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L’avanzata dei partiti nazionalisti e xenofob

5 Conclusioni: uno sguardo complessivo sui casi nazional

5.4 L’avanzata dei partiti nazionalisti e xenofob

L’argomento immigrazione soffre da sempre di un'eccessiva politicizzazione e di una mediatizzazione che produce allarmismo e inquietudine nell'opinione pubblica, soprattutto nei confronti dell'immigrazione musulmana, bersagliata da discorsi intrisi di razzismo, dalla criminalizzazione dei clandestini, alla minaccia di invasione da parte dell’Islam. In particolare questo tipo di dialettica è stata fatta propria da una parte politica, soprattutto dai partiti di estrema destra. L’avanzata di queste formazioni politiche ultranazionaliste è un fenomeno che preoccupa tutti i paesi dell’eurozona che si ritrovano a dover fare i conti con dei movimenti che fino a pochi anni fa non avevano nessuna legittimazione politica mentre adesso siedono in parlamento e continuano a guadagnare consensi. Sono tutti accomunati non solo da programmi anti-immigrati e da spinte nazionaliste, ma anche da proclami di rivolta fiscale, opposizione all'Europa e alla moneta unica. Ne sa qualcosa la Francia, che alle ultime elezioni comunali ha avuto la conferma di quanto l’avanzata del Front National non fosse un exploit occasionale                                                                                                                

ma continua a crescere ad ogni tornata elettorale. L’ottima prestazione del partito di Marine Le Pen, che raggiunge eccellenti progressi sia nelle aree urbane che rurali, mostrando così una presenza che si consolida sempre di più a livello territoriale, preoccupa non poco in vista delle elezioni europee di quest’anno. E non è il solo paese ad avere questi problemi, in tutta Europa questi partiti di stampo populista crescono e si organizzano per le prossime elezioni: lo United Kingdom Independence Party (UKIP), la Sverigedemokraterna in Svezia, la tedesca Allianz für Deutschland e in Italia, se la Lega Nord in questo momento non è al massimo della sua popolarità per motivi prettamente interni al partito, c’è il Movimento Cinque Stelle che porta avanti posizioni anti-europeiste. I programmi delle diverse formazioni, seppur con alcuni distinguo, si muovono tutti sulle stesse direttrici: la retorica anti-immigrazione, anti-establishmen, l’euroscetticismo, invettive contro la moneta unica che secondo molti andrebbe abolita. Tutti discorsi che in questo momento storico, con la crisi economica che fiacca l’Europa, la disoccupazione che affligge soprattutto i giovani, il calo di fiducia nei confronti delle istituzioni politiche, hanno una forte presa sull’elettorato che deluso dai partiti ricorre al voto di protesta oppure all’astensionismo. In Gran Bretagna l’Ukip, un partito nazionalista e conservatore negli ultimi sondaggi supera in gradimento sia i conservatori del premier David Cameron sia i laburisti, oltrepassando il 31 per cento dei consensi. Già nelle elezioni locali aveva ottenuto il 23% dei consensi contro il 25% dei Tories, andando a pescare nel bacino elettorale della classe operaia che delusa dalla sinistra e stremata dalla crisi. Per anni questo partito è stato ai margini della politica britannica, considerato razzista e antieuropeista, oggi molti analisti lo danno in testa nei sondaggi per le europee. Anche in questo caso il tema dell’immigrazione è stato ampiamente sfruttato in termini negativi, rea di ingaggiare una competizione al ribasso sui salari con i lavoratori locali e alimentando la concorrenza su istruzione e alloggi. Non a caso una delle proposte di questo partito è proprio quella di bloccare per cinque anni l’immigrazione, accompagnata dallo slogan «We want our country back». Sono sempre gli immigrati il capro espiatorio individuato per problemi che in realtà hanno altre cause. Anche in Svezia, che pur non ha alle spalle una storia importante riguardo ai partiti razzisti e xenofobi, la Sverigedemokraterna ha avuto un exploit alle ultime elezioni del 2010 guadagnando anche dei seggi in parlamento, cosa che non era mai accaduta prima. Nonostante la Svezia abbia risentito meno di altri paesi europei della

crisi economica, deve comunque fare i conti con una disoccupazione giovanile molto alta e con un’insofferenza sempre maggiore nei confronti degli immigrati. Una società da sempre ritenuta civile e tollerante nei confronti dei rifugiati e degli stranieri, si ritrova sensibile ai proclami dei Democratici Svedesi, indiscutibilmente intolleranti nei confronti degli immigrati, e vulnerabile dopo le sommosse di Husby. Queste nuove generazioni che manifestano tutto il loro disagio con azioni violente sono spesso “perfettamente assimilate, grazie all'azione socializzatrice della scuola e dei mass media, ai modelli di comportamento e agli stili di consumo della società in cui sono cresciuti, ma ancora non completamente integrati dal punto di vista socio-economico a causa dell'impossibilità della famiglia di sostenere con adeguate risorse economiche e culturali le loro aspirazioni di mobilità sociale”178. In questo preciso momento storico le rivendicazioni degli immigrati, in particolare delle generazioni più giovani, causano delle reazioni di chiusura, difesa del territorio e rifiuto da parte degli autoctoni che vengono sfruttate da partiti che si dichiarano anti-sistema e che intercettano gli umori della base molto meglio delle tradizionali forze politiche. Per i governi è sempre più difficile puntare risorse ed energie su programmi di integrazione che nel lungo periodo avrebbero sicuramente un riscontro positivo per la società ma che al momento risultano più che mai impopolari. Anzi, molto spesso preferiscono inseguire questi partiti sul loro stesso terreno andando a caccia di facili consensi, come sta facendo il Premier Cameron promettendo un referendum sull’UE per limitare la fuga di elettori dal suo partito verso gli euroscettici dell'Ukip che continuano a macinare consensi. Non solo, il giro di vite sull’immigrazione operato con gli ultimi provvedimenti è stato presentato all’opinione pubblica con toni non molto distanti da quelli di altri partiti anti-immigrazione. La fine del multiculturalismo e le pesanti critiche che gli sono state rivolte, ha portato molti stati a cambiare strategia, virando verso un neoassimilazionismo che punti a massimizzare l’impatto positivo degli immigrati nelle società d’accoglienza. La sempre più difficile sostenibilità dei sistemi del welfare, la crisi economica e la paura del terrorismo transnazionale hanno indotto molti stati a fare dei passi indietro nelle loro politiche di integrazione ed accoglienza. I corsi di cittadinanza inglesi, la maggiore attenzione alla                                                                                                                

178 Laura Zanfrini, Società multietnica (parole chiave), in “Impresa &Stato”, n. 37-38, febbraio/aprile

1997, pp. 108- 111  

formazione civica o all’orientamento per i nuovi immigrati della Francia, l’insegnamento della lingua e l’informazione sui diritti e sui doveri in Svezia, sono in realtà mossi più che dal desiderio di accoglienza, dalla necessità di un’integrazione a «basso conflitto». Anche le istituzioni europee, come si è potuto vedere nel capitolo introduttivo, giocano un ruolo importante per il futuro dell’integrazione dei migranti e dell’Unione Europea stessa. Se è vero che su molti argomenti non può intervenire in maniera diretta, imponendo agli Stati la propria volontà in materia di immigrazione, non si può negare che ci sia una “comunitarizzazione” delle politiche, ovvero una convergenza sempre più forte tra le legislazioni dei vari stati. Nasce la consapevolezza dell’esistenza di problemi comuni, che potrebbero avere una soluzione più efficace se affrontati insieme. La difficoltà di una progettazione politica unitaria deriva però dalla riluttanza degli stati a cedere sovranità su un argomento tanto sensibile per tutte le implicazioni che abbiamo visto, e soprattutto incide la preoccupazione per la perdita di sicurezza causata dalla creazione del mercato unico europeo. Se da un lato la spinta delle istituzioni europee all’armonizzazione delle legislazioni obbliga gli stati a introdurre norme contro la discriminazione su base etnica e razziale, oltre che in base alla religione e agli orientamenti sessuali, oppure incoraggia ad adottare politiche di integrazione più liberali, dall’altro inasprisce i controlli alle frontiere. Questa ambiguità è ovviamente funzionale ad alimentare gli atteggiamenti securitari di molte politiche nazionali. Resta comunque di fondo una grande barriera all’integrazione, che a prescindere dalle politiche che si mettono in campo per perseguirla, anche se più all’avanguardia ed inclusive possibili, non riescono ad essere efficaci a causa della difficoltà d’accesso all’occupazione. Il problema non è solo da ricercare nella disoccupazione diffusa, che in questo momento di crisi affligge anche i nativi di tutta Europa, resta comunque troppo alto il divario occupazionale tra migranti e autoctoni. Un aspetto altrettanto importante è la sotto-qualificazione all’interno del mercato del lavoro e l’inaccessibilità di molte occupazioni per i cittadino non appartenenti all’Unione Europea in base alla loro nazionalità. Tutte queste barriere concorrono all’esclusione dal mondo del lavoro e nel momento in cui manca questo fondamentale tassello nella vita dell’immigrato ogni politica d’integrazione viene meno. Questa è una delle chiavi fondamentali per evitare che soggetti particolarmente a rischio di povertà e di esclusione sociale, entrino in una spirale di emarginazione che porta all’esplosione

del malessere che sfocia in quelle manifestazioni violente illustrate in precedenza. Promuovere l’accesso al lavoro e alle risorse, ai diritti, ai beni e ai servizi, alla partecipazione civica e politica dei migranti, è l’unico modo per poter costruire una società realmente inclusiva e interculturale.