine essenziale cit., pp. 233-234.

della scadenza è insita nell’essenzialità del termine, sicché non vi è alcuno spazio per una violazione del termine che non sia grave (207).

Sui successivi passaggi della sequenza produttiva dell’effetto di risoluzione la dottrina è divisa. Secondo un primo orientamento, non vi è alcun ulteriore elemento di fattispecie: l’inutile decorso del termine essenziale provoca automaticamente l’effetto risolutivo. Se poi il contraente insoddisfatto richiede l’adempimento (nel termine perentorio di tre giorni), la sua dichiarazione estingue l’effetto già verificatosi (208). Secondo altra e diversa corrente di pensiero, l’unico ulteriore fatto che deve aver luogo affinché si perfezioni la fattispecie risolutiva è il decorso di tre giorni dalla scadenza del termine essenziale; l’ordinamento assume che il trascorrere del tempo comporti il venir meno dell’interesse creditorio e vi ricollega in via immediata la risoluzione del contratto (209).

Entrambe le teorie richiamate affidano l’insorgere dell’effetto di risoluzione alla tecnica norma – fatto – effetto. Tuttavia, mi sembra che alle stesse possano essere mosse due fondamentali critiche. In primis, siffatto automatismo sarebbe in contrasto con l’ordinaria elettività della risoluzione, che concorre con il diritto all’adempimento del contratto e che potrebbe non rappresentare la strada preferibile per il contraente fedele. In secundis, le teoriche descritte appaiono poco aderenti al dato normativo. E infatti, l’art. 1457 c.c. dispone che il contratto s’intende risolto di diritto “in mancanza” della dichiarazione con cui il contraente insoddisfatto manifesta la volontà di ottenere l’adempimento.

Sembra, allora, più corretto ritenere che il silenzio del creditore abbia natura costitutiva dell’effetto risolutivo. Dall’inadempimento scaturisce, in capo al creditore, un diritto potestativo di provocare la risoluzione del rapporto contrattuale, il quale viene esercitato in una forma del tutto peculiare: mantenendo il silenzio per i tre giorni successivi alla scadenza del termine essenziale (o del diverso termine concordato dai paciscenti). Se entro la fine di tale spatium deliberandi la richiesta di adempimento non perviene al contraente ritardatario, il contratto si risolve di diritto. Ci troviamo ancora una volta di fronte a un diritto potestativo

(207) Sul punto, cfr. G. F. BASINI, Risoluzione del contratto cit., pp. 249-250, per cui “è l’essenzialità stessa del termine che rende grave il suo mancato rispetto”; M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 325 ss.; U. CARNEVALI, La risoluzione per inadempimento cit., p. 42, per il quale, nel termine essenziale, “l’importanza dell’inadempimento è connaturata alla natura stessa del termine e discende automaticamente dalla sua inutile scadenza”; riprende la precisazione R. E. CERCHIA, Quando il vincolo contrattuale si scioglie cit., p. 125. In giurisprudenza, si esprime in termini analoghi Cass., 18 febbraio 2011, n. 3993, in Contratti 2011, p. 889, con nota di M. CUCCOVILLO, Essenzialità del termine cit. Si discosta dalla granitica opinione indicata nel testo C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 351, per il quale è ben possibile che circostanze sopravvenute rendano l’interesse creditorio suscettibile di essere soddisfatto anche mediante una prestazione ritardata; “sulla base di una valutazione concreta può allora escludersi che il ritardo sia tale da giustificare l’immediata risoluzione del contratto”.

(208) Di tale avviso sono G. MIRABELLI, Dei contratti cit., p. 562 ss., secondo cui l’effetto risolutorio “si attua indipendentemente dalla volontà del creditore”; G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, in Trattato cit., p. 55, il quale coerentemente reputa che il contraente protetto non debba avvisare il ritardatario della propria volontà di sciogliere il contratto.

(209) È questa la teoria di C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., pp. 353-354; U. CARNEVALI, La risoluzione per inadempimento cit., p. 43, anche nt. 135; P. TRIMARCHI, Istituzioni cit., p. 335.

sostanziale, che determina l’effetto di risoluzione senza bisogno dell’intervento del giudice, secondo lo schema norma – fatto – potere sull’an – effetto (210).

Poiché, dunque, la risoluzione si verifica sul piano stragiudiziale, un eventuale processo che avesse ad oggetto lo scioglimento del contratto avrebbe natura di mero accertamento e la sentenza, non potendo fare altro che constatare il perfezionamento o meno della fattispecie risolutiva, sarebbe meramente dichiarativa (211). Anche in questa ipotesi, l’azione non sarebbe soggetta ad alcun termine prescrizionale e l’unico limite alla sua proposizione (rectius, al suo accoglimento) potrebbe derivare da un difetto di interesse ad agire, laddove la prescrizione avesse già colpito le conseguenti azioni di ripetizione e di risarcimento dei danni (212).

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 72-75)