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Le politiche di integrazione e i modelli nazional

3) Le politiche per l’integrazione

3.1 Le politiche di integrazione e i modelli nazional

Sono due i principali settori di intervento sui quali si concentra l’azione del legislatore sul tema dell’immigrazione: le immigration policies, presentate nel capitolo precedente, ovvero le politiche relative agli ingressi, che stabiliscono le tipologie di migranti e le modalità di entrata in un paese, e le immigrants’ policies. Queste ultime riguardano le politiche d’integrazione e trattano temi quali i diritti di cittadinanza, i programmi di accoglienza, la partecipazione civica dei migranti e tutto quello che attiene a facilitarne l’inserimento nella società. Mentre per le politiche di ingresso abbiamo visto che vengono discusse e decise principalmente a livello nazionale, le politiche di integrazione invece hanno una connotazione tipicamente locale (Campomori, 2012). Si vedrà più avanti come le impostazioni date dai sistemi politici a livello nazionale e quelle messe in pratica a livello locale, molto spesso si rivelino in contrapposizione. La gestione dei fenomeni migratori da parte degli stati viene rappresentata in termini di «modelli» teorici, che altro non sono che le strategie di integrazione messe in campo dalle singole nazioni e che vengono assunte come riferimento. Sono diversi i modelli di integrazione ideati a partire dai singoli casi nazionali, ma quelli più importanti sono tre: il modello assimilazionista, multiculturale e del lavoratore ospite. Gli studiosi parlano di un modello repubblicano d’integrazione, spesso definito anche “assimilazionista”, che sintetizza l’approccio messo in campo per affrontare le questioni sollevate dall’immigrazione. Francia e Stati Uniti sono i paesi che hanno sviluppato questo approccio, con due varianti, una statalista e l’altra societaria. L’assimilazione, per quanto riguarda la Francia, si basa sull’universalità dei valori della République, sulla laicità dello stato in ogni ambito e sulla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, riconosce all’individuo e non alle comunità etniche i diritti in forma universalistica. L’ideologia alla base di questo modello è quella della completa assimilazione dell’immigrato nella società francese, attraverso la sua ‘francesizzazione’, spogliandosi della propria cultura di appartenenza per abbracciare pienamente i valori della società di approdo. “È evidente come tale assunto renda problematico il rapporto fra la tradizione repubblicana e il riconoscimento della differenza, dal momento che ogni deviazione dal canone del

“perfetto cittadino” è percepita come una minaccia all’universalismo e alla laicità”73. Il presupposto è che l’identità etnico-culturale debba essere pubblicamente abbandonata dall’immigrato, e relegata nella sfera privata, per poter intraprendere così un percorso basato sull’apprendimento della lingua, della cultura e delle tradizioni francesi. Ambrosini nel descrivere questo processo afferma che “l’assimilazione è concepita nella sostanza come un processo organico, univoco, lineare: sono gli immigrati che si assimilano nel nuovo contesto sociale, assumendone gli abiti mentali e gli stili di vita, e diventando simili ai nativi, fino a confondersi con essi, nelle varie dimensioni della vita quotidiana”74. Questo processo deve essere portato a termine giacché è considerato necessario per difendere il principio fondamentale del pensiero repubblicano, ossia l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge (Costantini 2009). L’assimilazione si realizza così togliendo valore alle culture diverse da quella dominante e giocando sul mantenimento dell’inferiorità degli immigrati, l’'integrazione a quel punto diventa possibile nella misura in cui gli immigrati acquisiscono la cultura e i modi di vita del bon français. In cambio di questa rinuncia, lo stato concede agli immigrati l’estensione di tutti i diritti politici e civici che hanno gli stessi francesi grazie alla cosiddetta “naturalizzazione”. L’integrazione in questi termini, non si configura più come un diritto, ma è stabilita come un vero e proprio obbligo, per l’immigrato l’unico modo di acquisire la cittadinanza è di accettare di mettere da parte il proprio bagaglio culturale e tutte le pubbliche manifestazioni che comporta.

“I legami, le affiliazioni e le preferenze culturali degli individui-cittadini possono da questo punto di vista essere tollerati solo se rimangono confinati su di un piano privato. Quando ci si sposta su quello pubblico, invece, la sola comunità legittima è la comunità di eguali formata dai cittadini repubblicani.”75

                                                                                                                73  Op.  cit.,  Caponio, 2013.

74 Maurizio Ambrosini, Un’altra globalizzazione. La sfida delle migrazioni transnazionali, Bologna,Il

Mulino, 2008, p. 182.

75  Op.  cit.,  Costantini, 2009.  

I particolarismi e la pluralità culturale non sono ammessi in una società che ha come condizione indispensabile per la propria esistenza il rifiuto della frammentazione e l’uguaglianza. Il modello multiculturale invece differisce da quello assimilazionista in quanto si basa sulla logica del riconoscimento di diritti collettivi delle minoranze. Questo tipo di approccio è tipico di paesi quali il Regno Unito, i paesi scandinavi, tra cui la Svezia, il Canada e l’Olanda. Nonostante sia stato messo in pratica in modo diverso a seconda dei paesi, l’assunto principale comune a tutti è l’importanza del pluralismo culturale, riconosciuto nella sfera pubblica e valorizzato in quanto fonte di diversità e ricchezza.

“Invece di utilizzare la definizione astratta dell'individuo alla fonte della cittadinanza nazionale i politici britannici hanno identificato un approccio basato sull'importanza delle minoranze e hanno posto l'accento sull'integrazione, non come un processo acculturazione nazionale e civile, ma come un progetto di parità di accesso ai diritti in una società britannica che riconosce il multiculturalismo come una realtà sociologica e politica”76.

Questo approccio si focalizza sulla lotta contro la discriminazione razziale, anche nella sfera pubblica, dando peso sociale e politico ai membri di minoranze etno-culturali. Il terzo modello di integrazione invece, quello del lavoratore ospite (guest worker o Gastarbaiter), si basa su un tipo di migrazione temporanea funzionale alla domanda del mercato del lavoro. Agli immigrati è concesso mantenere la propria cultura e lingua di origine poiché non è nell’interesse dello stato che integrarli nella società, lo scopo è che tornino a casa non appena non sarà più necessaria la loro presenza. Questo modello è tipico di paesi quali Austria e Germania, che hanno per anni attratto una migrazione di lavoratori maschi che si spostavano senza familiari al seguito. L’immigrazione verso questi paesi, in particolare nel secondo dopoguerra, era strettamente funzionale alla ricostruzione e al rilancio dell’economia. Le politiche che venivano messe in campo per gestire il fenomeno puntavano alla promozione della rotazione delle presenze e agli incentivi sui rimpatri che dovevano servire per inibire gli insediamenti stabili di queste persone. Come vedremo per i singoli casi, i modelli non solo presentano delle forti                                                                                                                

76  Christophe Bertossi, Les Modèles d’intégration en France et en Grande-Bretagne Philosophies, politiques et institutions publiques,15 marzo 2007, http://ec.europa.eu/.  

contraddizioni interne, ma si riveleranno non completamente corrispondenti ai singoli casi nazionali.