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Art 34 della Carta dei diritti fondamentali: i servizi sociali di interesse generale come presupposto, in tempo di crisi, per la costruzione di una cittadinanza sociale europea?

2. I SERVIZI D’INTERESSE GENERALE NEI TRATTATI E NEL DIRITTO DERIVATO: UN QUADRO COMPLESSO

2.1 Ruolo dei SIG in Europa, una visione di insieme 1 Art 14 TFUE

2.1.4 Art 34 della Carta dei diritti fondamentali: i servizi sociali di interesse generale come presupposto, in tempo di crisi, per la costruzione di una cittadinanza sociale europea?

La crisi economica globale, iniziata nel 2008, ha destabilizzato i sistemi di welfare nazionali in tutta Europa. La scarsità di risorse ha condotto ad una politica, poco condivisibile, di drastici tagli alla spesa pubblica a detrimento di tutti i settori, con effetti particolarmente sfavorevoli per sistemi di sicurezza sociale e servizi alla persona. La classe politica, per determinare nuove entrate, ha deciso di aumentare l’imposizione fiscale a discapito di imprese, professionisti e cittadini, contribuendo ulteriormente, in questo modo, all’arresto e alla contrazione dei mercati. Nonostante le misure adottate dai governi, il livello di povertà in Europa è elevato, le possibilità di trovare un’occupazione regolare e/o adeguata al proprio background formativo e conoscitivo

92 Questi concetti sono presenti in diverse Comunicazioni della Commissione, tra le quali: il Libro Verde

sui “servizi di interesse generale”, COM(2003)270 def., e la Comunicazione sui “servizi di interesse generale” del 2007, COM(2007)725 def. V. anche Risoluzione del Parlamento europeo del 5 luglio 2011 sul futuro dei servizi sociali di interesse generale. Per quanto riguarda il concetto di project bond, si tratta di titoli direttamente collegati alla realizzazione e sfruttamento economico di un’opera.

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scarse. Considerando l’odierna composizione dell’Unione europea nonché il recente allargamento verso Est, emergono, inoltre, preoccupanti divari sociali tra gli Stati membri. È indubbio che qualsiasi sistema di protezione sociale comporta dei costi in termini economici per gli Stati membri che, soprattutto oggigiorno, devono confrontarsi con una situazione quasi strutturale di mancanza e/o scarsità di risorse. Da ciò, la necessità di ridefinire il concetto di

welfare, nel tentativo di renderlo maggiormente pluralistico, con la partecipazione di nuovi attori

sociali – Stato, mercato, terzo settore e collettività – e fondato sul concetto di inclusione sociale attiva, con il conseguente superamento dell’approccio meramente assistenzialistico, costoso e non più sostenibile.

In uno scenario europeo di questo tipo è utile interrogarsi sul valore, anche giuridico, dell’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali, rubricato per l’appunto “Sicurezza sociale e assistenza sociale” che, in una visione oltremodo ottimistica e per certi aspetti utopica, sembrerebbe porre le basi per un “diritto di welfare” di cui diviene titolare la persona legalmente residente in Europa.

L’art. 34 della Carta, rubricato “Sicurezza sociale e assistenza sociale” è, del resto, determinante in materia di servizi sociali di interesse generale; lo stesso così dispone: “1. L’Unione riconosce

e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali. 2. Ogni persona che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali. 3. Al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali”.

Anche per l’art. 34 della Carta valgono le limitazioni considerate per l’art. 36, come visto, sebbene la Carta abbia il medesimo valore giuridico dei trattati ex art. 6 TUE, concretamente, molti sono gli ostacoli che si frappongono ad una sua significativa applicazione. Senza tornare sul punto, già chiarito nei paragrafi antecedenti, è bene ricordare che la Corte di Giustizia, anche in riferimento all’art. 34 della Carta, mantiene un approccio piuttosto tradizionale e poco innovativo, a conferma ancora una volta di come il catalogo dei diritti non sia entrato appieno nell’arsenale argomentativo della giurisprudenza europea. Normalmente, infatti, l’art. 34 della Carta non è presente nelle motivazioni delle decisioni della Corte e singolare è il fatto che, al

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contrario, sono, anche in questo caso, gli Avvocati Generali e i giudici nazionali del rinvio a considerare questo articolo come parametro interpretativo di riferimento.

Dalla lettera dell’articolo, come accade per lo stesso articolo 36, emerge un forte richiamo, in materia di previdenza e assistenza sociale, alle tradizioni comuni degli Stati membri e alle legislazioni nazionali.

Accanto al riconoscimento del “diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali” incontriamo sempre la cornice entro la quale il diritto è tutelato: “secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali”. La Carta lascia, appunto, nelle mani del legislatore nazionale o dell’Unione la definizione in concreto di situazioni soggettive che pure eleva al livello di diritti, attuando, come già visto, una tutela “multilivello”. Merita approfondimento, invece, la prospettiva dei giudici nazionali che, in alcune interessanti pronunce interne all’ordinamento italiano, si occupano dell’applicazione dell’art. 34 della Carta. Sin da ora, è opportuno premettere che le pronunce italiane che richiamano l’art. 34 della Carta considerano ambiti molto diversi. L’art. 34 è richiamato soprattutto nelle motivazioni di controversie che concernono il problema dell’immigrazione.

Tra le sentenze più significative in materia di applicazione, nell’ordinamento interno, dell’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali, vi è indubbiamente il giudizio presso la Corte d’appello di Firenze, Sezione Lavoro, del 29 maggio 2007, riguardante una domanda di assegno sociale (indennità di accompagnamento per invalidità civile) da parte di una cittadina extracomunitaria. La cittadina si vede rifiutare dall’Inps l’erogazione dell’assegno sociale per mancato possesso della carta di soggiorno, nuovo requisito introdotto dall’art. 80, comma 19, L. 388/2000, che modifica il precedente regime stabilito dall’art. 41 del T.U. immigrazione, in base al quale per l’erogazione delle prestazioni assistenziali al cittadino extracomunitario è necessario il solo requisito del permesso di soggiorno93.

Il Giudice d’appello ritiene la norma interna contrastante con l’ordinamento comunitario e la CEDU e decide per la disapplicazione della stessa. La motivazione della sentenza è fondamentale per quanto riguarda il rapporto intercorrente tra fonti italiane e internazionali. Tuttavia, ciò che interessa, in questo caso, è il riferimento che il giudice fa alla Carta dei diritti fondamentali e le sue considerazioni sull’art. 34. Si noti che questa sentenza è anteriore

93 L’attuale art. 41, invece, adeguandosi alla giurisprudenza che si è sviluppata sul punto, prevede che “gli

stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti”.

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all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ma la prospettiva del giudice interno è prodromica rispetto al nuovo art. 6 TUE.

Secondo il giudice, nella Carta di Nizza, si rinviene la ricognizione/affermazione di tutte le categorie dei diritti fondamentali della persona, compresi quelli sociali. Il giudice menziona il forte impulso che la Carta ha dato nel porre al centro della riflessione e dello stesso agire politico delle istituzioni comunitarie il tema dei diritti fondamentali, soprattutto per quanto riguarda la indivisibilità di essi in tutte le accezioni: diritti civili, politici, sociali ed oltre.

La Carta non è soltanto un documento politico, né tantomeno la mera “rappresentazione simbolica” del “progetto” di costituzione di una “società europea”, il “luogo” in cui bisogni, aspettative, interessi, diritti assumono dignità e reclamano tutela. Essa, nel rappresentare senza alcun dubbio il catalogo più aggiornato e ragionato di quello che configura il “precipitato” storico e valoriale di qualche secolo di esperienza politica, sociale e giuridica del continente europeo nel suo complesso, ha anche affermato con nettezza l’universalismo di alcune di queste posizioni fondamentali.

Secondo il giudice, l’inciso conclusivo dell’art. 34 della Carta, “conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali”, non può certo compromettere i principi generali dell’ordinamento comunitario né la tenuta effettiva delle discipline nazionali che si pongano in contrasto con l’incrocio multilivello delle normative di garanzia e tutela.

In dottrina, infatti, si è rilevato come l’obiettivo avuto di mira dagli estensori della Carta sia certamente più ampio ed impegnativo di quanto già previsto dall’ordinamento comunitario in tema di libera residenza e libera circolazione: l’art. 34, par. 2, è teso, in altri termini, a realizzare all’interno dell’Unione una “situazione di (seppur minima) eguaglianza materiale tra tutti

coloro, cittadini e non, che a vario titolo…vi risiedono”, coloro cioè che, avendo titolo per

risiedere all’interno dell’Unione europea, “hanno diritto alle risorse materiali per condurre

un’esistenza dignitosa”.

La natura di diritto sociale fondamentale delle prestazioni assistenziali rappresenta, pertanto, secondo l’organo giudicante, sicuro acquis dell’ordinamento europeo. Ed il valore non più soltanto assiologico e politico delle enunciazioni dei principi e dei diritti sociali individuali e collettivi della Carta di Nizza si coglie oramai anche dal richiamo ad essa operato su numerose materie dalla Corte di Giustizia di Lussemburgo94, la quale pertanto, anche se in via indiretta, è

94 Sentenza 27 giugno 2006, Parlamento c. Consiglio, C-540/03; sentenza 13 marzo 2007, Unibet, C-

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giunta a conferire alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea un ruolo molto prossimo a fonte sovraordinata omologa ad un testo costituzionale95.

L’art. 34 della Carta, al di là dei passi in avanti che si sono avuti sia sul piano europeo che nazionale, non pone le basi per un diritto perfettamente giustiziabile di welfare. Il nuovo valore giuridico ex art. 6 TUE della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non ha trovato ancora giusto eco nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e la Carta subisce le forti limitazioni interpretative di cui agli articoli 51 e 52. I giudici nazionali sembrano, per certi aspetti, maggiormente pronti a conferire alla stessa il giusto valore giuridico e interpretativo conseguente alle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, ma la strada verso un generale cambiamento di prospettiva appare ancora lunga.

È evidente inoltre che, in una situazione di crisi come l’attuale, il concetto “diritto di welfare”, che emerge dall’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali, sembra ancor più vacillare. Ciò traspare maggiormente in un sistema che, guidato da illuminate teorie internazionali ed europee di uguaglianza e di rispetto dei diritti umani, professa ideali di ‘protezione sociale’ e assistenza per tutti, ma non è in grado concretamente di far fronte alle esigenze e ai bisogni sociali di chi legittimamente risiede in Europa e tantomeno di chi è cittadino europeo.

Eppure, gran parte della dottrina che si è occupata e/o si occupa di servizi di interesse generale, e nello specifico di servizi sociali di interesse generale, vede in questi servizi un “motore” di rinnovamento e crescita. La stessa Commissione europea, nelle proprie Comunicazioni in materia, e le varie istituzioni europee, mediante proprie Risoluzioni, hanno più volte ribadito l’importanza di questi servizi e del loro corretto funzionamento per uscire dalla crisi economica e sociale che ha colpito l’Europa96. Tali servizi sono pilastri fondamentali nella costruzione del concetto di cittadinanza sociale europea; proprio per questo è necessario trovare valide soluzioni per l’implementazione, lo sviluppo e il miglioramento qualitativo degli stessi.

Il concetto di cittadinanza sociale europea, in realtà, non riguarda solamente i servizi sociali di rilevanza non economica, ma tutta la categoria dei servizi pubblici. In questo modo, tale cittadinanza si sviluppa ricomprendendo non solo i diritti civili-politici, ma anche l’accesso, l’organizzazione, la ditribuzione dei cd. “public goods”. Il nesso tra cittadinanza, diritti sociali e servizi pubblici è ormai acquisito e ciò è evidente soprattutto se si considera il fenomeno di progressiva equiparazione dei servizi sociali ai servizi di interesse economico generale.

95 Cfr., per quanto riguarda le pronunce italiane che considerano l’art. 34 della Carta dei diritti

fondamentali, Cassazione penale n. 44318/2010; Tribunale di Bolzano, 16/11/2010; Corte d’Appello di Milano, sez. lav., 21/9/2007.

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L’accesso ai servizi di interesse economico generale costituisce un fondamentale fattore di inclusione sociale in grado di far emergere la figura del cittadino-utente. La cittadinanza sociale europea rappresenta, quindi, un corollario del più ampio concetto di cittadinanza dell’Unione di cui agli articoli 20-25, parte II, del TFUE e agli articoli 39-46, capo V, della Carta dei diritti fondamentali. Ciò comporta la necessità di immaginare un welfare sovranazionale capace di dettare in maniera uniforme un nucleo minimo di garanzie97.

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