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Parte I La mediazione culturale nei musei archeologici su sito

2 Tecnologie digitali per la mediazione culturale nei muse

2.2 Le tecnologie digitali al servizio del museo archeologico su sito

2.2.1 Virtualità digitale

Con questa espressione ci si riferisce genericamente alle infinite potenzialità di attuazione di un elemento attraverso l’utilizzo di un computer, in modo più specifico alla possibilità di veicolare molteplici informazioni attraverso canali di comunicazione differenziati (testo, immagini, sonoro).

Nel contesto specifico della comunicazione museale, grazie alla virtualità digitale è possibile disporre di elementi che, non essendo vincolati dalle reali categorie di spazio e di tempo, possono facilitare la creazione di infinite tipologie di contenuto.

Utilizzando la classificazione degli elementi testuali della mediazione culturale nei musei proposta da Emma Nardi (2011), le tecnologie digitali permettono di integrare facilmente gli elementi peritestuali con infiniti contenuti epitestuali, senza condizionare il progetto museografico dell’esposizione. In altre parole, se immaginiamo l’applicazione di un dispositivo connesso alla rete, si potrebbe considerare la possibilità di accedere a tutte

le informazioni paratestuali di un oggetto del patrimonio all’interno di uno spazio espositivo.

Le potenzialità delle nuove tecnologie relative a questa categoria sono state presto esplorate dai musei grazie alla diffusione degli strumenti multimediali i cui effetti sull’apprendimento non sono certo esclusivamente dovuti a una maggiore quantità di contenuti disponibili, ma anche all’organizzazione dello spazio virtuale e alla combinazione dei diversi canali comunicativi multimodali (Maragliano, 2004; Mammarella, Cornoldi, Pazzaglia, 2005; Mayer, 2009).

2.2.1.1 Fonti archeologiche e dispositivi digitali

La ricerca archeologica ha sempre integrato numerose modalità di raccolta delle informazioni: testuali, riferite per esempio ai diari di scavo; visive, come quelle delle rappresentazioni delle piante, alzati o manufatti. La diffusione delle tecnologie digitali ha radicalmente cambiato la metodologia della ricerca archeologica negli ultimi anni. La possibilità di informatizzare dati provenienti dalla ricerca sul campo ha permesso da un lato di raccogliere un maggior numero di informazioni e di elaborare molto rapidamente una grande quantità di dati, registrati secondo parametri condivisi e univoci, dall’altro di creare scambi e integrazione di dati provenienti da diversi siti investigati, così da agevolare interpretazioni di ricostruzioni di paesaggi per diverse fasi cronologiche (De Felice, Sibilano, Volpe, 2008). L’integrazione di immagini, come fotografie e riproduzioni planimetriche geo referenziate, con dati di scavo riportati su database informatici, ha favorito la creazione di sistemi integrati, come i GIS (Geographical Information Sistem) che hanno rappresentato un vero cambiamento nella possibilità di interpretare lo sviluppo della presenza antropica in un determinato territorio. L’utilizzo di strumenti tecnologici ha interessato direttamente le pratiche della cosiddetta archeologia d’emergenza, che oggi rappresenta una delle realtà più diffuse di indagine archeologica del sottosuolo soprattutto in contesti urbanizzati. La possibilità di informatizzare i dati raccolti sul campo e di geo-localizzare la documentazione grafica delle aree coinvolte sta accrescendo un database di informazioni sulle aree metropolitane che consentirà di convogliare frammenti di presenze archeologiche attestate in luoghi e momenti diversi in un’unica narrazione.

La digitalizzazione dei dati raccolti dalle campagne di scavo archeologico ha inoltre cambiato l’aspetto delle pubblicazioni scientifiche di settore, che presentano oggigiorno

un maggior numero di apparati grafici, frutto di elaborazioni computazionali. La loro disponibilità in formato digitale ha facilitato l’impiego di queste fonti archeologiche nel contesto della divulgazione archeologica e della comunicazione museale. Possiamo, ad esempio, riferirci alla grande diffusione delle ricostruzioni virtuali che offrono la possibilità di vivere un’esperienza percettiva di immersione in realtà archeologiche di cui emergono pochi resti, o di tutte le ricostruzioni digitali che sono ormai ampliamente utilizzate nelle esposizioni archeologiche (Gianoglio, 2011). Molti musei archeologici integrano diverse fonti della ricerca, digitali e analogiche, in applicazioni multimediali che favoriscono la comprensione dell’evoluzione storica dei siti presentati (Milella, 2010).

Come accaduto durante l’introduzione dei primi sistemi di catalogazione informatica per i musei statunitensi negli anni ’60, così la digitalizzazione dei dati archeologici ha comportato la possibilità di una maggiore condivisione tra i vari esperti del settore. Ogni ricostruzione archeologica è il frutto di interpretazioni che si basano su dati raccolti sul campo e a cui si dovrebbe poter accedere in ogni momento. Questa possibilità era in passato limitata dall’accesso alle pubblicazioni specialistiche che avevano comunque una diffusione riservata agli addetti ai lavori, mentre oggi, anche grazie anche alla rete, ogni utente potrebbe ripercorre il processo di interpretazione dei dati raccolti grazie a portali che facilitino l’accesso a questo tipo di informazioni. In questo modo il visitatore può avere l’occasione di individualizzare e rinforzare il processo interpretativo della sua esperienza di visita (Dallas, 2007).

A proposito dell’utilizzo delle fonti dell’archeologia, Dallas scrive:

“It is primacy of objects and space, suitable for visual presentation, and the cross-disciplinary nature of archaeology that makes it interesting as an application field for multimedia” (Dallas et al. 1993, p. 118-119).

Nei musei archeologici il reperto ha un ruolo centrale: su di esso si depositano significati indispensabili nella ricostruzione storica e culturale di una civiltà. Il reperto scoperto e documentato in giacitura originale diventa fonte di informazioni preziose per la ricostruzione della storia di un sito. I reperti che invece hanno perso questo tipo di informazioni possono essere comunque considerati come prodotto dell’uomo in un determinato luogo e durante uno specifico momento storico o come portatori dei valori che la società ha proiettato su di essi nel tempo. Il museo deve quindi favorire la

comunicazione della complessità dei valori nascosti nelle testimonianze archeologiche: la possibilità di presentare al visitatore molteplici approcci allo studio del reperto attraverso l’utilizzo di dispositivi digitali ne rappresenta un valido sostegno.

2.2.1.2 Individualizzazione della comunicazione

Nel dibattito museologico, da alcuni anni si preferisce utilizzare il termine “pubblici”, volutamente al plurale, per indicare i fruitori del museo e per sottolineare la necessità di prevedere strategie comunicative che tengano conto delle diverse tipologie di visitatori (Nardi, 2011). La ricerca sua musei ha sperimentato diverse forme di indagine per ricostruire un profilo dei visitatori e dei non-visitatori. Come indica Solima (2012)

“Il pubblico dei musei, che sino a qualche anno fa appariva alla stregua di un aggregato di individui nebuloso e indistinto, dai contorni sfuggenti e dai contenuti insondabili, sta invece progressivamente prendendo forma e consistenza. Grazie alle analisi sulla domanda, se ne può cogliere la struttura interna e si è potenzialmente in grado di osservare i cambiamenti intervenuti nel tempo” (p. 29).

Nell’ambito dell’educazione informale, gli studi sulle pratiche di frequentazione dei musei hanno cercato di identificare i modi in cui i visitatori sono portati a stabilire una relazione con l’esposizione e i fattori che incidono maggiormente sull’esperienza di visita a livello di stili diversi di apprendimento, di esperienze precedenti alla visita, di atteggiamenti e predisposizioni (Nardi, 2004; Gibbs, Sani, Thompson, 2007; Gottesdiener, 2008; Eidelman, Gottesdiener, Le Marec, 2013).

Falk e Dierking (1992) propongono un “modello contestuale di apprendimento” con il quale sottolineano come nella costruzione dell’esperienza museale di ogni visitatore concorrano diversi fattori che influiscono in modo diacronico (prima, durante e dopo la visita): il contesto personale, come conoscenze pregresse e predisposizione affettiva, il contesto socio-culturale di provenienza e il contesto fisico inteso come rapporto percettivo all’interno dello spazio museale. Come afferma inoltre Montpetit:

“La culture de chacun est le dernier territoire où opèrent des médiations : c’est, au final, dans le projet de soi e au travers la culture personnelle des visiteurs que s’élabore le sens des expériences vécues auprès des patrimoines” (2011, p. 229).

digitali permettono di prolungare l’esperienza museale oltre la singola visita e di arricchire il contesto spaziale espositivo attraverso l’utilizzo di elementi multisensoriali (Falk, Dierking, 2008).

Inoltre, esse offrono la possibilità di individualizzare non solo la scelta dei contenuti ma anche il grado di approfondimento e la loro modalità di trasmissione

“By providing an in-depth and varied level of interpretation, such multimedia tours can be of great support to the visitor’s learning process. […] Furthermore, multimedia application can be designed to support different learning styles of methods, to empower the visitor in asking questions and widening understanding, as well as to stimulate interaction, exchange, and participation” (Filippini-Fantoni, Bowen, 2008, p. 81).

L’individualizzazione della comunicazione è stata ritenuta determinante per un cambiamento di prospettiva nella mediazione culturale nei musei perché ha contribuito ad ampliare notevolmente la possibilità di creare opportunità di educazione informale e di lifelong learning, favorendo anche attività di consolidamento successive all’esperienza in museo (Bounia, Economou, 2012)45. La possibilità di variare i contenuti trasmessi dal museo a seconda delle esigenze personali dei visitatori favorisce l’utilizzo di queste nuove tecnologie anche in ambito di educazione formale o non-formale. In un contesto di educazione formale, la flessibilità nel processo di comunicazione permette di adattare l’offerta didattica alle competenze e alle conoscenze pregresse dell’alunno, modulandola secondo specifiche strategie didattiche e fornendo i prerequisiti necessari alla piena fruibilità dell’esperienza in museo (Vertecchi, 1996; Hawkey, 2004).

Tra i contenuti paratestuali che possono essere integrati all’esposizione attraverso l’utilizzo di dispositivi digitali, assumono grande rilevanza quelli che permettono di condividere con il visitatore un sistema di codici che gli consentano di dischiude i molteplici significati che sono attribuibili a un’opera o a un reperto archeologico, come ad esempio il codice iconografico. Allo stesso modo il dispositivo digitale permette di ricostruire la trama dei contesti che legano il reperto al luogo e al tempo del suo utilizzo,

45 Nardi (2011, pp. 31-32) riassume i benefici dell’apprendimento informale in quattro effetti: consapevolezza

e conoscenza, intesa come acquisizione implicita della conoscenza e cambiamento degli schemi sociali; impegno e interesse che possono influire sul processo di apprendimento favorendo il superamento dell’ansia

di prestazione legata all’educazione formale; atteggiamenti, nei confronti della stessa istituzione museale o

delle future occasioni di apprendimento; comportamenti e abilità in termini di sperimentazione delle proprie

della sua scoperta o delle sue molteplici interpretazioni e influenze nel corso della sua storia fino alla sua musealizzazione (Antinucci, 2004)46.