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Servizi sociali e livelli di governo alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione ad opera della L cost 3/2001 Un sistema sociale improntato alla piena sussidiarietà verticale e

in Emilia Romagna, servizi per le persone disabili”

1. SERVIZI SOCIALI IN ITALIA, VERSO IL PLURALISMO SOCIALE

1.3 Servizi sociali e livelli di governo alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione ad opera della L cost 3/2001 Un sistema sociale improntato alla piena sussidiarietà verticale e

orizzontale

La L. cost. 3/2001 conferma, nel combinato disposto degli articoli 117 e 118 della Costituzione un sistema sociale improntato alla piena sussidiarietà verticale ed orizzontale445. La L. 328/2000, seppur antecedente alla riforma costituzionale del 2001, è prodromica di tale prospettiva, dal momento che la sua logica è fondata su una ‘doppia sussidiarietà’: quella verticale tra lo Stato, le

445 Cfr. sul sistema di ripartizione delle competenze in materia sociale Felici M., Tassa E., Politiche

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Regioni e gli Enti Locali e quella orizzontale tra le istituzioni pubbliche e le organizzazioni del privato sociale.

Il principio di sussidiarietà verticale, in riferimento all’ambito sociale, si delinea a partire dall’art. 117 della Costituzione.

Per quanto concerne la materia dell’assistenza sociale e socio-sanitaria, essa è attribuita in via residuale alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni ai sensi dell’art. 117, comma 4, della Costituzione e il suo finanziamento è di competenza della nuova autonomia finanziaria degli Enti territoriali prevista all’art. 119 della Carta Costituzionale.

Tuttavia, allo Stato sono attribuiti una serie di strumenti per salvaguardare l’unità e indivisibilità del sistema nonostante le diversità regionali. In particolare, l’art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione prevede una competenza legislativa esclusiva statale nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Lo Stato detiene, inoltre, la competenza a legiferare sul coordinamento della finanza pubblica446, nel dare applicazione a un fondo perequativo senza vincolo di destinazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante447 e nel destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, volti anche a promuovere la coesione sociale, rimuovere gli squilibri economici e favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona448.

L’art. 120, comma 2, della Costituzione, infine, prevede un intervento sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni e degli Enti Locali volto ad assicurare il pieno dispiegamento della tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili.

La sussidiarietà orizzontale in ambito sociale, invece, trae fondamento dall’art. 118 della Costituzione. Esso, infatti, dopo aver attribuito in via tendenziale tutte le funzioni e compiti amministrativi ai Comuni - salvo che, per assicurare l’esercizio unitario, siano conferite ai livelli di governo territoriale superiori, sulla base dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione – prevede che “ Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni

favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Tale articolo, pur sancendo a

livello costituzionale un principio cardine dell’organizzazione amministrativa, ha minore valenza innovativa di quanto si potrebbe pensare in ambito sociale, soprattutto se si pensa che ha dispiegato effetti su un settore già riformato, oltre che dalla legge quadro 328/2000, dal D. Lgs.

446 Art. 117, comma 3, della Costituzione. 447 Art. 119, comma 3, della Costituzione.

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112/1998 (provvedimento di attuazione della L. 59/1997), dal Testo Unico degli Enti Locali (D. Lgs. 267/2000) e dal D. Lgs. 229/1999 in materia di integrazione socio-sanitaria.

Ad una serie di provvedimenti, dunque, che hanno favorito un lento processo di decentramento di competenze (federalismo amministrativo) si è affiancato un progressivo ampliamento della partecipazione del privato sociale (associazioni appartenenti al cd. terzo settore e cittadini, singoli o associati) nella definizione delle politiche, nella programmazione e gestione dei servizi nel territorio: è prevista infatti la partecipazione delle stesse all’interno della nuova organizzazione del sistema di welfare.

Il principio di sussidiarietà orizzontale, tuttavia, non mette in alcun modo in discussione l’intervento pubblico in materia di servizi sociali, né lo subordina all’insufficienza di quello privato. Ciò è evidente, oltre che dalla lettera degli articoli fin d’ora richiamati, dal fatto che l’attività assistenziale svolta dai privati, per finalità economiche ovvero per motivazioni di tipo etico nel caso delle organizzazioni senza scopo di lucro, si è dimostrata inidonea, negli anni passati, a soddisfare pienamente il contenuto del diritto all’assistenza garantito dall’art. 38, comma 1, della Costituzione449 e dagli articoli 2 e 3 della Costituzione450, che ne sono alla base. Il compito fondamentale dei poteri pubblici è confermato, del resto, dalla riforma del Titolo V della Costituzione attraverso la previsione della competenza legislativa statale per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali, che devono essere garantite in modo omogeneo sul territorio nazionale. Al riguardo sono necessarie alcune precisazioni.

La competenza statale nella determinazione dei LIVEAS trova per antecedente l’art. 9, comma 1, lett. b), della L. 328/2000 laddove stabilisce che spetta allo Stato la “individuazione dei livelli

essenziali ed uniformi delle prestazioni”, con la conseguenza che allo Stato deve essere

riconosciuta la funzione di armonizzare la rete di tutela sociale che si intende assicurare alla comunità nazionale, favorendo l’attuazione di un generale principio di coesione sociale.

448 Art. 119, comma 5, della Costituzione.

449 Sull’argomento v. Albanese A., op. cit., pp. 111-120. L’art. 38 della Costituzione dispone quanto

segue: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale (comma 1). I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria (comma 2). Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale (comma 3). Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato (comma 4). L'assistenza privata è libera (comma 5)”.

450 In essi sono determinati i principi personalistico, pluralistico e solidaristico (art. 2 della Costituzione) e

il principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione). Sugli articoli della Costituzione in materia di assistenza e sui diritti sociali v. Rossi E., I diritti sociali nella prospettiva della sussidiarietà verticale e circolare, in Vivaldi E., op. cit., pp. 29-58.

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Il concetto di livello essenziale è difficile da definire; si tratta infatti di una nozione relativa e ‘magmatica’ e, per di più, come visto, lo Stato non ha ancora provveduto a determinare con un proprio atto normativo i livelli essenziali di assistenza relativi al settore dei servizi sociali e le uniche definizioni sono quelle dettate dalla L. 328/2000 e dal Piano sociale nazionale, emanato nel 2001 in base a tale normativa e poi non più rinnovato451.

La norma sui cd. livelli essenziali rappresenta una garanzia del rispetto da parte delle Regioni degli standard di prestazioni, fissati a livello nazionale, indispensabili a garantire l’uniforme godimento dei diritti civili e sociali sul territorio nazionale. Tuttavia, se da un lato la legislazione regionale non può limitare o condizionare le prestazioni che devono essere garantite a tutti, dall’altro, è stato osservato che, al di là degli standard minimi fissati a livello nazionale, le Regioni mantengono piena titolarità ed autonomia per introdurre trattamenti differenziati452. È compito dello Stato, dunque, predisporre e garantire meccanismi perequativi tutte le volte che le differenziazioni regionali vengono a ledere i principi costituzionali fondamentali, le esigenze di uguaglianza sostanziale e i diritti sociali453.

1.4 LIVEAS (Livelli essenziali di assistenza sociale)

La nozione dei livelli essenziali di assistenza, meglio noti con l’acronimo LIVEAS, ha fatto ingresso nella materia dell’assistenza sociale con la L. 328/2000 che, come visto, ha costituito un evento di portata storica, poiché per la prima volta è stata emanata una legge organica nazionale che ha posto ordine nel settore dei servizi sociali.

Nel 2001 tale nozione è entrata anche a far parte della stessa Costituzione italiana che, nella versione riformata dell’art. 117, comma 2, lett. m), prevede per lo Stato una potestà legislativa esclusiva in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i

diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. La norma mira

a garantire un livello di uguale godimento dei diritti sociali e civili in tutto il territorio nazionale, demandando alle Regioni la definizione delle modalità di organizzazione dei servizi e la possibilità di prevedere livelli ulteriori di assistenza454.

451 Trucco L., Livelli essenziali delle prestazioni e sostenibilità finanziaria dei diritti sociali, in

http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2013/05/TruccoDEF.pdf

452 Pessi R., Il diritto del lavoro tra Stato e Regioni, in Arg. dir. lav., 2002, p. 84. 453 Albanese A., op. cit., pp. 108-109.

454 Non bisogna dimenticare, tuttavia, che il concetto di “livello essenziale” era comunque da tempo

presente nel nostro ordinamento sanitario con i cosiddetti livelli essenziali di assistenza (LEA), a partire dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.

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Per comprendere concretamente che cos’è un livello essenziale, si può considerare, a titolo esemplificativo, l’ipotesi del diritto all’educazione e allo sviluppo cognitivo dei bambini e il diritto alle pari opportunità dei loro genitori. Determinando un LIVEAS a questo proposito si potrebbe stabilire che tutti i bambini fino a una determinata età (poniamo tre anni) i cui genitori rispondono a precisi requisiti (ad esempio: entrambi sono occupati dal punto di vista lavorativo oppure formano nuclei monogenitoriali) abbiano il diritto di accedere a servizi socio-educativi (quali asili nido, nidi-famiglia, cure prestate da baby-sitter accreditate, erogazioni monetarie per accesso a servizi privati, ecc.) che rispondono a prefissati criteri di qualità; che i loro genitori partecipino ai costi del servizio in base a criteri prefissati in modo comunque da garantire loro effettivamente l’accessibilità del servizio; che siano informati sui servizi disponibili e sostenuti nelle procedure di scelta; che abbiano a disposizione precisi strumenti (ricorsi, sanzioni a carico degli enti responsabili, ecc.) per tutelare i loro diritti.

Questo sarebbe il livello essenziale; naturalmente niente impedirebbe alle Regioni o agli altri Enti Locali di estendere il diritto o l’accesso a queste prestazioni anche a bambini che si trovano in altre condizioni455.

L’approvazione della normativa sopra richiamata ha suscitato un ampio dibattito sul significato da conferire alla parola “essenziale”. Si sono sviluppati sul punto due diversi orientamenti: il primo considera “essenziale” ciò che è necessario, indispensabile a soddisfare un determinato e specifico bisogno sociale, quindi strettamente dipendente dalla condizione della persona verso cui si dirige la prestazione456; il secondo ritiene che significhi minimo, cioè di base, compatibilmente con le risorse finanziarie457.

Quest’ultima interpretazione, che àncora la definizione di essenzialità alla disponibilità di risorse economiche pubbliche, rischia di svilire la portata del citato art. 117 della Costituzione, che svincola l’effettivo godimento dei diritti sociali dalle risorse economiche.

In questo dibattito è intervenuto un documento del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, pubblicato nel febbraio 2004, con il titolo Livelli essenziali delle prestazioni nel settore

dell’assistenza458, il quale intende chiarire la distinzione tra “nucleo essenziale del diritto” e “livello essenziale delle prestazioni”. Le parole utilizzate nel documento sono le seguenti: “il

nucleo essenziale del diritto ed il livello essenziale delle prestazioni non sono sinonimi,

455 La definizione di LIVEAS e l’esempio citato è ripreso dal contributo di Gualdani A., LIVEAS (Livelli

essenziali di assistenza sociale) in Agg. Soc., 2011, settembre-ottobre, pp. 624-627;

456 Grimaldi, I livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali tra autonomia, unità

ed uguaglianza, in Filangieri, 2004.

457 Si parla al riguardo di idea “relativa” del contenuto essenziale del diritto sociale v. Albanese A., op.

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nonostante la concomitanza dell’aggettivo; in particolare nel settore dei diritti sociali il nucleo essenziale può essere considerato sinonimo di quel livello di prestazioni al di sotto del quale viene meno la garanzia costituzionale e che pertanto risulta essere un livello irrinunciabile […]; di conseguenza il livello essenziale risulta essere qualcosa in più rispetto al livello minimo del diritto”. Da ciò emerge chiaramente che la garanzia dei livelli essenziali dei diritti sociali non

dovrebbe essere inficiata dalla scarsità di risorse economiche. In realtà, nonostante questa prospettiva maggiormente garantista, le disposizioni legislative che hanno seguito la riforma costituzionale, a partire dalla Legge finanziaria 2003, hanno purtroppo confermato la natura finanziariamente vincolata delle prestazioni sociali, normalmente attraverso il rinvio ai limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali.

L’art. 22 della L. 328/2000 configura due gradi di livelli essenziali; il primo, al comma 2, è definito dagli interventi che “costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili

sotto forma di beni e servizi secondo le caratteristiche ed i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale”, quali misure di contrasto alla povertà e sostegno al reddito,

interventi di sostegno a favore di minori, disabili, anziani, tossicodipendenti e altre categorie vulnerabili.

Il secondo grado, individuato al comma 4, è costituito dalle prestazioni la cui erogazione le leggi regionali devono comunque prevedere: “servizio sociale professionale e segretariato sociale per

informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari; servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari; assistenza domiciliare; strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali; centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario”.

L’art. 22 ha innegabilmente un carattere innovativo, anche se presenta al contempo un limite: esso non individua concretamente il contenuto delle prestazioni e non risponde perciò all’esigenza di garantire un diritto all’assistenza sociale uniforme in tutto il territorio nazionale, in conformità al principio di uguaglianza. Si limita infatti a una mera elencazione generale delle misure e degli interventi, demandando conseguentemente alla pianificazione nazionale e regionale il compito di specificare le caratteristiche e i requisiti delle prestazioni essenziali. Il Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003, predisposto ai sensi dell’art. 18 della L. 328/2000, dedica il par. 1 della Parte III ai livelli essenziali delle prestazioni sociali, individuando tre aspetti dei quali tener conto nella determinazione dei LIVEAS: il primo aspetto concerne le aree di intervento e ha l’obiettivo di individuare i destinatari delle prestazioni e i 458 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, I livelli essenziali delle prestazioni nel settore

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relativi bisogni; il secondo riguarda l’individuazione della tipologia dei servizi e delle prestazioni in riferimento ai quali determinare i livelli essenziali; il terzo si riferisce ai criteri organizzativi e di erogazione di servizi e delle prestazioni, ossia alle modalità con cui i LIVEAS vengono garantiti. Il Piano Nazionale 2001-2003, tuttavia, non ha rappresentato una svolta decisiva per quanto riguarda la determinazione concreta dei LIVEAS, non fornendo alcuna chiarificazione in merito alla tipologia dei servizi e delle prestazioni e limitandosi a rinviare genericamente alle disposizioni dalla L. 328/2000.

Nonostante siano passati quasi quindici anni dall’approvazione della riforma costituzionale, lo Stato non ha provveduto alla determinazione legislativa dei livelli essenziali delle prestazioni a tutela dei diritti civili e sociali. La mancata definizione dei livelli essenziali impedisce ai titolari di un diritto di pretendere l’erogazione delle prestazioni, inficiandone per questo l’effettivo godimento.

Nel corso degli anni le Regioni hanno tentato di rimediare a tale mancanza, individuando in autonomia ed episodicamente alcuni dei livelli essenziali, contribuendo in questo modo a svuotare l’intento egualitario del testo costituzionale.

La mancata attuazione della disposizione costituzionale sulla determinazione dei LIVEAS causa una serie di conseguenze negative, in primis mette a rischio l’intento di creare un sistema uniforme su tutto il territorio nazionale e rende vana la previsione di ulteriori livelli regionali. Le ragioni dell’inerzia legislativa sono plurime: la difficoltà di procedere ad una standardizzazione delle prestazioni sociali; il problema rappresentato dalla mancanza/scarsità di risorse da destinare al sistema dei servizi sociali e il timore di non essere economicamente in grado di erogare le prestazioni individuate attraverso i livelli.

Un’ulteriore ragione potrebbe ritrovarsi nel rapporto tra determinazione dei LIVEAS ed esigibilità dei diritti: in mancanza della definizione del contenuto dei livelli essenziali, si svuota di fatto l’obbligo del soggetto pubblico di fornire le prestazioni a prescindere dalla disponibilità di risorse. La mancata determinazione dei LIVEAS sarebbe dunque legata al permanere di quell’orientamento che interpreta come finanziariamente condizionati i diritti dei destinatari delle prestazioni socio-assistenziali459.

L’inerzia del legislatore statale comporta come conseguenza il fatto che le proclamazioni dei diritti dei destinatari dei servizi, contenuti nei testi legislativi emanati di volta in volta dalle Regioni, rischiano di tradursi in mere enunciazioni formali, di scarso interesse e utilità per coloro (amministratori e operatori del privato sociale) che devono tradurle in prestazioni concretamente erogabili ed esigibili. È necessario proprio per questo un incisivo intervento dello Stato che,

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attraverso l’individuazione dei LIVEAS, funga da collante per la realizzazione di un welfare omogeneo a livello nazionale, ai fini di una garanzia uniforme dei diritti di tutti i cittadini460. 1.5 Il finanziamento dei servizi sociali nel sistema italiano

Il sistema integrato di interventi e servizi sociali a cui fa riferimento la L. 328/2000 non riguarda esclusivamente i servizi, gli interventi e le relative strutture di erogazione, ma anche il finanziamento delle prestazioni sociali461, qualificato all’art. 4 della legge-quadro come

“plurimo”, in quanto vi concorrono con competenze differenziate e con dotazioni finanziarie

afferenti ai rispettivi bilanci, Enti Locali (Comuni), Regioni e Stato. Tali interventi finanziari si integrano attorno ad un centro unitario di imputazione di risorse, che l’art. 20 individua nel Fondo nazionale per le politiche sociali (F.N.P.S.), istituito nel 1997462.

In base alla previsione originaria dell’art. 20 della L. 328/2000, alla spesa sociale doveva provvedere in primo luogo il Fondo nazionale per le politiche sociali (F.N.P.S.), con una concorrenza in termini di competenze e dotazioni finanziarie di Enti Locali, Regioni e Stato. Il F.N.P.S. doveva essere annualmente alimentato dallo Stato tramite legge finanziaria e arricchito anche con contributi e donazioni eventualmente versati da privati, enti, fondazioni,

460 Sui livelli essenziali concernenti le prestazioni degli utenti dei servizi sociali v. Gualdani A., op. cit.;

Balboni E., Baroni B., Mattioni A., Pastori G., Il sistema integrato di interventi e servizi sociali, Milano (Giuffrè), 2007, 2; Balboni E., “I livelli essenziali e i procedimenti per la loro determinazione”, in Le Regioni, 2003, 6, pp. 1183-1198; Costa G., La solidarietà frammentata. Le leggi regionali sul welfare a confronto, Milano (Mondadori), 2009; Gualdani A., I servizi sociali tra universalismo e selettività, Milano (Giuffrè), 2007; Ranci Ortigosa E., Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni, in P.S.S., Milano 2008; Simoncini A., “Non c’è alternativa alla leale collaborazione. Dalla Corte le prime indicazioni su regolamenti del Governo e “livelli essenziali” nelle materie regionali”, in Le Regioni, 2003, 6, pp. 1199-1218; Torchia L., “Sistemi di welfare e federalismo”, in Quaderni cost., 2002, 4, pp. 713-740; Vecchiato T., “Principi e criteri per confrontare modelli di welfare”, in Studi Zancan - Politiche e servizi alle persone, 2001, 1, pp. 40-59; Chiesa O., La misura minima essenziale dei diritti sociali: problemi e implicazioni di un difficile bilanciamento, in Giur. Cost., 1998, p. 1180; Massa Pinto I., Il contenuto minimo essenziale dei diritti costituzionali e concezione espansiva della Costituzione, in Dir. pubbl., 2001, p. 1095; Pinelli C., Sui “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, c. 2, lett. m. Cost.), in Dir. pubbl., 2002, p. 892; Luciani M., La tutela dei livelli essenziali di assistenza, in I livelli essenziali di assistenza nella Costituzione, doveri dello Stato, diritti dei cittadini, Roma 12 marzo 2002; Luciani M., I diritti costituzionali tra Stato e Regioni, in San. Pubbl., 2002, p. 1026; Panunzio S., Modifiche al titolo V della Costituzione e i livelli essenziali delle prestazioni civili e sociali, in I livelli essenziali di assistenza nella Costituzione, doveri dello Stato, diritti dei cittadini, Roma 12 marzo 2002.

461 Codini E., Fossati A., Frego Luppi S.A., op. cit., pp. 58-74; Bezze M., Vecchiato T., Livelli essenziali

di assistenza sociale: finanziamento, costi, equità distributiva, in Studi Zancan, 2010, 6; Degrassi L., Il finanziamento della politica sociale tra esigenze di unitarietà e problemi settoriali, in Dir. econ., 2003, 2- 3, pp. 209-237.

462 Degrassi L., Articolo 20 (Fondo nazionale per le politiche sociali), in Balboni E., Baroni B., Mattioni

A., Pastori G. (a cura di), Il sistema integrato dei servizi sociali. Commento alla legge n. 328/2000 e ai provvedimenti attuativi dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, Milano (Giuffrè), 2007.

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organizzazioni, anche internazionali, e da organismi dell’Unione europea. In base a tale prospettiva, si sarebbe potuto contare su un sistema di risorse pubbliche integrate tra Stato, Regioni ed Enti Locali, ma anche su eventuali entrate di origine sovranazionale e persino privata. In base all’iniziale progetto della L. 328/2000, il sistema di finanziamento dei servizi sociali doveva fondarsi su tre principi: il principio di composizione plurima dell’entrata (appena menzionato), il principio di contestualità tra risorse e livelli essenziali e il principio di procedimentalizzazione della spesa.

Per quanto concerne il secondo principio, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali doveva essere deliberata nello stesso momento in cui venivano individuate le risorse finanziarie necessarie al loro sostegno.

In riferimento alla procedimentalizzazione della spesa, invece, essa doveva essere scandita e disposta con un decreto del Ministro del welfare, sentiti i ministri interessati, d’intesa con la Conferenza unificata Stato, Regioni, Città, in modo tale che ogni anno le risorse del F.N.P.S. fossero ripartite con il consenso dei destinatari. I criteri di riparto erano: struttura demografica, livello di reddito e condizioni occupazionali della popolazione. Una quota del fondo doveva

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