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La risoluzione per impossibilità sopravvenuta

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 91-96)

9. L’azione di risoluzione

9.2. La risoluzione per impossibilità sopravvenuta

La seconda species di effetto risolutivo che viene in rilievo è quella causata dalla sopravvenuta impossibilità di una delle prestazioni contrattuali. La modalità con cui si produce l’effetto di risoluzione segue due diversi schemi, a seconda che l’impossibilità sia totale o parziale.

Cominciando dalla prima ipotesi, la norma che dà inizio alla sequenza genetica della risoluzione è l’art. 1463 c.c., che recita: “nei contratti a prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione d’indebito”.

L’elemento puramente fattuale che costituisce il secondo addendo dell’operazione è il concreto verificarsi dell’impossibilità della prestazione gravante su uno dei contraenti. È pacifico che l’impossibilità idonea a risolvere il contratto mutui i propri connotati dall’impossibilità di cui all’art. 1256 c.c., che estingue l’obbligazione e libera il debitore. Essa deve essere (265):

a) sopravvenuta, perché se fosse anteriore o coeva alla stipulazione del contratto ne comporterebbe la nullità per impossibilità dell’oggetto (artt. 1418 e 1346 c.c.); b) totale, nel senso che deve riguardare una delle prestazioni contrattuali nella sua

interezza;

c) definitiva, ossia non reversibile. Tale requisito non deve necessariamente sussistere fin dal momento in cui sorge l’impedimento. Inizialmente, l’impossibilità può essere solo temporanea e, come tale, inadeguata a fini risolutori. Tuttavia, se detta impossibilità si protrae “fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere tenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla” (art. 1256, c. 2, c.c.), essa acquista una rilevanza identica a quella dell’impossibilità definitiva sin dall’origine: sicché, anche l’impossibilità temporanea “prolungata” può divenire elemento costitutivo della fattispecie dell’effetto di risoluzione;

d) non imputabile, e quindi dipendente da caso fortuito, forza maggiore o fatto del terzo.

Proprio quest’ultimo connotato è quello più enfatizzato in dottrina, in quanto, secondo la tesi maggioritaria, consente di distinguere la risoluzione in esame dalla risoluzione per

(265) Cfr. A. DALMARTELLO, voce Risoluzione cit., p. 129; G. MIRABELLI, Dei contratti cit., p. 577; S. PAGLIANTINI, Prevedibilità del fatto impeditivo, equilibrio subiettivo delle impugnazioni e recesso del contraente deluso: note e spunti in tema di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, in Riv. dir. priv. 2007, p. 503, spec. 506; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 936 ss.; R. SACCO, I rimedi sinallagmatici cit., p. 651; R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale cit., p. 278. Quanto alla precisazione che l’impossibilità originaria del contratto ne comporta la nullità, v. O. CAGNASSO, voce Impossibilità sopravvenuta della prestazione. I) Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, vol. XVI, Roma, 1989, p. 1, spec. 3.

inadempimento, sia sul piano dogmatico sia sul piano funzionale (266). Così, mentre nella risoluzione per inadempimento l’obbligazione del contraente fedele si estingue come mezzo di soddisfazione per equivalente della prestazione rimasta inadempiuta (unitamente al risarcimento dei danni), nella risoluzione per impossibilità sopravvenuta la prestazione ancora possibile si estingue per impedire l’arricchimento sine titulo della controparte impossibilitata (267).

Come le previsioni normative citate lasciano chiaramente intendere, una volta verificatasi una impossibilità della specie descritta, l’effetto di risoluzione si produce in automatico. E infatti, l’art. 1256 c.c. dispone che “l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile” e che parimenti “si estingue se l’impossibilità [temporanea] perdura” fino al momento di cui alla precedente lett. c). La disciplina è, poi, completata dall’art. 1463 c.c., a mente del quale “la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione e

deve restituire quella che abbia già ricevuta”.

Ebbene, a differenza di quanto accade per la risoluzione per inadempimento, il legislatore non subordina l’estinzione dell’efficacia del contratto all’esercizio di un potere di parte e considera sufficiente il verificarsi di una determinata situazione fattuale. Né avrebbe potuto fare diversamente, a ben vedere: quando l’adempimento è possibile, alla parte che subisce l’inadempienza può essere lasciata la scelta tra il mantenimento e la rimozione del rapporto, perché l’interesse ad ottenere la prestazione gravante sulla controparte potrebbe superare l’interesse a liberarsi dal vincolo contrattuale; invece, quando l’obbligazione che grava sulla controparte non può in alcun modo essere adempiuta, l’interesse ad ottenerla non può oggettivamente essere soddisfatto e, quindi, non ha senso che l’ordinamento lo tuteli. Pertanto, nell’ipotesi di cui all’art. 1463 c.c., l’effetto di risoluzione si forma secondo lo schema norma – fatto – effetto (268).

(266) Così C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., pp. 304, 400, per cui “l’imputabilità segna la distinzione tra le due cause di risoluzione”; A. LOMBARDI, La risoluzione per impossibilità sopravvenuta, Milano, 2007, p. 184, per cui “gli istituti della risoluzione per inadempimento e per impossibilità sopravvenuta sono contraddistinti da un rapporto di incompatibilità logico giuridica e di reciproca escludibilità”; F. MACIOCE, Risoluzione cit., p. 27, il quale espressamente scrive che “l’ipotesi della impossibilità della prestazione per causa imputabile al debitore […] rientra nella disciplina dell’art. 1453 c.c.”; L. MOSCO, voce Impossibilità sopravvenuta della prestazione, in Enc. dir., vol. XX, Milano, 1970, p. 405, spec. 439; S. PAGLIANTINI, Prevedibilità del fatto impeditivo cit., p. 506, per cui l’impossibilità deve essere non imputabile al debitore, “altrimenti ad operare è l’art. 1453”; V. ROPPO, Il contratto cit., pp. 937-938.

(267) L’attenta distinzione si deve a G. G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento cit., p. 416.

(268) Rispetto a tale conclusione l’unanimità degli studiosi non è mai stata scalfita: v. G. G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento cit., p. 415, per cui “l’obbligazione del creditore insoddisfatto, nell’ipotesi del fortuito, si estingue ipso jure”; G. BIANCHI, Rescissione e risoluzione dei contratti. Con riferimenti al diritto civile del XXI secolo, Padova, 2003, p. 544; O. CAGNASSO, voce Impossibilità sopravvenuta cit., p. 4; A. DALMARTELLO, voce Risoluzione cit., p. 128, anche nt. 3; M. DELLACASA, Risoluzione per inadempimento cit., p. 77; N. DI PRISCO, I modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Trattato di diritto privato, diretto da P. RESCIGNO, vol. IX, Torino, 1999, p. 450, secondo cui i contratti a prestazioni corrispettive, “nei casi di impossibilità totale della prestazione di una delle parti si considerano sciolti di diritto”; F. GALBUSERA, La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, in G. SICCHIERO –M.D’AURIA –F.GALBUSERA, Risoluzione dei contratti, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, Napoli, 2013, p. 442; A. LOMBARDI, La risoluzione cit., p. 188; G. MIRABELLI,

Volgendo ora l’attenzione alla seconda evenienza menzionata in apertura, ossia quella di impossibilità solo parziale della prestazione, la norma che delinea la fattispecie astratta è l’art. 1464 c.c.

Quanto alla fattispecie concreta, il primo elemento che viene in rilievo è l’impossibilità parziale della prestazione che fa capo a una delle parti. Lo stato di impedimento presenta le medesime caratteristiche dell’impossibilità disciplinata nell’articolo precedente, ad eccezione dell’estensione oggettiva: anche in questo caso, l’impossibilità deve essere sopravvenuta, definitiva (in forma originaria o in forma di perdurante impossibilità temporanea), e non imputabile; tuttavia, anziché colpire una determinata obbligazione nella sua integrità, la investe solo in parte.

Ciò comporta che, quantomeno rispetto a una porzione della prestazione, per il contraente deluso rimane quell’alternativa tra ottenere l’adempimento – necessariamente parziale – e liberarsi dal vincolo contrattuale. Coerentemente, il legislatore ha ritenuto opportuno evitare l’automatismo della risoluzione e lasciare alla parte insoddisfatta la scelta (269). Il che si è tradotto nella seguente formulazione dell’art. 1464 c.c.: “quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale”. Mentre il contraente su cui grava l’obbligazione parzialmente inattuabile si trova in uno stato di soggezione, non potendo prendere iniziativa di sorta, all’altro contraente è attribuito un diritto potestativo di recedere dal contratto (270).

La peculiarità di tale diritto potestativo risiede nel fatto che il suo esercizio non è lasciato alla pura discrezionalità del titolare: costui può avvalersi della facoltà di recesso solo se non ha un “interesse apprezzabile all’adempimento parziale”. Secondo l’interpretazione della migliore dottrina, l’indagine circa l’apprezzabilità dell’interesse deve muovere da una

Dei contratti cit., p. 576, il quale sottolinea che, “poiché […] si ha mancata attuazione della funzione del contratto, per la quale le prestazioni erano in relazione diretta tra loro, dall’estinzione di una non può che derivare lo scioglimento del vincolo; scioglimento che, se si tratta di estinzione totale, non può che essere del tutto indipendente da ogni iniziativa di parte, ed operare di diritto”; L. MOSCO, voce Impossibilità cit., p. 439; S. PAGLIANTINI, Prevedibilità del fatto impeditivo cit., p. 504, secondo cui lo scioglimento di diritto del contratto è dovuto al fatto che esso “non può più essere, mancando ormai il sinallagma funzionale, titolo idoneo a svolgere la programmata funzione di scambio”; I. PAGNI, Le azioni cit., p. 317, anche nt. 18; M. PALADINI, L’atto unilaterale cit., p. 93; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 936; R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale cit., pp. 277-278, per cui, nel caso in esame, la risoluzione “si verifica in via immediata e automatica; e dunque senza che sia necessario, per far cadere gli effetti del contratto, agire in giudizio o fare qualche intimazione. La soluzione normativa agevolmente si giustifica, considerando che […] l’impossibilità […] colpisce in modo completo e definitivo una delle prestazioni; cosicché nessun dubbio può sussistere sulla interruzione del sinallagma”; M. TAMPONI, La risoluzione per impossibilità sopravvenuta, in E. GABRIELLI (a cura di), I contratti in generale, in Trattato dei contratti, diretto da P. RESCIGNO –E.GABRIELLI, Torino, 2006, p. 1799; A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale cit., p. 704.

(269) Cfr. N. DI PRISCO, I modi di estinzione delle obbligazioni cit., p. 451, per cui “l’art. 1464 fa dipendere dalla volontà del creditore lo scioglimento del rapporto”.

(270) Il che, peraltro, è perfettamente in linea con quanto previsto dall’art. 1258 c.c., secondo cui, “se la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile”.

comparazione tra l’utilità e il costo della prestazione parziale, ossia dal confronto tra la prestazione residua e la controprestazione ridotta, e dall’utilità che uno scambio così ridimensionato procura al creditore. Il meccanismo è nitidamente spiegato dalle parole di Sgroi, che meritano di essere riportate per esteso: “Il presupposto di fatto perché possa qui invocarsi il potere di impugnazione del negozio è costituito dalla riduzione, avvenuta ope legis, di una delle due prestazioni, sulla quale si innesta un apprezzamento del suo creditore che valuta se la ridotta funzionalità del contratto è idonea a ripagare il costo di una controprestazione. Da questo giudizio comparativo tra il mutamento sopravvenuto dell’economia del contratto e il suo rendimento commisurato al costo che ne deriva, scaturiscono gli elementi che motivano il recesso del creditore. Il quale, pur non perdendo il suo carattere potestativo, trova dei limiti naturali, che ne consentono il successivo controllo alla luce di criteri che, attraverso il rifacimento del processo psicologico dal quale è nata la decisione del creditore, tendono a misurare la ragionevolezza del suo giudizio alla stregua della correttezza, lealtà e buona fede contrattuale” (271).

La figura del recesso prevista dall’art. 1464 c.c. rientra nella più ampia categoria del recesso per giusta causa, rappresentata nella specie dall’assenza di un apprezzabile interesse all’adempimento parziale. E come ogni recesso per giusta causa, esso opera sul piano stragiudiziale e produce direttamente l’effetto che la legge gli ricollega (272). Pertanto, l’esercizio del recesso si pone come causa efficiente immediata dell’effetto risolutivo e ne ultima la sequenza genetica (norma – fatto – potere sull’an – effetto).

(271) Cfr. R. SGROI, L’impossibilità parziale della prestazione nei contratti sinallagmatici, in Giust. civ. 1953, p. 717, spec. 731-732. In termini analoghi si esprimono L. CABELLA PISU, Dell’impossibilità sopravvenuta, in F. GALGANO, Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2002, p. 159; U. CARNEVALI, L’impossibilità sopravvenuta, in U. CARNEVALI – E. GABRIELLI – M. TAMPONI, Il contratto in generale, tomo VIII**, La risoluzione, in Trattato di diritto privato, diretto da M. BESSONE, vol. XIII, Torino, 2011, pp. 284-285; S. PAGLIANTINI, Prevedibilità del fatto impeditivo cit., p. 531, per cui l’interesse del creditore non è apprezzabile ogniqualvolta “il sinallagma che residua si mostra idoneo a produrre un tipo di utilità subiettiva che è diversa e difforme da quella costituente la ragione iniziale della (perfezionata) operazione economica”; l’interesse apprezzabile va sempre inteso “in termini di utilità della prestazione, dovendo il creditore ricevere ciò che si era negoziato per come lo si era pattuito”; M. PALADINI, L’atto unilaterale cit., pp. 95-96, per cui la decisione di recedere non deve essere arbitraria e l’apprezzabilità dell’interesse deve essere valutata con gli stessi criteri che consentono di stabilire l’importanza dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c.; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 941.

(272) La natura sostanziale del diritto potestativo di cui all’art. 1464 c.c. è affermata dalla dottrina spiccatamente maggioritaria: cfr. C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., p. 404; L. CABELLA PISU, Dell’impossibilità sopravvenuta cit., p. 162; U. CARNEVALI, L’impossibilità sopravvenuta cit., p. 282, anche nt. 32; F. CARRESI, Il contratto, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. CICU – F. MESSINEO, vol. XXI, tomo II, Milano, 1987, p. 853, nt. 368; S. PAGLIANTINI, Prevedibilità del fatto impeditivo cit., p. 531; M. PALADINI, L’atto unilaterale cit., p. 94 ss.; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 941; R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale cit., p. 279; M. TAMPONI, La risoluzione cit., pp. 1798-1799. Isolata è, invece, l’opinione di G. MIRABELLI, Dei contratti cit., p. 579, per cui “la valutazione della mancanza di interesse va compiuta […] obiettivamente, e condiziona la sussistenza stessa della facoltà di scioglimento, sì che mezzo necessario diventa la proposizione di una domanda giudiziale perché, con il riconoscimento della sussistenza dei presupposti del recesso, venga pronunciato lo scioglimento”.

Per completezza, si segnala che si discute della natura giudiziale o sostanziale dell’alternativo rimedio della riduzione della controprestazione. Nel primo senso, v. M. PALADINI, L’atto unilaterale cit., pp. 94, 96. Nel secondo, v. A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO –U.CARNEVALI –M.COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento, tomo I, 1, in F. GALGANO (a cura di), Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1990, p. 19.

Come si vede, sia nell’ipotesi di impossibilità totale sia in quella di impossibilità parziale lo scioglimento del contratto si perfeziona in via stragiudiziale: nell’un caso, per il mero corso degli eventi; nell’altro, per scelta di parte. Sicché, ove insorgesse una controversia tra i contraenti e si arrivasse a discutere dell’effetto risolutivo in sede giurisdizionale, il giudice non potrebbe rimuovere in prima persona gli effetti prodotti dal contratto risolubile, ma dovrebbe semplicemente accertare se ciò si sia verificato o meno sul piano sostanziale. Il giudizio instaurato non potrebbe che essere un giudizio di mero accertamento (positivo o negativo, a seconda di quale sia l’obiettivo della parte attrice), come tale non soggetto ad alcun termine di prescrizione (273), e la sentenza pronunciata dal giudice non potrebbe che avere natura dichiarativa (274).

L’effetto di risoluzione che ha quale presupposto fattuale l’impossibilità (totale o parziale) di una delle prestazioni contrattuali ha le medesime caratteristiche dell’effetto di risoluzione che ha quale presupposto fattuale l’inadempimento di uno dei contraenti (275). Si rinvia, dunque, a quanto esposto nel precedente paragrafo 9.1.6.

(273) In tal senso, A. NATUCCI, Risoluzione cit., p. 605. Contra, L. MOSCO, voce Impossibilità cit., p. 440, per il quale l’azione di risoluzione per impossibilità sopravvenuta è soggetta al termine ordinario di prescrizione. (274) È questa la ricostruzione pressoché pacifica: v. G. BIANCHI, Rescissione e risoluzione dei contratti cit., p. 545; A. BOSELLI, La risoluzione cit., p. 254; F. GALBUSERA, La risoluzione cit., p. 442; A. LOMBARDI, La risoluzione cit., p. 188; G. MIRABELLI, Dei contratti cit., p. 577 (come subito si vedrà meglio, solo con riferimento all’ipotesi contemplata dall’art. 1463 c.c.); L. MOSCO, voce Impossibilità cit., p. 440; V. ROPPO, Il contratto cit., p. 936; R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale cit., pp. 278-279; M. TAMPONI, La risoluzione cit., p. 1799; P. TRIMARCHI, Istituzioni cit., p. 339. Quanto al caso dell’impossibilità sopravvenuta totale, ove la parte abbia già adempiuto alla propria obbligazione prima che quella di controparte sia divenuta impossibile, la stessa potrebbe dover agire in giudizio al fine di ottenere la restituzione di quanto prestato. In tal caso, l’azione assumerebbe la natura di azione di condanna alla restituzione, con cognizione incidenter tantum o accertamento sull’intervenuta risoluzione (la distinzione dipende da una serie di fattori che verranno esaminati in dettaglio nel secondo capitolo della presente trattazione). Quanto al caso dell’impossibilità sopravvenuta parziale, G. MIRABELLI, Dei contratti cit., p. 579, si pone in contrasto con la tesi maggioritaria e asserisce che, poiché lo scioglimento del contratto viene pronunciato dalla sentenza (cfr. supra, nota 272), quest’ultima ha natura costitutiva.

(275) In tal senso, v. M. BORRIONE, La risoluzione per inadempimento cit., p. 188; U. CARNEVALI, L’impossibilità sopravvenuta cit., pp. 285-286 (con riguardo ai contratti ad esecuzione continuata o periodica); A. LOMBARDI, La risoluzione cit., p. 194 (solo con riferimento agli effetti tra le parti); G. OPPO, I contratti di durata cit., p. 244 (rispetto ai contratti ad esecuzione continuata o periodica); V. ROPPO, Il contratto cit., p. 884; R. SACCO, I rimedi sinallagmatici cit., p. 651 (implicitamente).

L’identità degli effetti si manifesta anche rispetto ai contratti plurilaterali, i quali si sciolgono integralmente solo se viene a mancare una prestazione che deve considerarsi essenziale (v. art. 1466 c.c.).

Una corrente dottrinale minoritaria ritiene, invece, che l’effetto risolutorio ex artt. 1453 ss. c.c. e l’effetto risolutorio ex artt. 1463 ss. c.c. non siano assimilabili con riferimento alle conseguenze rispetto ai terzi; la seconda species di effetto risolutorio dovrebbe essere regolata dall’art. 2038 c.c., in forza del rinvio che l’art. 1463 c.c. effettua a favore della disciplina della ripetizione d’indebito, ai sensi del quale: “1. Chi, avendo ricevuto la cosa in buona fede, l’ha alienata prima di conoscere l’obbligo di restituirla è tenuto a restituire il corrispettivo conseguito. Se questo è ancora dovuto, colui che ha pagato l’indebito subentra nel diritto dell’alienante. Nel caso di alienazione a titolo gratuito, il terzo acquirente è obbligato, nei limiti del suo arricchimento, verso colui che ha pagato l’indebito. 2. Chi ha alienato la cosa ricevuta in mala fede, o dopo aver conosciuto l’obbligo di restituirla, è obbligato a restituirla in natura o a corrisponderne il valore. Colui che ha pagato l’indebito può però esigere il corrispettivo dell’alienazione e può anche agire direttamente per conseguirlo. Se l’alienazione è stata fatta a titolo gratuito, l’acquirente, qualora l’alienante sia stato inutilmente escusso, è obbligato, nei limiti dell’arricchimento, verso colui che ha pagato l’indebito”. Sono di tale opinione C. M. BIANCA, Diritto civile, V cit., pp. 409-410; G. BIANCHI, Rescissione e risoluzione dei contratti cit., pp. 545-546; A. LOMBARDI, La risoluzione cit., p. 196 ss.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 91-96)