Parte II La metodologia e l’analisi dei dispositivi digitali nei muse
3 Metodo di analisi dell’integrazione topologica e narrativa dei disposit
3.4 Definizione degli elementi osservati nell’esposizione
Come è stato precedentemente osservato, un approfondimento delle dinamiche di integrazione topologica e narrativa dei dispositivi digitali all’interno delle strategie comunicative messe in atto dall’esposizione implica, necessariamente, che siano considerati tutti gli elementi che agiscono attivamente nel processo di mediazione culturale degli oggetti del patrimonio.
3.4.1
Analisi del dispositivo
Per identificare con precisione l’oggetto di osservazione e analisi, è necessario definire prima di tutto cosa si intenda per dispositivo nell’ambito dell’esposizione museale. Secondo Davallon (1999) il dispositivo, per essere definito tale, deve riferirsi a un oggetto culturale concreto e deve svolgere la sua funzione che consenta a questo stesso oggetto di funzionare come “fait de langage” (ibid p. 26) o meglio come parte di una narrazione e oggetto di comunicazione. In questo senso, il dispositivo evidenzia la sua dimensione comunicazionale e referenziale. Per dimensione comunicazionale facciamo riferimento alle strategie comunicative messe in atto da colui che progetta l’esposizione per consentire al visitatore di essere guidato nel processo di interpretazione dei
contenuti proposti. La dimensione referenziale rimanda alla possibilità esclusiva dell’esposizione museale di mettere in contatto il visitatore con un mondo “altro” o “utopico” attraverso la presenza di oggetti concreti che sono testimoni di questo mondo rappresentato56.
Nella definizione proposta possiamo sottolineare come sia necessario che il dispositivo si riferisca a un oggetto culturale concreto e non a una concezione astratta di esposizione. Il dispositivo, dunque, deve stabilire una relazione reale e fattiva con un oggetto del patrimonio. L’accento dato agli aspetti funzionali del dispositivo, nella seconda parte della definizione, ci permette di includere nella categoria non solamente un unico strumento ma piuttosto un insieme di elementi differenti tra loro (oggetti del patrimonio, pannelli, multimediali o insieme di supporti tecnici, come il sistema di illuminazione) che possano produrre un risultato coerente a livello comunicazionale e referenziale. Quando questi elementi, combinandosi tra loro, possono funzionare in modo sincronico e coerente per guidare l’interpretazione di un oggetto del patrimonio concreto al quale essi sono legati attraverso una strategia comunicazionale definita, in questo caso sono considerati elementi di uno stesso dispositivo. Nello svolgimento della ricerca sul campo si è fatto ricorso al termine “dispositivo digitale” nel caso in cui almeno uno degli elementi che costituiscono il dispositivo utilizzasse tecnologie digitali.
La relazione, sia spaziale sia di contenuto, con l’oggetto del patrimonio è presa in considerazione in rapporto al ruolo che essa svolge nel processo di interpretazione da parte del visitatore.
Per unità espositiva intendiamo una parte del percorso espositivo caratterizzato da un insieme di dispositivi e di oggetti del patrimonio che possano essere percepiti come un insieme coerente. La struttura stessa dell’esposizione, la sua organizzazione interna, mostra un’articolazione in unità, spesso tematiche, che possono essere percepite nel corso della visita attraverso indicatori museografici. La suddivisione formale in unità espositive può anche non trovare una diretta corrispondenza nell’articolazione tematica della struttura narrativa dell’esposizione o celarne alcuni aspetti che solamente un’analisi
56 Davallon introduce il concetto di “archéo-média” (1999, pp. 36-37) per definire l’esposizione come
media dalle caratteristiche peculiari perché prevede l’utilizzo di oggetti del patrimonio che derivano da un
mondo che l’esposizione intende comunicare, integrati con altri media dalle caratteristiche differenti e in cui il ruolo del visitatore nel processo di interpretazione è determinante. Questo contatto con gli oggetti del patrimonio, che non svolgono più solamente una funzione di testimonianza ma che hanno un ruolo di rappresentazione simbolica, permette al visitatore di partecipare concretamente al funzionamento del media espositivo.
approfondita del medium espositivo può mettere in luce57.
Per procedere a un’analisi della relazione che il dispositivo ha la possibilità stabilire tra oggetti del patrimonio e visitatore, si è scelto di adottare un approccio di tipo spaziale e pragmatico sviluppato da Davallon e Flon (2013). Questo approccio, che prende le mosse dalla considerazione dell’esposizione al pari di un medium58, permette di identificare due
contesti al cui interno si determina la produzione di significato:
− un “contesto spaziale” dell’allestimento dove la produzione di significato è definita dalla messa in esposizione di diverse sostanze semiotiche (oggetti, testi, pannelli);
− un “contesto pragmatico” della visita, cioè il modo in cui il visitatore è guidato dal medium espositivo nel processo di attribuzione di significato.
L’esposizione è considerata come uno spazio di incontro tra l’esigenza di rappresentazione da parte di colui che la concepisce e che si prefigge lo scopo di guidare l’interpretazione del visitatore, inteso come visitatore modello59, e il visitatore reale che nella sua esperienza di visita si trova a partecipare al funzionamento stesso del media espositivo.
Flon (2012) individua nella nozione di interpretante, secondo la teoria semiotica di Pierce, la risultante della combinazione dei due contesti che generano il processo di interpretazione del visitatore. L’interpretante si pone tra il dispositivo e l’interpretazione del visitatore, tra il contenuto del discorso espositivo e la sua ricezione. Si tratta dell’interpretazione del segno propriamente detto, prima che sia attualizzato e interpretato dal visitatore. Anche se apparentemente predeterminato dell’ideatore dell’allestimento, che, avendo come riferimento un visitatore modello, cerca di indirizzare il
57 Davallon (2006) propone un’analisi che approfondisca tre aspetti dell’esposizione quali:
individuazione degli strumenti museografici che permettono l’identificazione delle unità espositive; la comprensione della relazione che intercorre tra le diverse unità che compongono l’esposizione; la modalità con la quale è sollecitata la cooperazione del visitatore.
58 L’exposition « non seulement montrerait des choses, mais toujours indiquerait comment les regarder. L’exposition pourrait être ainsi abordée comme un média. N’est-ce pas en effet la caractéristique des médias que de présenter simultanément un contenu et un vecteur technique qui propose une manière d’appréhender ce contenu ? ». (Davallon 1999, p. 7)
59 Davallon (1999) e Flon (2012) fanno riferimento al concetto di visitatore modello rielaborando
quello di Lettore modello di Umberto Eco (1979). Essi considerano l’esposizione come un testo,
interpretato, secondo l’approccio di Eco, come un fatto di significato e di comunicazione, un’entità comunicativa che richiede di essere attualizzato attraverso un processo interpretativo.
suo processo interpretativo attraverso l’allestimento dello spazio espositivo, l’interpretante può andare oltre le sue intenzioni e contribuire a ottenere un effetto non auspicato. L’analisi semiotica permette di prevedere le condizioni in cui si svilupperà, in un secondo momento, l’interpretazione del visitatore di là delle scelte effettuate dall’ideatore dell’allestimento. La metodologia proposta fa riferimento a un approccio semio-pragmatico che ci permette di cogliere e analizzare quelle caratteristiche che determinano l’interpretante di un dispositivo (Flon, 2012). Questa metodologia consente di definire empiricamente un interpretante nel contesto espositivo attraverso l’analisi di due aspetti che si riferiscono prevalentemente alla dimensione comunicazionale del dispositivo: l’operatore di integrazione (in questo caso semiotica dei diversi segni) e l’operatore di traiettoria di lettura. Il primo, in effetti, corrisponde alla strategia comunicazionale dell’esposizione poiché fa riferimento all’elemento che struttura il contesto semiotico del dispositivo e che garantisce una coerenza enunciativa all’allestimento (contesto spaziale). Allo stesso tempo, l’operatore di integrazione sviluppa verso l’esterno un relazione con il contesto nel quale avviene la comunicazione, consentendo al visitatore di interagire con il dispositivo e di integrare le esperienze nel corso della visita (contesto pragmatico). L’operatore di traiettoria di lettura suggerisce al visitatore un ordine grazie al quale è possibile stabilire relazioni di subalternità tra gli elementi che compongono l’esposizione. Questa funzione orienta la percezione del visitatore e suggerisce una traiettoria di lettura che gerarchizza i differenti elementi. È possibile cogliere una relazione tra questi due aspetti del funzionamento semiotico del dispositivo: l’operatore di traiettoria, stabilendo delle modalità fruizione, rinforza, di fatto, la funzione dell’operatore di integrazione.
Per individuare queste dinamiche che riguardano prevalentemente la dimensione comunicazionale dei dispostivi selezionati, sono state previste nella guida di osservazione, elaborata per raccogliere i dati secondo un protocollo uniforme, alcune voci che rimandano
− alla relazione spaziale tra oggetto del patrimonio, dispositivo e visitatore; − alla ricerca di un coinvolgimento diretto del visitatore a livello comunicativo; − alla ricerca di un coinvolgimento diretto del visitatore a livello percettivo.
3.4.2
La relazione con la trama espositiva
approccio spaziale e pragmatico, un’analisi del contesto di applicazione del dispositivo digitale ha permesso di mettere in luce le relazioni intercorse con la trama narrativa dell’esposizione60. L’analisi di questo aspetto ha implicato uno studio approfondito per riconoscere l’organizzazione interna delle due esposizioni nella loro totalità
Per comprendere come l’utilizzo di dispositivi digitali influisca nella struttura delle due esposizioni è stato necessario spingersi al di là dell’osservazione generale per individuare, con estrema precisione, la struttura articolata o l’intreccio, utilizzando un termine preso in prestito dalla narratologia, che è alla base della trama narrativa. Non è sufficiente prendere in considerazione la struttura narrativa limitandosi a individuare in che modo il museologo ha organizzato il racconto espositivo, ma è necessario comprendere come l’insieme degli elementi che lo compongono operano nella creazione di significato durante la pratica di visita. Davallon (1999) propone un’analogia tra l’atto del pellegrinaggio e la visita museale partendo dal punto di vista del visitatore che entrando nel museo è spinto ad abbandonare progressivamente il mondo esterno da cui proviene per aderire progressivamente a un universo di valori gradualmente proposti dall’esposizione. È necessario dunque immaginare un livello superiore di operatività che vada oltre gli apporti specifici di ogni singolo dispositivo per comprendere gli effetti finali della pratica di visita sul visitatore. L’analisi spaziale e pragmatica non può prescindere dal considerare la posizione del singolo dispositivo all’interno della trama espositiva perché si rischierebbe di escludere l’apporto esperienziale del visitatore determinato dal suo “peregrinare” nel sistema dei valori proposto dall’esposizione, o meglio nel suo “mondo utopico”. Questa operatività dell’esposizione non è frutto di casualità ma della sua organizzazione che delega alla combinazione di diversi fattori (come l’allestimento, i contenuti veicolati e le strategie di comunicazione messe in atto) la possibilità di creazione di un sistema di valori a cui il visitatore è invitato ad aderire.
Nei due musei archeologici selezionati per la ricerca sul campo, si è ritenuto necessario, per esigenze diverse, procedere all’analisi di tutto il percorso espositivo61. Nel Museo Archeologico di Grenoble – Saint Laurent la mediazione dei contenuti proposti è
60 Emma Nardi (2010, p. 37) identifica ciò che qui definiamo “trama narrativa” come “racconto”
nell’esplicitazione dell’analogia tra esposizione e testo letterario “La complessità del museo si esprime nel passaggio dagli oggetti (le parole), alla loro collocazione museografica e museologica immediata (la frase),al discorso complessivo espresso dalle collezioni e dal contenitore (il racconto)”.
61 Nel caso dei Musei Capitoli si fa riferimento all’intera sezione dedicata al Tempio di Giove
per lo più delegata ai dispositivi digitali, la cui disposizione spaziale determina la struttura stessa dell’esposizione, caratterizzata da una museografia discreta. In questo caso si è proceduto all’analisi dettagliata dei contenuti proposti da ciascun dispositivo. Nella Sezione dei Musei Capitolini, la posizione del dispositivo digitale alla fine del percorso espositivo ha obbligato a prendere in considerazioni aspetti diversi delle precedenti unità espositive. In questo secondo museo, l’articolazione dell’allestimento, che integra un maggior numero di tipologie di strumenti di mediazione, ha determinato la scelta di procedere a un’analisi su più livelli che prendesse in considerazione in primo luogo caratteri formali generali per identificare via via le singole unità espositive (Davallon 2006).