3) Le politiche per l’integrazione
3.3 Le contraddizioni del modello assimilazionista repubblicano francese e il «le mal-être des banlieues»
3.3.2 Le rivendicazioni degli immigrati e l'affaire du voile
Tra il 1981 e il 1993 la situazione in Francia con la vittoria della sinistra alle elezioni subisce un cambiamento, come abbiamo visto in precedenza. Ma, nonostante durante la campagna elettorale la gauche avesse promesso di difendere i diritti e i propositi d’integrazione degli immigrati stabilitisi in Francia, mantiene comunque il principio della chiusura delle frontiere. Questo doppio piano della politica francese, possibilista sull’integrazione e irreprensibile negli ingressi, si scontra però con il fatto che gli immigrati stessi riconsiderando il proprio progetto di vita in Francia, sollevano la questione della loro identità confessionale. “La laicità dello stato, che esclude il riconoscimento di qualunque particolarismo culturale o religioso, è uno dei simboli più enfatizzati del modello repubblicano francese”93. Questa politica oggi si trova ad affrontare i malcontenti dei migranti che tendono a formare comunità etniche in opposizione con l'ideale assimilazionista. È fisiologico che una tale tradizione nel corso del tempo abbia dovuto fare i conti e in parte ridefinirsi alla luce delle richieste e delle rivendicazioni religiose e culturali degli immigrati, in particolare con quelle del gruppo numericamente più rilevante: i magrebini e i loro discendenti. I diritti rivendicati dagli immigrati “prendono spesso la forma di un tentativo di rinegoziare i termini dell’integrazione stessa, attraverso la concessione di spazi per ricreare alcune delle condizioni culturali del loro paese d’origine (abbigliamento, religione, modalità di
preparazione del cibo e così via – diritti polietnici)”94. Una corrente di pensiero che si è sviluppata in Francia su questo argomento, è la convinzione che le vecchie ondate migratorie (da Paesi come Italia, Polonia, Spagna, Belgio) siano ormai completamente integrate nella società francese, al contrario di quelle più recenti che provengono da paesi come il Maghreb e l'Africa. Considerati troppo distanti culturalmente, gli immigrati interrogavano in profondità l’identità francese. Per alcuni, soprattutto a sinistra, la loro “assimilazione” è mal riuscita perché faceva il verso a una visione del mondo sorpassata, retaggio di un’ormai superata stagione coloniale; altri, soprattutto a destra, la considerano impossibile perché gli immigrati, soprattutto quelli di confessione mussulmana, sono “portatori” di un sistema di costumi e di credenze incompatibili con la tradizione francese. Proprio per questo motivo ultimamente la visibilità degli immigrati, soprattutto di provenienza nordafricana, ha assunto in Francia un nuovo profilo riguardo alle emergenti difficoltà d’integrazione: il paese si trova a dovere gestire un mosaico culturale al quale prima, nella prospettiva della “francesizzazione”, veniva anche riconosciuta una scarsa legittimità. Un tema centrale della discussione tuttora in corso è stato la questione del velo nelle scuole della repubblica, un problema politico che a partire dal 1998 a fasi alterne ha caratterizzato il dibattito pubblico mettendo in discussione il modello di integrazione nazionale. In realtà la questione è più ampia e non riguarda solo il velo, preso a pretesto e posto al centro di una campagna mediatica imponente, che nasconde al suo interno un sentimento di intolleranza e pregiudizio molto più forte contro l’Islam che nei confronti di altre confessioni. La sempre maggior visibilità di certi simboli "islamici" nel territorio francese, ha portato a sollevare da più parti la questione del velo integrale. Nel 2003 a seguito del dibattito scaturito da queste preoccupazioni, e che coinvolgeva su fronti opposti le istituzioni repubblicane e le organizzazioni islamiche, il presidente Chirac aveva nominato una commissione che si occupasse di formulare delle proposte a tutela del principio della laicità delle istituzioni. Proprio da questi pareri nasce la norma del 10 febbraio 2004 che proibisce di ostentare simboli di appartenenza religiosa nella scuola pubblica (ad eccezione dell’università) e che è stata immediatamente ribattezzata “legge sul velo”. In
94 Emanuela Ceva, Universalismo repubblicano e politiche multiculturali: modelli di cittadinanza a
confronto in, Multiculturalismo alla francese? Dalla colonizzazione all’immigrazione, (A cura di) D. Costantini, Firenze, University Press, 2009, pp. 11.
pratica, indossare il burqa o il niqab nelle scuole pubbliche, è considerato incompatibile con i valori repubblicani e secolari del paese. L'interpretazione del velo come simbolo identitario, di affiliazione, di rivendicazione, di scelta o imposizione, insiste sull'idea della sottomissione, imposizione e repressione della femminilità e della persona (Marchi 2010). La normativa, che interessa non solo i musulmani, ma ad esempio anche la comunità sikh, i cui uomini non possono portare il turbante, o gli ebraici che non possono indossare la kippah. Questo non è bastato perché fosse ugualmente interpretata come una legge anti-islamica e, esacerbasse il dibattito sulla dinamica tra dimensione privata e dimensione pubblica riguardo ai processi di integrazione. Sebbene la questione del velo integrale coinvolga una parte minima degli immigrati di religione musulmana, è considerato una delle condotte inaccettabili contro le quali prendere dei drastici provvedimenti. Per argomentare la contrarietà a questa pratica, si sposta inoltre l'attenzione sulla dignità non solo femminile, ma umana, che sarebbe oltraggiata. Questo “implica anche l'affermazione di un punto di vista che si vuole neutrale e non discriminatorio nei confronti dell'islam, anche se si combatte un'usanza comunque attribuita ai musulmani.”95 Nel 2009 fu istituita una commissione su proposta dal deputato André Gérin che approfondisse la discussione sull’uso del velo integrale sul territorio nazionale, fu preceduta da audizioni di sindaci, di associazioni di difesa dei diritti delle donne, di religiosi, di specialisti dell'islam, sociologi e giuristi tra gli altri. Tra le premesse del rapporto scaturito dopo sei mesi di lavori, viene posto l’accento, in particolare sulla questione dei diritti delle donne e dell'importazione in Francia di tradizioni culturali o d'ideologie che tentano di imporre un rapporto uomo-donna fondato sulla dominazione, la pressione e anche la minaccia: tutto ciò che la Repubblica non può accettare. È innegabile l’impostazione dispregiativa di questo lavoro nei confronti di questa pratica, che viene definita la punta dell’iceberg dietro la quale si nasconde l’integralismo fondamentalista.
“Il montre aussi avec précision en quoi le port du voile intégral porte atteinte aux trois principes qui figurent dans la devise de la République: liberté, égalité, fraternité. Le voile intégral est une atteinte intolérable à la liberté, à la dignité des femmes. C’est la négation de l’égalité des sexes,
95 Alessandra Marchi (2010), La Francia e l’islamofobia, Jura Gentium,
de la mixité dans notre société. C’est finalement la volonté d’exclure les femmes de la vie sociale et le rejet de notre volonté commune de vivre ensemble”96.
Il rapporto mira a dimostrare il carattere coercitivo e repressivo che il portare il velo implica e anche nel momento in cui si riconosce un'autonomia decisionale alla donna, la sua scelta di portare il velo integrale è comunque letta come servitù volontaria. Nell’interpretazione di questa scelta si va oltre la sottomissione, viene vista come una vera e propria sfida ai valori repubblicani da parte di queste donne che sono per la maggior parte cittadine francesi. Nonostante queste premesse, nel rapporto si precisa che non c’è stata unanimità tra i membri per quanto riguarda l’adozione di una legge che vieti l’utilizzo del velo integrale nello spazio pubblico, anche se resta fortemente raccomandata. Si è quindi preferito redigere una proposta di risoluzione che “riaffermi la preminenza dei valori repubblicani sulle pratiche comunitarie e condanni l'uso del velo integrale come contrario a questi valori” (pp. 187 Rapport D’information N°2262). Lo strumento giuridico della risoluzione è indicato come più appropriato perché fornisce dei suggerimenti, e permette al Parlamento di pronunciarsi su un determinato soggetto ed in tempi rapidi. Si auspica comunque l’adozione di misure repressive attraverso una legge, combinata a operazioni di sensibilizzazione e di educazione al rispetto reciproco e alla mediazione. La risoluzione votata, non ha ovviamente parere vincolante, ma un forte significato simbolico che contiene in sé l’intolleranza e la violenza tipica dell’approccio francese nei confronti di ogni manifestazione della pluralità culturale. “La violenza che la nazione repubblicana rivolge verso i particolarismi culturali che la attraversano appare allora come una condizione indispensabile di questo rispetto, un necessario effetto collaterale del progetto politico nazionale e del rigido individualismo sul quale si fonda”97.
96 Rapport D’information au nom de la mission d’information sur la pratique du port du voile intégral sur le territoire national, N°2262, Assemblée Nationale Constitution du 4 octobre 1958 Treizième
Législature Enregistré à la Présidence de l'Assemblée nationale le 26 janvier 2010.
97 A cura di D. Costantini, Multiculturalismo alla francese? Dalla colonizzazione all’immigrazione,