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Le sentenze di accoglimento

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 190-197)

I LIMITI OGGETTIVI DEL GIUDICATO NELLE IMPUGNATIVE CONTRATTUALI

24. L’estensione del giudicato in presenza di rapporti di pregiudizialità logica

24.1. Le sentenze di accoglimento

Vengono, anzitutto, in rilievo quelle che sono comunemente definite come “tesi estensive” dei limiti oggettivi del giudicato.

Secondo una prima ricostruzione, in tutti i casi in cui il contenuto della decisione sul singolo effetto presuppone necessariamente un dato modo di essere del rapporto giuridico fondamentale, la res iudicata copre sempre anche l’(in)esistenza, la (in)validità e l’(in)efficacia di quest’ultimo; e ciò indipendentemente dal fatto che detti profili abbiano costituito punti, questioni o cause pregiudiziali. Poiché in situazioni del genere l’accertamento sul rapporto giuridico fondamentale costituisce un “antecedente logico necessario” dell’accertamento sul singolo effetto, anche al primo deve essere attribuito il carattere dell’incontrovertibilità in successivi giudizi. In via esemplificativa, se il giudice accerta la sussistenza di un diritto al pagamento del corrispettivo per le prestazioni professionali svolte, egli deve aver giocoforza valutato esistente, valido ed efficace il contratto di prestazione d’opera professionale e, per quanto qui rileva, deve averne esclusa la nullità; sicché anche tali profili restano coperti dalla regiudicata (532).

(531) Cfr. R. CAPONI, Limiti oggettivi cit., p. 2766; R. CAPONI –A.PROTO PISANI, Lineamenti cit., p. 83; F. P. LUISO, Diritto processuale cit., vol. I, pp. 168-169.

(532) Aderiscono a tale visione M. BOVE, Lineamenti cit., p. 232; A. DE LA OLIVA SANTOS, Oggetto del processo civile e cosa giudicata, traduzione di D. VOLPINO, Milano, 2009, p. 250 ss., secondo cui sugli essenziali elementi fondativi della decisione “non ha luogo un giudizio effettuato incidenter tantum, né a soli fini pregiudiziali. Semplicemente, si tratta di elementi fondamentali, ossia indispensabili, per la decisione che, per buona logica, nessun sistema giuridico e giurisdizionale ragionevole lascia impregiudicati”; G. FABBRINI, Eccezione, in Scritti giuridici, vol. I, Studi sull’oggetto del processo e sugli effetti del giudicato, Milano, 1989, p. 501, spec. 508, secondo cui “passata in giudicato la sentenza che […] condanni il convenuto al pagamento del prezzo della cosa

Una diversa teoria afferma, invece, che, ogniqualvolta venga azionato un diritto scaturente da un contratto, l’oggetto del giudizio è formato non già dal singolo diritto, bensì dall’intero rapporto contrattuale. I pilastri del ragionamento sono rappresentati dalla constatazione che, nei rapporti obbligatori complessi, i vari diritti spettanti alle parti sono tra loro interdipendenti; sicché l’esigenza di evitare una disarticolazione della realtà sostanziale, causata da pronunce contraddittorie, rende imprescindibile che la deduzione del singolo diritto coinvolga altresì l’accertamento dell’esistenza, della validità e dell’efficacia del rapporto giuridico fondamentale.

Questa peculiare conformazione (potremmo dire) “coatta” dell’oggetto del giudizio spiega perché l’estensione della cosa giudicata alle questioni pregiudiziali in senso logico non possa essere regolata dall’art. 34 c.p.c.: mentre le questioni pregiudiziali cui si riferisce tale norma stanno “al di fuori” dell’oggetto del giudizio, le questioni inerenti ai rapporti obbligatori complessi vi rientrano automaticamente.

Pertanto, per determinare il perimetro del giudicato occorre fare riferimento alla generale regola dell’equivalenza, apportandovi, però, una rilevante modifica. In presenza di rapporti giuridici fondamentali, l’oggetto del giudicato coincide con l’oggetto della sentenza, il quale a sua volta coincide con l’oggetto del processo; tuttavia, quest’ultimo non corrisponde all’oggetto della domanda: infatti, facendo valere in giudizio un diritto scaturente da un rapporto obbligatorio complesso, la parte introduce inevitabilmente nel processo le questioni inerenti al modo di essere di quest’ultimo, anche se non propone esplicita domanda in tal senso.

Il risultato cui si giunge è che il modo di essere del contratto passa sempre in giudicato, indipendentemente dalla circostanza che l’accertamento del medesimo fosse un passaggio logico necessario per decidere sulla sussistenza del singolo diritto fatto valere (per questo aspetto la tesi in esame si distingue dall’altra tesi estensiva) e indipendentemente dal fatto che tale profilo configurasse un punto, una questione o una causa pregiudiziale (aspetto che, invece, accomuna le due tesi estensive analizzate) (533).

compravenduta, resta coperta dal giudicato, ad ogni possibile ulteriore effetto, la validità del contratto”; F. P. LUISO, Diritto processuale cit., vol. I, pp. 168-169, il quale fa notare che, in determinate ipotesi, anche l’accoglimento della domanda sul singolo diritto può prescindere dall’accertamento del modo di essere del rapporto giuridico fondamentale: si veda l’esempio richiamato nelle battute finali del par. 22. In giurisprudenza, cfr. Cass., 9 novembre 2017, n. 26557.

(533) Abbracciano questa seconda teorica F. CARNELUTTI, In tema di accertamento incidentale cit., p. 18 ss.; V. COCCHI, Orientamenti giurisprudenziali in tema di limiti oggettivi del giudicato e di impugnative negoziali, in Foro. it. 1984, I, p. 2997, spec. 3002; S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 107 ss., il quale sottolinea che è vero “che l’istanza di accertamento dell’esistenza e qualificazione giuridica del rapporto, stante la sua idoneità a condizionare una pluralità di effetti, può costituire da sé sola oggetto di giudizio, disgiuntamente cioè dalla richiesta di tutela di un singolo effetto; tuttavia, non sembra possibile il contrario”; S. MENCHINI, voce Regiudicata civile cit., p. 437, per cui “la deduzione in giudizio di una singola coppia pretesa-obbligo coinvolge come oggetto del giudizio e del giudicato anche il rapporto obbligatorio”. Altri autori condividono il ragionamento indicato nel testo, ma ne limitano l’applicabilità ai soli contratti a prestazioni corrispettive: v. A. BONSIGNORI, I limiti oggettivi cit., pp. 245-246, per cui il rapporto giuridico fondamentale entra a far parte dell’oggetto del processo quale causa petendi attiva, “sicché la sua sussistenza non potrà più essere messa in forse”; R. CAPONI, Limiti oggettivi cit., p. 2765; R. CAPONI –A.PROTO PISANI, Lineamenti cit., pp. 82-83; I. PAGNI, Le azioni cit., pp. 345-346; A. PROTO

Un temperamento alla notevole estensione che la res iudicata acquista in forza della tesi in parola si scorge nel pensiero di Chiovenda, che propone di utilizzare il delineato approccio solo in ipotesi eccezionali.

Ad avviso dell’autorevole studioso, ove venga fatto valere in giudizio un diritto derivante da un rapporto giuridico complesso, le questioni attinenti a quest’ultimo non formano di norma oggetto di giudicato, in quanto non costituiscono in origine oggetto di domanda. Tale regola presenta (solo) due eccezioni. Da un lato, quando il rapporto giuridico si esaurisce in un unico diritto, le questioni inerenti al rapporto non sono propriamente definibili come pregiudiziali, ma divengono l’oggetto immediato della domanda. Dall’altro lato, quando vengano azionati diritti qualificabili come “principali”, “fondamentali” o “centrali” nell’economia del contratto, “deve ritenersi che oggetto della domanda e del giudicato sia senz’altro e direttamente, insieme col diritto fatto valere, anche il rapporto giuridico stesso” (534). Chiovenda non offre ulteriori dettagli sulle caratteristiche di tali diritti, ma viene in soccorso dell’interprete Massetani, il quale precisa che “è da considerare […] diritto principale o fondamentale o centrale di un rapporto giuridico complesso quello dalla cui esistenza dipende la configurabilità del rapporto stesso (nella sua funzione riconosciuta dall’ordinamento e dalla normalità dei consociati): così, la compravendita richiede l’esistenza di un prezzo, ma non anche una certa dimensione di esso […] e neppure il pagamento effettivo” (535).

Pare qui opportuno sospendere brevemente la rassegna che si va conducendo per svolgere alcune prime considerazioni critiche.

Coinvolgere meccanicamente il rapporto fondamentale nell’oggetto dell’accertamento, anche ove sia dedotto un singolo effetto, porta a curiosi risvolti processuali. Si immagini che, a fronte di una domanda relativa a uno dei diritti derivanti dal contratto, il convenuto

È interessante segnalare che S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 97 ss., ravvisa un addentellato normativo per la tesi estensiva negli artt. 12 e 13 c.p.c. Secondo l’Autore, da tali norme si può evincere il principio di unità della controversia relativa al rapporto e di quella relativa al singolo effetto dallo stesso derivante, che vengono disciplinate come se fossero un’unica causa. Per la precisione, l’art. 12, c. 1, c.p.c. parla di “cause relative all’esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio” e, al contempo, di “parte del rapporto che è in contestazione”: da tale formulazione si dovrebbe trarre che la disposizione riguardi cause aventi ad oggetto sia il rapporto giuridico fondamentale sia i singoli effetti dedotti. Analoga osservazione dovrebbe valere per l’art. 13 c.p.c., che discorre di “cause per prestazioni alimentari periodiche”, “cause relative a rendite perpetue”, “cause relative al diritto del concedente” e di “titoli controversi”. Ciò comporterebbe che la regola da applicare ai nessi tra rapporto obbligatorio complesso e singoli diritti non può trarsi dall’art. 34 c.p.c., che chiaramente considera la controversia pregiudiziale e la controversia pregiudicata come cause distinte. A mio avviso, la ricostruzione proposta da Menchini non convince. Non si comprende, infatti, da quale elemento si dovrebbe dedurre che le controversie di cui all’art. 12 c.p.c. siano anche relative a singoli diritti nascenti dal rapporto obbligatorio, e che le controversie di cui all’art. 13 c.p.c. siano anche relative al titolo dell’obbligazione. Invero, la mera circostanza che un determinato profilo sia controverso non è idonea a trasformarlo nell’oggetto di un giudizio.

(534) Così G. CHIOVENDA, Istituzioni cit., p. 342 ss. Fa propria tale costruzione anche G. MASSETANI, Considerazioni schematiche cit., p. 343.

(535) G. MASSETANI, Considerazioni schematiche cit., p. 343. Cfr. altresì A. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela c.d. costitutiva cit., p. 93, nt. 50, il quale sembra ritenere che tutti i diritti all’adempimento di una delle contrapposte obbligazioni derivanti da un contratto a prestazioni corrispettive siano diritti principali, fondamentali o centrali.

proponga domanda riconvenzionale o domanda di accertamento incidentale della nullità del negozio. Se le questioni in ordine all’esistenza, alla validità e all’efficacia del rapporto giuridico complesso fossero effettivamente già ricomprese nell’oggetto del processo, “a tali domande incidenti dovrebbe opporsi una sorta di eccezione di litispendenza interna, sì da renderle superflue onde fissare l’oggetto del giudizio in corso” (536).

Inoltre, se fosse vero che alle questioni inerenti al rapporto fondamentale non debba applicarsi il regime processuale indicato dall’art. 34 c.p.c. per le questioni pregiudiziali di natura tecnica, allora coerenza vorrebbe che si giungesse a negare la possibilità di un autonomo giudizio sul solo rapporto fondamentale (537).

Eppure, la dottrina che propugna le tesi estensive non arriva ad ammettere né l’una né l’altra conseguenza.

Quanto al temperamento proposto da Chiovenda, esso è, a mio avviso, di incerta applicazione. Per un verso, una volta ammessa la distinzione tra il rapporto complesso e i singoli diritti che ne derivano, non è coerente tornare ad affermare la loro identità (nelle ipotesi in cui il rapporto si esaurisca in un unico diritto) e impedire di dedurre il singolo diritto senza il coinvolgimento del rapporto, benché sia ammesso il contrario (538). Per altro verso, nonostante la spiegazione fornita da Massetani, i concetti di diritti principali, fondamentali e centrali presentano ancora degli angoli bui. Il diritto a ricevere i canoni di locazione appare prima facie un diritto che riveste un ruolo centrale nel regolamento contrattuale; se il diritto rimasto inadempiuto è relativo a una sola o a un paio di mensilità, nell’ambito di un contratto di locazione pluriennale nel corso del quale i pagamenti sono stati per il resto puntualmente corrisposti, esso ha ancora i connotati descritti da Chiovenda? O ancora. Se le parti ritengono l’adempimento a una determinata obbligazione a tal punto rilevante da renderla oggetto di una clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., il diritto a quell’adempimento specifico è fondamentale? Oppure i caratteri elencati devono essere valutati in una prospettiva oggettiva?

Le incertezze cui la distinzione tra diverse tipologie di diritti dà adito rendono, a mio parere, poco fruibile il regime proposto e addossano ai litiganti il problema di determinare

ex ante se nell’oggetto del giudizio tra gli stessi pendente sia o non sia ricompreso il modo di

essere del rapporto giuridico fondamentale, con conseguente comprensibile tendenza tuzioristica a considerarlo incluso e conseguente ampliamento forzato, ma indesiderato, della

res in iudicium deducta.

Spostando, ora, l’attenzione verso la “tesi intermedia”, alcuni autori credono che la regiudicata ricomprenda le questioni afferenti al rapporto complesso ogniqualvolta il medesimo sia oggetto (anche solo) di semplici contestazioni, senza che sia a tal fine necessaria la proposizione di una vera e propria domanda giudiziale (539).

(536) La condivisibile notazione è di C. CONSOLO, Oggetto del giudicato cit., pp. 235-236. (537) Lo spunto è, ancora una volta, di C. CONSOLO, Oggetto del giudicato cit., p. 236. (538) In tal senso, v. E. HEINITZ, I limiti oggettivi cit., p. 213.

(539) L’orientamento trova il proprio progenitore in F. C. SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, vol. VI, Torino, 1896, p. 387 ss., e vede quali suoi seguaci E. REDENTI, Effetti della connessione e della continenza di cause

Una voce dottrinale opina, addirittura, che indicazioni in tal senso debbano essere tratte dagli artt. 12, c. 1, e 13 c.p.c., che rappresentano una delle ipotesi di accertamento incidentale

ex lege di cui parla l’art. 34 c.p.c. In particolare, la prima disposizione richiamata, prevedendo

che il valore della causa ai fini della competenza sia determinato dal valore di quella parte di rapporto che è soggetta a contestazione, implica che la negazione dell’esistenza del rapporto obbligatorio, operata dal convenuto, aumenti il valore della lite fino al valore del rapporto stesso (540). Dal che par di comprendere che, con le proprie contestazioni, il convenuto ampli l’oggetto del giudicato e, di conseguenza, il valore della controversia ai fini dell’individuazione del giudice competente.

L’argomento, tuttavia, non regge. È sufficiente por mente alla circostanza che l’art. 12, c. 1, c.p.c. parli di “cause relative all’esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio” per rendersi conto che la norma riguarda i casi in cui il procedimento sia già pendente in ordine a tali aspetti, e che quindi non si possa ipotizzare un’estensione dell’oggetto del giudizio a seguito delle contestazioni del convenuto.

D’altro canto, nemmeno l’art. 13 c.p.c. può prevedere una dilatazione della res in iudicium

deducta in forza della contestazione del titolo dell’obbligazione. Infatti la norma, al pari di

tutte le altre sulla competenza, si prefigge di indicare a colui che deve instaurare la lite i criteri per individuare il giudice competente. Di conseguenza, la controversia sul titolo di cui si tratta deve già risultare dall’atto introduttivo del giudizio e non può essere originata dall’attività difensiva del convenuto (541).

sulla competenza, in Scritti e discorsi giuridici di un mezzo secolo, vol. I, Milano, 1962, p. 403, spec. 414 ss.; E. VULLO, La domanda riconvenzionale nel processo ordinario di cognizione, Milano, 1995, p. 180, per il quale la sola allegazione da parte del convenuto di un fatto che si traduca nella contestazione della validità del contratto deve essere valutata, di regola, come una vera e propria domanda di accertamento incidentale che investe l’intero rapporto, salva la possibilità per il convenuto medesimo di precisare che intende sollevare una mera eccezione. In senso simile si esprimono S. SATTA – C. PUNZI, Diritto processuale cit., pp. 143-144, per cui l’oggetto del giudizio si estende al rapporto giuridico nella sua interezza laddove sia sollevata eccezione dal convenuto, o il giudice rilevi d’ufficio l’inesistenza della singola obbligazione dedotta dall’attore. Riecheggia qui, peraltro, l’insegnamento di Mortara, il quale individua l’oggetto del giudizio e, quindi, del giudicato non con riferimento esclusivo alla domanda introduttiva, ma con riguardo alla “massa litigiosa”, ossia all’intero tema controverso sviluppatosi nel corso del processo: v. L. MORTARA, Commentario cit., vol. II, Milano, 1923, p. 119.

Mi sembra si avvicini alla teoria in esame quella di M. DE CRISTOFARO, Giudicato cit., p. 76 ss., per cui si forma giudicato sulle questioni pregiudiziali ogniqualvolta esse siano divenute oggetto di dibattito e dell’attenzione delle parti.

Tale interpretazione è criticata da E. GARBAGNATI, Questioni cit., p. 268, nt. 30, secondo cui appare “arbitrario”, alla luce del nostro diritto positivo, “il tentativo di subordinare l’efficacia di cosa giudicata della decisione di una questione pregiudiziale di merito ad un adeguato contraddittorio fra le parti in merito all’esistenza del rapporto pregiudiziale”.

(540) Cfr. E. REDENTI, Diritto processuale civile, vol. II, Milano, 1957, p. 116 ss.

(541) Così S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 102. In proposito, v. anche A. ATTARDI, In tema di limiti oggettivi cit., p. 494, il quale, con riguardo all’art. 12, c. 1, c.p.c., scrive: “non credo che possa accogliersi un’interpretazione aderente alla lettera e ritenere che abbia rilievo la contestazione che il convenuto svolga nei confronti della domanda dell’attore: se così fosse non si saprebbe, in un processo di condanna, determinare la competenza se il convenuto non sollevi contestazione alcuna. Non si saprebbe, d’altro canto, come giustificare una tale interpretazione di fronte alla regola per la quale la competenza si determina dalla domanda”.

Pertanto, non si può far discendere dagli artt. 12, c. 1, e 13 c.p.c. un precetto generale, in forza del quale i rapporti complessi contestati vengano sempre accertati in modo incontrovertibile (542).

Rispetto alla corrente dottrinale che considera le pure contestazioni idonee a estendere l’oggetto del giudizio, si può sin d’ora osservare che la stessa non entra in conflitto con il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. Invero, anche una semplice contestazione stimola il contraddittorio tra le parti e consente di portare una determinata questione all’attenzione del giudice. Sull’appropriatezza di tale strumento processuale per dilatare la res iudicata, si rinvia, invece, a quanto si dirà infra, al paragrafo 31.

Manca all’appello l’ultima tesi che è stata formulata con riguardo ai limiti oggettivi entro cui la cosa giudicata è ristretta allorché sorgano delle questioni pregiudiziali in senso logico e il giudice accerti la sussistenza dell’effetto dedotto: quella comunemente definita come “tesi restrittiva”.

Ad avviso di un nutrito numero di studiosi, anche alle questioni pregiudiziali di natura logica si applica il regime delineato dall’art. 34 c.p.c. (543). E infatti, quantomeno dal punto di vista dello ius positum, questa è l’unica norma che nel nostro ordinamento processuale si

(542) Cfr. A. BONSIGNORI, Tutela giurisdizionale cit., p. 170; S. MENCHINI, I limiti oggettivi cit., p. 85, nt. 60; L. MONTESANO, In tema di accertamento incidentale cit., pp. 337-338, per cui “l’oggetto della domanda e i limiti oggettivi del giudicato sul merito non possono dedursi dalle norme che disciplinano la competenza”; L. MONTESANO, Questioni cit., p. 307, per il quale “dagli artt. 12 e 13 c.p.c. non si possono dedurre accertamenti incidentali, per legge, sui rapporti complessi contestati quando siano dedotti singoli diritti nascenti dagli stessi rapporti, poiché manca qui un’esplicita previsione di scioglimento della questione pregiudiziale con forza di giudicato o un esplicito richiamo dell’art. 34 c.p.c.”. In giurisprudenza, cfr. Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, par. 4.5, secondo cui “gli artt. 12 e 13 c.p.c. appaiono dettati con riferimento a problematiche endoprocessuali sicuramente eterogenee rispetto al tema in questione”. Per ulteriori critiche alla teoria di Redenti, v. anche L. MONTESANO, La tutela giurisdizionale cit., p. 118.

(543) In tali termini si esprimono A. ATTARDI, Diritto processuale cit., vol. I, p. 482 ss.; A. ATTARDI, In tema di limiti oggettivi cit., p. 489 ss.; A. ATTARDI, In tema di questioni pregiudiziali cit., p. 190; F. D. BUSNELLI, Della tutela giurisdizionale cit., p. 220; C. CAVALLINI, Il rilievo d’ufficio cit., pp. 142-143; L. P.COMOGLIO –C.FERRI –M. TARUFFO, Lezioni cit., p. 762; C. CONSOLO, La Cassazione cit., p. 1426 ss.; C. CONSOLO, Oggetto del giudicato cit., p. 233; E. HEINITZ, Considerazioni attuali cit., p. 762; S. LA CHINA, La tutela giurisdizionale cit., p. 52 ss.; F. LOCATELLI, L’accertamento incidentale cit., p. 200; G. MASSETANI, Considerazioni schematiche cit., p. 339 ss., con riferimento alle sole ipotesi in cui l’oggetto del giudizio non sia un diritto principale, fondamentale o centrale nell’economia del contratto; L. MONTESANO, La tutela giurisdizionale cit., pp. 114-115; R. ORIANI, voce Eccezione cit., p. 285 (pare); S. RECCHIONI, Rapporto giuridico fondamentale cit., p. 1599 ss., spec. 1606; G. F. RICCI, Diritto processuale cit., p. 295; G. VERDE, Diritto processuale cit., vol. II, p. 294; G. VERDE, Considerazioni inattuali cit., p. 27. Devono, poi, ritenersi di analogo avviso tutti coloro che non effettuano distinzioni tra le diverse tipologie di pregiudizialità e che si limitano a delimitare i confini del giudicato richiamando l’art. 34 c.p.c.: cfr. V. ANDRIOLI, Diritto processuale cit., vol. I, p. 1004; E. GARBAGNATI, Questioni cit., pp. 267-268, 272-273; A. SEGNI, Tutela giurisdizionale cit., p. 348.

Si sono, così, individuate le due opposte tendenze che sono sorte, nel corso dei secoli, in tema di giudicato: da un lato, l’idea romana, che, non vedendo nel processo se non la formulazione d’una volontà di Stato diretta a riconoscere o disconoscere un bene della vita, restringe l’autorità della res iudicata entro i limiti rigorosi della domanda; dall’altro, la tendenza a estendere la cosa giudicata a tutte le questioni che il giudice risolve durante la causa, sotto l’influenza della concezione meramente logica del processo, sviluppatasi nella fase del processo germanico in Italia (cfr. G. CHIOVENDA, L’idea romana nel processo civile moderno, in Riv. dir. proc. 1932, p. 317, passim, spec. 331).

occupa espressamente di questioni pregiudiziali, senza – beninteso – operare alcuna distinzione tra le une e le altre (544).

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 190-197)