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Il superamento dei modelli e il tramonto del multiculturalismo

3) Le politiche per l’integrazione

3.2 Il superamento dei modelli e il tramonto del multiculturalismo

La messa in discussione dei modelli e il ripensamento delle politiche sull’immigrazione derivano, secondo Bertossi, da delle rotture che riguardano questi modelli, in particolare quello francese e inglese. La prima rottura è esterna e riguarda lo Stato-Nazione, in particolare la crisi dello spazio nazionale come «vivere insieme», la distribuzione delle risorse del welfare, l'accesso a parità di diritti, la mediazione tra istituzioni e cittadini, e “la configurazione del potere nel contesto dell'integrazione europea, la globalizzazione (compresa l'internazionalizzazione delle migrazioni ), l'erosione confini tra interno ed internazionale dopo la fine della Guerra fredda (anche quando si tratta di identità culturali o religiose come l'Islam )”77. La seconda rottura Bertossi la individua all’interno dei modelli di integrazione. Questi ultimi non sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi o non sono stati in grado di adattarsi alle mutevoli questioni sociali e politiche legate all’integrazione dei migranti e delle minoranze etniche. Per quanto riguarda il versante francese, la cecità repubblicana sull’etnicità non ha mai permesso di riconoscere il divario «razziale» che si è formato nella società francese, rifiutandosi di affrontare direttamente la discriminazione, e il distacco sempre più significativo tra le istituzioni pubbliche e le popolazioni immigrate non si trovano quasi mai rappresentate. Mentre in Gran Bretagna, la lotta contro la discriminazione è un obiettivo centrale delle politiche di integrazione ma questo non impedisce comunque i rapporti conflittuali tra le minoranze e la polizia o la loro sotto-rappresentanza nelle istituzioni politiche nazionali (Bertossi, 2007). La crisi di fiducia più evidente che ha colpito entrambi questi modelli, ma non solo questi paesi, è certamente rappresentata dalle rivolte delle banlieue del novembre 2005 per quel che concerne la Francia, in Inghilterra nel 2001 fu la volta di Bradford, Oldham e Harehills a Leeds, e nel 2005 gli attentati di Londra. Tutte queste                                                                                                                

rivolte erano accomunate dalla rivendicazione da parte delle minoranze all’accesso a una piena cittadinanza, che non fosse solo sulla carta. Una terza rottura è possibile individuarla nell'intersezione delle prime due, nelle conseguenze della crisi dello spazio nazionale e dei modelli di integrazione. Mentre il principio nazionale è in crisi, la resistenza a definire la cittadinanza nelle società multiculturali è una costante in tutti i paesi europei, in particolare nei vecchi paesi di immigrazione e questo certamente ha influito nel fallimento dei modelli di integrazione. Inoltre i migranti e in particolare minoranze etniche e religiose sono identificati come i responsabili della mancata integrazione. La crisi del «vivere insieme» è percepita dall'opinione pubblica, ma c’è certamente la manipolazione di argomenti come immigrazione e Islam e la risposta politica è quella di un ritorno all’identità nazionale. L’esigenza di rispondere a questo tipo di crisi è probabilmente il fattore più potente di convergenza a livello europeo nel trattamento di questioni relative all'integrazione dei migranti. Esso è accompagnato da un’altra simmetria visibile in Europa: i soggetti ai quali vengono rivolte le politiche di integrazione vengono sono identificati in base alla loro nazionalità d'origine (nordafricani in Francia) o etnia (asiatici e neri in Gran Bretagna) in tutto il mondo sono ora classificati come «musulmani».

I modelli nazionali di riferimento vengono spesso smentiti dalle politiche locali, che si discostano nella pratica dalla retorica pubblica con l’attivazione di iniziative spesso in controtendenza con l’impostazione data dalla politica. Le politiche locali assumono quindi sempre più importanza e giocano di conseguenza un ruolo fondamentale nel processo d’integrazione, poiché intervengono in molteplici settori che spaziano dalle misure a sostegno di famiglie, disoccupati, dall’edilizia sociale agli asili nido, dai servizi sociali alle cure mediche, erogando così prestazioni sul territorio fondamentali. Si rivelano, in molti casi, più inclusive rispetto a quelle pensate in astratto dai politici, arrivando a costituire dei veri e propri «laboratori d’innovazione» che, si pongono in aperto contrasto rispetto all’impostazione data dai provvedimenti dello stato centrale. Non sempre, ovviamente, si tratta di casi virtuosi: esistono anche esempi di amministrazioni locali che in contrapposizione con la normativa nazionale, attuano politiche di esclusione volte talvolta a limitare i benefici di cui potrebbero godere gli immigrati e altre ad emarginarli dal punto di vista sociale. È naturale che sia proprio a livello locale che si manifestano le contraddizioni più importanti tra quello che i modelli

nazionali si propongono di fare e come invece vengono realmente messi in pratica, nella vita di tutti i giorni, quando ci si trova a dover risolvere i problemi della convivenza tra autoctoni e stranieri. “Categorie differenti di immigrati […] hanno sempre ricevuto trattamenti specifici sia nell’accesso ai diritti e quindi le policies dirette a loro non sempre hanno coinciso con il modello generale”78. Per questo “le politiche adottate dai governi urbani acquistano un valore esemplare, nell’affrontare quotidianamente, sul territorio, le sfide della trasformazione della società in senso multietnico”79. Il discorso pubblico sulle politiche migratorie e sulle contraddizioni interne ai modelli di integrazione, ha portato a una inevitabile riflessione sul multiculturalismo, imputato di essere la causa delle problematiche sulla coesistenza di culture diverse emerse negli anni. Il fallimento del multiculturalismo, ripudiato da tutti i politici delle maggiori potenze europee, è dovuto principalmente all’accusa di essere la causa della creazione di comunità separate all’interno delle società di accoglienza e della mancata integrazione delle minoranze immigrate. Questa sconfessione pubblica ha avuto inizio subito dopo l’atto terroristico del 2001 ed è proseguita con l’attentato di Madrid nel 2004 e l’omicidio di Theo Van Gogh nello stesso anno. Questi ed altri eventi che si sono succeduti, seppur di natura diversa, hanno goduto di un’ampia copertura mediatica sia a livello locale che internazionale. Per vari motivi, “tutti sono stati presentati come prova che il multiculturalismo ha fallito e/o che era pericoloso per la società”80. In particolare, la diversità etnica e culturale delle società europee è stata presentata come una minaccia per la coesione sociale, soprattutto nelle città e nei quartieri ad alta densità di immigrati. Tutto questo discorso ha portato a una virata delle politiche europee verso misure spiccatamente neoassimilazioniste. La soluzione proposta da questo approccio a questi problemi, sarebbe quella di esigere che gli immigrati ei loro discendenti siano conformi alle norme e ai «valori» europei prima di ottenere diritti politici, economici o sociali (Martiniello, 2014). Con una pretesa di adattabilità sociale, di adesione ai valori della società di accoglienza e di prerequisiti di integrabilità da verificare mediante test di lingua o apposite prove di educazione civica, in realtà governi predispongono un vero                                                                                                                

78  Giovanna Zincone, Immigrazione: segnali di integrazione, sanità, scuola e casa, Il Mulino, 2009, pp.

35.

79 A cura di Maurizio Ambrosini, Governare città plurali. Politiche locali di integrazione per gli immigrati in Europa: Prima parte, Milano, Franco Angeli, 2012.

80  Marco Martiniello, Diversification artistique et politiques culturelles dans les villes multiculturelles, 7

marzo 2014, http://sociologies.revues.org.    

e proprio sistema di controllo sull’immigrazione, che serve sostanzialmente per selezionare gli immigranti più «desiderabili». I contratti di integrazione introdotti da molti paesi si muovono appunto in questa direzione. Perché l'obiettivo principale è proprio quello di raggiungere la conformità o la loro assimilazione culturale totale. La mobilitazione dei gruppi di minoranza intorno a questioni d’identità e la loro resistenza all’assimilazione è stata più interpretata come un tentativo di stabilire una sorta di dittatura delle minoranze contro la maggioranza della popolazione.

3.3 Le contraddizioni del modello assimilazionista repubblicano francese e il