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L’eccezione di nullità

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 108-112)

Il codice civile disciplina le eccezioni di impugnativa contrattuale in corrispondenza delle relative azioni, sicché la prima eccezione che entra in scena è l’eccezione di nullità.

La questione relativa all’inquadramento di tale eccezione nel novero di quelle in senso lato o in senso stretto viene risolta in modo inattaccabile dall’art. 1421 c.c., in forza del quale “la nullità […] può essere rilevata d’ufficio dal giudice”. Siffatta disciplina esprime icasticamente il particolare disvalore associato alla nullità e ben si spiega con l’intento di impedire che il processo divenga uno strumento per far conseguire al contratto nullo gli effetti che l’ordinamento giuridico, in linea di principio, gli nega (315). È, dunque, diffusa la

(313) Così A. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela c.d. costitutiva cit., p. 71. Per un’analisi degli schemi di produzione degli effetti sostanziali, v. supra, par. 2.

(314) L’affermazione è di G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., p. 361 ss., il quale spiega il concetto anche con una metafora estremamente efficace: “se vado a caccia, non è che il mio fucile diventi più o meno idoneo a prendere selvaggina a seconda che il mio compagno di battuta sia a sua volta armato oppure no: se è armato e io non sparo, potrà essere lui a colpire; se io non sparo e lui è disarmato, la selvaggina se ne andrà di certo”. (315) La dottrina è, sul punto, compatta: v. A. CATAUDELLA, Il giudice cit., p. 675; C. CONSOLO, Nullità del contratto cit., p. 13, il quale rinviene la ratio dell’art. 1421 c.c. nella “necessità che non venga, in senso lato, data vigenza ad un contratto nei cui confronti l’ordinamento ha espresso la propria disapprovazione, e così un giudizio di radicale disvalore”; F. CORSINI, Rilevabilità cit., pp. 670, 691, per cui “la rilevabilità di ufficio si sposa coerentemente con lo scopo di protezione sotteso alla nullità” e la sua vera ratio è “quella di impedire che [il

convinzione che il verbo “può”, utilizzato nell’art. 1421 c.c., sia più correttamente da intendersi come “deve”: la norma assegna all’autorità giudicante non una facoltà, bensì un obbligo di rilevare la nullità del contratto, ogniqualvolta la stessa risulti ex actis (316).

contratto nullo] costituisca il presupposto di una decisione giudiziale, che in qualche modo ne implichi la validità o comunque la provvisoria efficacia”; G. FABBRINI, L’eccezione di merito cit., p. 358, per cui, “se il giudice può (e deve) rilevare d’ufficio la nullità di un contratto […], ciò significa che l’ordinamento si preoccupa dell’effettivo rispetto dei limiti posti all’autonomia privata”; S. PAGLIANTINI, La rilevabilità officiosa della nullità e l’articolazione di nuovi mezzi di prova nella cornice dell’effettività della tutela. Il dialogo tra le Corti, in Contratti 2014, p. 15, spec. 19, il quale afferma che “la ratio dell’art. 1421 c.c. si condensa tutta nell’evitare che un contratto nullo, per ciò stesso immeritevole di tutela, possa anche obliquamente dispiegare degli effetti”; D. RUSSO, Profili evolutivi della nullità contrattuale, Napoli, 2008, pp. 80-81, secondo cui la “ratio della rilevabilità d’ufficio è dunque sempre quella di realizzare l’interesse (più o meno specifico) protetto con la sanzione di nullità. Interesse che […] è sempre anche pubblico pur quando il rimedio in oggetto protegge posizioni individuali”; A. TORRENTE

– P. SCHLESINGER, Manuale cit., p. 682, i quali fanno notare che, “se non fosse prevista una tale disposizione, potrebbe paradossalmente avvenire che il giudice si trovi a pronunciare una sentenza che faccia produrre effetti ad un contratto riprovato dalla legge”. In giurisprudenza, esprimono la medesima convinzione, tra le tante, Cass., 13 giugno 2019, n. 15950; Cass., 12 aprile 2018, n. 9095; Cass., 14 giugno 2017, n. 14804; Cass., 11 novembre 2016, n. 23064; Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243; Cass., 31 ottobre 2014, n. 23306; Cass., sez. un., 4 settembre 2012, n. 14828, per la quale “la funzione dell’art. 1421 c.c. è di impedire che il contratto nullo, sul quale l’ordinamento esprime un giudizio di disvalore, possa spiegare i suoi effetti”. (316) L’opinione è in giurisprudenza consolidata: cfr., ex multis, Cass., 9 maggio 2019, n. 12259; Cass., 29 marzo 2019, n. 8914; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4458; Cass., 30 maggio 2017, n. 13632; Cass., 27 ottobre 2015, n. 21775; Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26243; Cass., sez. un., 4 settembre 2012, n. 14828.

In dottrina, alcuni affermano che il fatto che il giudice abbia un obbligo (anziché una facoltà) di rilevazione della nullità discende da un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1421 c.c.; il “può” della norma deve esser letto come un “deve”, collegato all’esercizio delle funzioni di terzietà ed imparzialità del giudice, ex art. 111, c. 2, Cost.: cfr. V. CARBONE, “Porte aperte” cit., p. 96. Altri sostengono, invece, che il legislatore abbia utilizzato il verbo “potere” per sancire un’eccezione al principio generale di cui all’art. 2907 c.c., in virtù della quale l’organo giudicante possa provvedere d’ufficio alla tutela giurisdizionale dei diritti laddove gli interessati tacciano; tuttavia, anche in tale contesto, “il magistrato non è arbitro di scegliere se valersi o non dei suoi poteri ma deve servirsene”: G. STOLFI, Sopra un caso di modificazione della domanda in corso di giudizio, in Giur. it. 1948, I, II, p. 148, spec. 151. In senso contrario si esprime, invece, M. FORNACIARI, Situazioni potestative cit., p. 320, nt. 59.4, secondo il quale “la possibilità, per il giudice, di rilevare un certo fatto, non implica l’obbligo di farlo”. Si anticipa sin d’ora che la rilevabilità officiosa, mai contestata nella sua qualità di regola “di massima”, è stata oggetto di diversificate riflessioni e applicazioni in dipendenza dalla concreta domanda giudiziale proposta nel singolo caso. Ci si è, per esempio, domandati se sia possibile rilevare una causa di nullità diversa da quella posta dall’attore a fondamento della propria domanda, oppure se sia possibile rilevare la nullità parziale del contratto quando sia stata proposta domanda di nullità totale, e viceversa. Ancora, ci si è domandati se la nullità possa essere sempre rilevata d’ufficio indipendentemente dal fatto che la domanda attorea sia volta all’esecuzione di un contratto o alla caducazione dei suoi effetti. Si tratta di questioni complesse che verranno analizzate nell’ambito del secondo capitolo (cfr. infra, parr. 21 e 45). In questa sede, ci si limita a sottolineare la generale qualificazione della eccezione di nullità quale eccezione rilevabile d’ufficio, lasciando i dettagli al prosieguo della trattazione.

Nella prospettiva della dinamica processuale, il giudice può procedere al rilievo ex officio ai sensi dell’art. 183, c. 4, c.p.c. (“nell’udienza di trattazione ovvero in quella eventualmente fissata [per il tentativo di conciliazione], il giudice […] indica le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione”), oppure ex art. 101, c. 2, c.p.c. (“se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”). Inoltre, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, “in appello e in Cassazione, in caso di mancata rilevazione officiosa della nullità in primo grado, il giudice ha sempre la facoltà di rilevare d’ufficio la nullità”: cfr., ex multis, Cass., 6 giugno 2018, n. 14688; Cass., 12 aprile 2018, n. 9095; Cass., 16 marzo 2016, n. 5249; Trib. Pisa, 26 giugno 2015, n. 743, in DeJure; Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26243, par. 7, punto 6. Riguardo alla rilevabilità officiosa in fase di gravame, si vedano C. CONSOLO –F.GODIO, Patologia del contratto cit., p. 240, i quali pongono il seguente

Tale regola generale non viene meno neppure nelle ipotesi di nullità di protezione, che non presentano differenze rispetto alle nullità di diritto comune sotto questo particolare profilo. Come si è visto (317), infatti, le nullità di protezione presidiano un interesse “di serie o di massa”, la cui tutela verrebbe notevolmente menomata se non si attribuisse al giudice il potere-dovere di rilevarle in via officiosa. Anzi, proprio nei settori in parola, il potere officioso assume un significato ancor più apprezzabile, poiché rafforza l’intensità della “protezione” accordata alla parte debole, la quale, in ragione della propria posizione di minor difesa, potrebbe non essere in grado di cogliere le opportunità di tutela ad essa concessa (318). Peraltro, sovente sono le stesse norme che disciplinano le nullità di protezione a prevedere che queste ultime siano rilevabili d’ufficio: si pensi, per esempio, all’art. 127, c. 2, t.u.b., per cui “le nullità previste dal presente titolo […] possono essere rilevate d’ufficio dal giudice”, o all’art. 134 c. cons., secondo cui “la nullità […] può essere rilevata d’ufficio dal giudice”.

Avverso tale ricostruzione si sono, per vero, sollevate alcune voci critiche, le quali hanno evidenziato il rischio che, ammettendo la rilevabilità officiosa di una nullità relativa, la parte non legittimata ad agire riesca a eludere la propria carenza di legittimazione attiva e a stimolare una declaratoria di nullità attraverso la mera allegazione di cause di invalidità del

dubbio: “come potrà la Corte di cassazione rilevare d’ufficio la nullità del contratto, posto che tale rilievo implica che la Corte guardi ‘al merito della lite’, che invece le è tendenzialmente precluso?”; gli autori rispondono che, in realtà, la lite sostanziale è sempre sottesa al giudizio di legittimità ed è, quindi, accessibile alla Suprema Corte; I. PAGNI, Il “sistema” delle impugnative negoziali dopo le Sezioni Unite, in Giur. it. 2015, p. 71, spec. 74, nt. 13, la quale paragona la soluzione proposta a quella adottata per il difetto di giurisdizione. (317) Cfr. supra, par. 6.

(318) La più recente giurisprudenza, sia nazionale sia comunitaria, è fortemente orientata in tal senso. Quanto alla prima, cfr. Cass., 13 giugno 2019, n. 15950; Cass., 21 novembre 2018, n. 30104; Cass., 14 giugno 2017, n. 14804 (in obiter); Cass., 26 giugno 2015, n. 13287, in Giur. it. 2015, p. 2319, con nota di M. COCCO, Rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale; Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243. Quanto alla seconda, con specifico riferimento ai rapporti tra consumatore e professionista, cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 30 maggio 2013, C-488/11 (c.d. sentenza Asbeck), in curia.europa.eu; Corte di giustizia dell’Unione Europea, 6 ottobre 2009, C-40/08 (c.d. sentenza Asturcom), in Riv. arb. 2009, p. 667, con nota di E. D’ALESSANDRO, La Corte di giustizia sancisce il dovere, per il giudice nazionale, di rilevare d’ufficio l’invalidità della clausola compromissoria stipulata tra il professionista ed il consumatore rimasto contumace nel processo arbitrale; in Contratti 2009, p. 1115, con nota di S. MONTICELLI, La rilevabilità d’ufficio condizionata della nullità di protezione: il nuovo «atto» della Corte di giustizia; in Dir. comm. internaz. 2011, p. 569, con nota di V. TINTO, Il potere del giudice di rilevazione della nullità di protezione: “un giudice nazionale investito di una domanda per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale che ha acquisito autorità di cosa giudicata, emesso in assenza del consumatore, è tenuto, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, a valutare d’ufficio il carattere abusivo della clausola compromissoria contenuta in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, qualora, secondo le norme procedurali nazionali, egli possa procedere a tale valutazione nell’ambito di ricorsi analoghi di natura interna”; Corte di giustizia dell’Unione Europea, 4 giugno 2009, C-0243/08 (c.d. sentenza Pannon), in Rass. dir. civ. 2010, p. 507, con nota di S. PAGLIANTINI, La vaghezza del principio di «non vincolatività» delle clausole vessatorie secondo la Corte di giustizia: ultimo atto?; in Rass. dir. civ. 2010, p. 1227, con nota adesiva di I. PRISCO, Il rilievo d’ufficio della nullità tra certezza del diritto ed effettività della tutela, secondo la quale l’organo giudicante deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, così divenendo “garante della effettività della tutela accordata al contraente debole”. In dottrina, abbracciano le tesi giurisprudenziali e attribuiscono anche all’eccezione di nullità di protezione natura di eccezione in senso lato F. CORSINI, Rilevabilità cit., p. 673, per il quale, “anche laddove la legittimazione ad agire è ristretta, […] il potere del giudice di eccepire la nullità è essenziale per perseguire gli interessi generali sottesi alla tutela di una data classe di contraenti (consumatori, risparmiatori, investitori)”; D. RUSSO, Profili cit., pp. 87-88.

contratto (319). Si è, dunque, proposto di ovviare al problema consentendo il rilievo officioso della nullità di protezione nei soli casi in cui ciò vada a vantaggio del contraente debole (320). Per vagliare l’opportunità di detto correttivo, occorre a mio avviso risolvere preliminarmente il problema relativo ai riflessi che il rilievo d’ufficio della nullità può provocare sul contenuto della sentenza che chiude il giudizio; infatti, solo così si potrà comprendere se il potere officioso possa effettivamente provocare una elusione delle norme sulla legittimazione relativa del contraente debole. Poiché tale tematica sarà affrontata nel corso del secondo capitolo, si ritiene più opportuno rimandare a quella fase le riflessioni circa le eventuali restrizioni al potere di rilievo officioso della nullità, nelle ipotesi in cui quest’ultima sia di protezione (321).

L’eccezione di nullità non è soggetta ad alcun termine di prescrizione. Sebbene non vi siano espresse indicazioni normative in tal senso, l’osservazione si pone quale ragionevole corollario dell’imprescrittibilità dell’azione. Se l’eccezione si prescrivesse, si creerebbero delle situazioni in cui la parte interessata a far valere la nullità potrebbe ancora proporre la relativa domanda giudiziale, ma non potrebbe più opporla in via di eccezione ove convenuta in giudizio per l’esecuzione del contratto. Si costringerebbe, così, la parte convenuta a proporre sempre una domanda riconvenzionale di nullità, o ad instaurare una seconda autonoma lite per ottenere la declaratoria di nullità, senza alcuna valida ragione. Infatti, se lo scopo perseguito dall’ordinamento è quello di non consentire che il contratto nullo possa surrettiziamente produrre effetti, l’esecuzione del negozio in ragione dell’accoglimento della domanda attorea può essere evitata anche con lo strumento di una mera eccezione, senza dover instaurare un’azione.

A ciò si aggiunga che la prescrittibilità dell’eccezione di nullità mal si concilierebbe con la circostanza che la nullità può essere altresì rilevata d’ufficio dall’organo giudicante. Se si

(319) Tra gli autori che reputano le nullità di protezione incompatibili con la rilevabilità officiosa, v. R. QUADRI, «Nullità» e tutela del «contraente debole», in Contr. e impr. 2001, p. 1143, spec. 1161 ss.; G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, Milano, 1995, pp. 188-189, per cui, “una volta ammessa nel sistema la configurabilità di una legittimazione relativa all’azione, supporre poi la permanente rilevabilità d’ufficio della nullità svuoterebbe di contenuto proprio l’inciso iniziale dell’art. 1421, poiché, posto il potere-dovere del giudice di rilevarla, basterebbe alla parte non legittimata allegarne gli elementi costitutivi in giudizio per vanificare proprio la legittimazione ristretta all’azione”.

(320) Tale soluzione è propugnata da A. BENUSSI, Rilevabilità della nullità fra negozio e processo, in Obbl. e contr. 2007, p. 494, spec. 500; G. BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio cit., p. 899, per cui “il giudice dovrebbe sempre rilevare la causa della nullità relativa, tranne nel caso in cui il contraente legittimato manifesti un interesse all’efficacia del contratto o della clausola, rivelato da un comportamento processuale di invocazione degli effetti negoziali o da un comportamento a carattere positivo che comunque esprima accettazione degli effetti medesimi”; F. CORSINI, Rilevabilità cit., p. 673; M. MANTOVANI, Le nullità cit., pp. 86-87, per il quale il potere officioso dovrebbe arrestarsi solo di fronte a una domanda del contraente debole sostanzialmente incompatibile con il risultato derivante dalla nullità rilevata; S. MONTICELLI, Nullità, legittimazione relativa e rilevabilità d’ufficio, in Riv. dir. priv. 2002, p. 685, spec. 689-690, per cui “il giudice deve conformare ed eventualmente limitare l’esercizio del suo intervento d’ufficio laddove la declaratoria di nullità della clausola appaia in concreto pregiudizievole per il consumatore o, addirittura, sia da questi non voluta”; M. PIROVANO, Rilevabilità d’ufficio della nullità e domanda di risoluzione, in Contratti 2011, p. 681, spec. 688-689, per la quale il rilievo d’ufficio della nullità “dovrà essere negato laddove, dagli atti e dalle prove assunte in giudizio, non risulti corrispondente agli obiettivi del consumatore, avendo egli manifestato l’intenzione di conservare il contratto o la sua singola clausola, che – per quanto astrattamente lesivi – non gli recano in concreto alcun pregiudizio”.

volesse mantenere un parallelismo tra l’eccezione di parte e il rilievo d’ufficio, bisognerebbe concludere che anche al giudice sia precluso sollevare la questione di nullità dopo la scadenza del termine di prescrizione dell’eccezione; ma non si rinviene una norma che ponga una simile disciplina in materia contrattuale. Se, viceversa, si volesse applicare il termine di prescrizione alla sola eccezione di parte, si avrebbero casi in cui la nullità non possa più essere sollevata dalla parte, ma possa essere ancora rilevata dal giudice. L’intervenuta prescrizione dell’eccezione potrebbe, quindi, essere facilmente raggirata dal convenuto, al quale basterebbe stimolare il rilievo d’ufficio della nullità per conseguire il medesimo risultato.

Alla luce di tali argomenti, pare allora corretto ritenere che anche l’eccezione di nullità, come la relativa azione, sia imprescrittibile.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 108-112)