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Il disagio delle seconde generazion

5 Conclusioni: uno sguardo complessivo sui casi nazional

5.3 Il disagio delle seconde generazion

Seppur con diversi distinguo, in tutti i casi nazionali finora esaminati la situazione di forte disagio che colpisce con particolare forza questa le minoranze immigrate, è sfociata in violente sommosse che hanno come teatro le grandi città. La famosissima rivolta delle banlieue del 2005, ultima in ordine di tempo in Francia che ha conosciuto questi eventi già a partire dal 1950, ha come protagonisti i giovani, figli o nipoti d’immigrati, in gran parte originari delle ex colonie dell’Africa. I beurs, come preferiscono definirsi, o i magrebini, come li appellano dispregiativamente in Francia, sono cittadini francesi a tutti gli effetti e per un mese hanno messo a ferro e fuoco Parigi, dando il via a una rivolta che si è estesa in tutto il paese. Questa vicenda però                                                                                                                

non interessa solo la Francia, anche l’Inghilterra non è nuova a questi avvenimenti, i riots delle «minoranze etniche» sono più volte scoppiati nei sobborghi di Londra, gli ultimi in ordine di tempo nel 2011 e in città come Manchester, Liverpool e Birmingham. Non ultima la Svezia, che dopo le rivolte degli anni settanta pensava di essere immune al fenomeno e invece nel maggio 2013 ha visto scoppiare delle rivolte in alcuni quartieri periferici a nord di Stoccolma. Tutto ha avuto inizio vicino a Husby, dove ci sono stati una serie di scontri tra la polizia e dei giovani che hanno anche appiccato una serie di incendi, e si è propagata poi nelle zone di Norsborg, Älvsjö e fino alla città di Malmö, nel sud del paese. Non è un caso che anche in questi episodi tutto sia partito da un quartiere dove l’80% dei residenti proviene da altri paesi o è figlio di genitori immigrati. Nel caso di questi giovani è anche vero che un limite del sistema svedese, è quello di rendere facile il rimanere intrappolati in rapporti di dipendenza dall'assistenza sociale e così si rivela difficile entrare nel mercato del lavoro ostacolando di fatto il processo di integrazione. Molti dei giovani coinvolti non avevano un lavoro e avevano abbandonato la scuola. Queste sommosse hanno portato alla luce delle problematiche che in molti ignoravano e hanno costretto la Svezia ad interrogarsi sulle proprie politiche di integrazione, sulla stampa internazionale molti si sono anche spinti ad affermare che il modello multiculturalista svedese fosse inesorabilmente fallito. Al di là delle facili affermazioni sui fallimenti di certe scelte politiche, è necessario riflettere sul perché tre paesi tanto diversi per storia, tradizione, configurazione societaria e politica si siano ritrovati, a distanza di anni, a dover affrontare lo stesso problema. Oggi è tutto l’occidente che si ritrova costretto ad interrogarsi sul multiculturalismo e l’integrazione. Solo l’Italia, fino ad oggi, non ha sperimentato manifestazioni tanto violente da parte degli immigrati. Sul perché il nostro paese non sia stato ancora interessato da simili episodi sono state fatte diverse ipotesi. Uno dei motivi è che l’Italia essendo tra quei paesi considerati di recente immigrazione, si trova ad avere a che fare con nuove generazioni di migranti che sono ancora molto giovani e iniziano ad affacciarsi come attori sulla scena italiana solo negli ultimi anni, cosa che non si può dire per la Francia dove si parla già di terze generazioni e che da tempo è costretta da interrogarsi sulla loro reale integrazione. Le periferie italiane comunque, nonostante siano interessate da una minore conflittualità, non sono per questo meno a rischio. Nonostante ciò, una ricerca condotta dal Professor Vincenzo Cesareo mostra come il

disagio e il malessere che pur vivono gli immigrati nelle periferie non è al momento tale da portare agli episodi di violenza che si sono verificati negli altri paesi. Diversi sono i motivi che portano la ricerca a trarre queste conclusioni: innanzitutto l’espansione delle periferie italiane intorno alle grandi città non ha seguito lo stesso percorso che è riscontrabile in altri casi e l’immigrazione ha trovato varie e differenti forme di radicamento sul territorio. Inoltre, “il degrado e l’immigrazione in Italia – pur tendendo a cumularsi - non sembrano ancora coincidere: gli immigrati vivono più spesso nel degrado abitativo ma hanno un accesso al lavoro, seppur non raramente precario, che la prima generazione accetta comunque, perché in ogni caso migliore della condizione nella quale viveva nel paese d’origine”176. Non si sono quindi verificate, fino a questo momento, tutta quella serie di condizioni che hanno portato all’esplosione del malessere nelle periferie delle altre città europee. Mentre per le altre nazioni, in questi nuovi conflitti urbani entrano sicuramente in gioco molte dimensioni, non solo quella etnica, ma anche sociale, generazionale, culturale, religiosa, che ne rendono complessa l’analisi delle cause e le possibili soluzioni. Uno dei motivi è certamente da ricercare nella stratificazione su basi etniche della società, nella segregazione sociale oltre che territoriale nella quale sono costretti a vivere gli immigrati per mancanza di opportunità o di scelta. Questo costituisce un terreno fertile per l’esplosione di conflitti, insieme anche all’alto tasso di disoccupazione e di abbandono scolastico che affligge i giovani immigrati molto più dei nativi e questo porta a delle differenze economiche e sociali tra autoctoni e immigrati molto accentuate. È stato sicuramente più facile rispondere a queste manifestazioni violente e agli atti di vandalismo con il pugno di ferro e la repressione, attraverso controlli di polizia e racial profiling, anche come forma di rassicurazione nei confronti della popolazione locale che tende a mal sopportare la presenza degli immigrati ed è solita assumerli come capri espiatori di situazioni di disagio e di degrado, che hanno cause che non per forza sono riconducibili all'arrivo degli stranieri. Anzi, molto spesso l’immigrazione è una dimostrazione di problemi in realtà già esistenti poiché tende a portarli allo scoperto e ad evidenziarli. Quasi sempre il disagio urbano preesiste all’immigrazione stessa. E quando le periferie vengono                                                                                                                

176 Vincenzo Cesareo, “Per un’integrazione possibile: processi migratori e periferie urbane”, intervento al

convegno «Processi migratori e integrazione nelle periferie urbane. Per un'integrazione possibile» presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, 10 maggio 2010.

popolate da flussi di immigrati in periodi relativamente brevi, l’integrazione si fa più difficile anche per gli autoctoni. Viene così a mancare uno degli aspetti-obiettivo che Zincone individua alla base del processo di integrazione “un’interazione positiva, o almeno a basso conflitto tra minoranze immigrate, da una parte, e maggioranze e minoranze nazionali, dall’altra”.177 Perché fondamentalmente, non bisogna mai dimenticare che sono due i soggetti coinvolti nei processi di integrazione: da una parte gli immigrati, con le loro caratteristiche, i loro sforzi e il loro adattarsi, e dall’altra la società di accoglienza con le sue reazioni nei confronti di questi nuovi arrivati (Penninx, 2011). Costruire buoni rapporti interculturali tra i nativi e gli immigrati è un obiettivo importante che dovrebbe guidare le azioni politiche di tutti i soggetti interessati a far funzionare il processo di integrazione. Il successo di questo dipenderà anche dal tipo di comunicazione e dall’immagine che i discorsi politici e pubblici veicoleranno dell’immigrazione.