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L’eccezione (o specificità) culturale nel processo di integrazione eu ropea.

Valutazioni conclusive Tutela del “Made in” e nuove sfide per l’integrazione europea

3. L’eccezione (o specificità) culturale nel processo di integrazione eu ropea.

Le considerazioni preliminari effettuate rendono anzitutto evidente e condi- visibile l’assunto secondo cui «i diritti culturali sono una categoria trasversale sia rispetto ai diritti di libertà a contenuto negativo, sia rispetto ai diritti sociali (o di prestazione) a contenuto positivo. Questo significa che i pubblici poteri in Eu- ropa non solo devono rispettare la libertà e spontaneità delle culture, ma anche proteggerle e creare le condizioni istituzionali necessarie per il loro esercizio» 38.

In sostanza, se per un verso i diritti culturali hanno per definizione natura collettiva, essendo difficilmente configurabili situazioni in cui emergono diritti od interessi legittimi individuali in materia, per altro verso con i diritti sociali hanno in comune il bisogno di interventi pubblici orientati al soddisfacimento 37 In questo senso è stata rilevata la crescente importanza del dato “geografico” rispetto al pas- sato. Secondo M. MONTANARI, Il cibo come cultura …, cit., p. 128, infatti, «in un mondo effetti- vamente frazionato, come quello antico o medioevale, l’aspirazione era quella di costruire un mo- dello di consumo universale in cui tutti si potessero riconoscere. Nel villaggio globale della nostra epoca, al contrario, si affermano i valori dello specifico locale. L’elogio della diversità, che nor- malmente si accompagna alla promozione della cultura gastronomica, non è nostalgia del passato, ma guarda soprattutto al presente ed al futuro».

dei bisogni che esprimono, che, nella misura in cui non possano trovare risposte nel mercato, impongono l’intervento delle autorità con vere e proprie politiche positive, quali, in particolare per quanto qui interessa, la promozione dell’infor- mazione e l’implementazione delle regole sulla trasparenza di quest’ultima.

La particolare natura dei diritti culturali e – sia consentito dirlo – anche la lo- ro speciale fragilità viste le notevoli pressioni che il mondo globalizzato esercita su questa categoria – impongono peraltro anche una estrema sensibilità in sede giudiziaria, posto che se la promozione “positiva” costituisce il perno attorno cui la cultura (e la sua proiezione sociale) deve svilupparsi, la sua tutela effettiva non può che passare attraverso il pieno riconoscimento del suo ruolo fra i fattori da tenere in considerazione in occasione della valutazione di legittimità delle norme che a vario titolo la investono.

È, dunque, questo “doppio binario” che occorre guardare per stimare il ruo- lo che la cultura (e, più specificamente, le sue diverse espressioni) riveste nella definizione delle politiche dell’Unione e nella revisione giudiziale delle norme anche nel pur ristretto ambito del c.d. “Made in”.

Dal punto di vista normativo la cultura ed i relativi diritti hanno acquistato un ruolo progressivamente crescente nella definizione delle politiche dell’Unio- ne via via che il processo di integrazione è maturato e si è sviluppato.

Com’è noto nel Trattato del 1957 non erano presenti disposizioni significati- ve al riguardo.

Il Preambolo faceva, infatti, riferimento essenzialmente alla necessità di per- seguire la pace attraverso la promozione del benessere dei popoli, ma la lettura complessiva delle premesse e degli articoli del testo rivelavano l’ovvia ed assolu- ta prevalenza del dato economico su quello sociale. Si potrebbe anzi, dal punto di vista strettamente formale, trarne l’impressione della volontà – in una fase an- cora fortemente condizionata dal trauma bellico – di utilizzare lo strumento del- la compenetrazione economica (attraverso il mercato comune) come “cemento” dell’unità dei popoli europei ma anche come strumento per la eliminazione delle differenze che avevano acceso le ben note conflittualità del passato.

L’indicazione risulta particolarmente evidente laddove i capi di Stato affer- mavano di voler «assicurare mediante un’azione comune il progresso economico e sociale dei loro Paesi, eliminando le barriere che dividono l’Europa», ossia as- segnare ai propri sforzi lo scopo «essenziale del miglioramento costante delle condizioni di vita ed occupazione dei propri popoli» 39.

Di conseguenza, nel Trattato, mentre risultava particolarmente sviluppata la parte delle disposizioni volte a rimuovere ogni possibile ostacolo alla circolazio- ne delle merci e delle persone (ossia, come pure è stato osservato, gli strumenti volti a regolare la convergenza delle diverse identità nazionali in un modello so-

39 Cfr. sul punto G.DELANTY, L’identità europea come costruzione sociale, in L.PASSERINI (a cura di), Identità culturale europea. Idee, sentimenti, relazioni, Scandicci, La Nuova Italia, 1998, p. 49.

ciale condiviso 40), non si rinvenivano disposizioni significative per valorizzare

le reciproche differenze.

L’art. 36 TCEE (oggi 36 TFUE) includeva (e tutt’oggi include) fra le ecce- zioni al divieto di restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente alla li- bera circolazione delle merci, la necessità di proteggere il patrimonio artistico, storico ed archeologico nazionale, evidentemente quale riflesso del timore che i meccanismi di apertura dei mercati (e delle frontiere) potessero condurre a for- me di vera e propria “prestazione” dell’eredità culturale nazionale (e, dunque, quale riaffermazione implicita della sovranità nazionale in materia).

La norma, tuttavia, anche per ragioni teleologiche, è sempre stata riferita ai beni culturali le cui caratteristiche di valore ne facciano un elemento essenziale del patrimonio culturale indisponibile di uno Stato membro 41, siccome signifi-

cativo della costruzione identitaria dello Stato interessato. Sicché la deroga non può certamente operare quale parametro generale per misurare la sensibilità del- l’ordinamento dell’Unione per il problema del “riconoscimento” dell’identità cul- turale dei popoli europei.

Per il resto, ad eccezione dell’art. 182 TCE (oggi 198 TFUE) relativo agli ac- cordi con i Paesi terzi ed il regime particolare riservato ai c.d. “territori d’oltre- mare” (in cui era previsto l’obiettivo dello sviluppo sociale, oggi ulteriormente precisato nella sua accezione “culturale”) il Trattato istitutivo della Comunità europea non offriva una base giuridica su cui fondare una competenza comuni- taria in materia e chiare disposizioni nella direzione che qui interessa.

Ciò, tuttavia, non significa che il valore del fattore culturale nella dinamica dello sviluppo dell’integrazione europea non fosse comunque ben presente sin dall’origine: è sufficiente analizzare il c.d. Rapporto Tindemans sull’Unione euro-

pea del 1976 42 ed il successivo Rapporto Adonnino sull’Europa dei popoli 43 per

constatare come l’intervento della Comunità in tutti gli aspetti della vita indivi- duale, ivi inclusa esplicitamente la cultura, fosse visto come un passaggio essen- ziale per la prosecuzione del cammino dell’integrazione europea.

I rapporti in questione, infatti, muovendo dall’evoluzione sociale registrata nei primi 20-30 anni dell’esperienza comunitaria, sottolineavano la natura “cru-

40 Cfr. sul punto G. DELANTY, op. ult. cit., p. 49.

41 Cfr. L. SBOLCI, La libera circolazione delle merci, in G. STROZZI (a cura di), Diritto

dell’Unione europea, parte speciale, Torino, Giappichelli, 2015, p. 50, ove l’A. osserva che in que-

sto senso appaiono più evidenti le espressioni utilizzate nelle versioni francese ed inglese del Trat- tato, ove si parla di “Trésors nationaux” e “national Treasures”. D’altra parte l’indicazione sembra ormai definitivamente confermata dall’elenco dei beni ritenuti esportabili in base alle disposizioni del regolamento (CEE) n. 3911/92 del Consiglio del 9 dicembre 1992, relativo all’esportazione di beni culturali, in GUCE, L 395 del 3 dicembre 1992, p. 1 ss. (oggi regolamento (UE) n. 116/2009 concernente i contratti sulle esportazioni dei beni culturali, in GUUE, L 39 del 10 febbraio 2009, p. 1 ss.).

42 Cfr. L.TINDEMANS, Report on European Union, in GUCE, n. 9, Sup. 1/76, p. 5 ss., dis- ponibile on line all’indirizzo http://aei.pitt.edu/942/1/political_tindemans_report.pdf.

ciale” del coinvolgimento pieno dei cittadini nel processo dell’integrazione, cer- tamente pregiudicato dalla scarsa attenzione allora riservata alla dimensione “so- ciale” dell’Europa, in particolare con riferimento alle espressioni culturali dei suoi popoli.

In quest’ottica va letta l’evoluzione successiva, che, a partire dal Trattato di Maastricht, ha dedicato sempre più spazio alla questione delle identità nazionali e del loro riconoscimento in tutte le politiche dell’Unione.

Nel Preambolo del Trattato sull’Unione europea del 1992, coerentemente al- la svolta già descritta sulla fisionomia e le priorità dell’integrazione europea 44,

viene solennemente affermato il desiderio degli Stati membri di «intensificare la solidarietà tra i loro popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni».

La formula, seppur sintetica, marca una significativa differenza rispetto al TCE, mostrando una ben più ampia disponibilità sui temi in esame che trova preciso riscontro nell’art. 6 del nuovo TUE, in cui compare per la prima volta l’indica- zione circa il rispetto dell’identità nazionale dei singoli Stati che compongono la neo-costituita Unione.

Contestualmente, onde sanare il problema della mancanza di una base giuri- dica adeguata degli atti adottati in materia per l’assenza di una competenza co- munitaria esplicita sulla cultura, il Trattato sull’Unione europea ha introdotto il Titolo XII (cultura), contenente l’art. 151 (oggi 167 TFUE), in forza del quale la Comunità si è assunta il compito di contribuire al «pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali (…)».

Di particolare interesse per il tema qui più specificamente in esame appare il par. 4 dell’articolo, laddove si afferma chiaramente che «la Comunità tiene con- to degli aspetti culturali nell’azione che svolge a norma delle altre disposizioni (…) del Trattato, in particolare ai fini di rispettare e promuovere le diversità delle sue culture».

La competenza culturale assume, così, per il tramite di questa disposizione, valenza ben superiore al suo mero carattere “sussidiario”, dimostrandosi capace di incidere, seppure sotto forma di elemento di valutazione, su tutte le compe- tenze ed attività regolatorie comunitarie (oggi dell’Unione).

La traiettoria così tracciata, ovviamente coerente con lo sviluppo in chiave sociale dell’integrazione europea, ha, infine, trovato approdo negli ultimi passaggi legati al Trattato di Lisbona, ed in particolare nel riconoscimento alla Carta dei diritti fondamentali dello stesso valore giuridico dei Trattati.

L’art. 22 CDFUE ha, infatti, ribadito il dovere dell’Unione di rispettare la di- versità culturale, riconoscendo così anche sul piano formale la natura fondamen- tale di questo principio cardine delle politiche europee, così come peraltro a suo tempo già affermato nella Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Unione 45, ove

44 Cfr. le osservazioni in merito contenute nel primo capitolo di questo lavoro.

45 Cfr. la Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’UE allegata alle Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre 2001, cit.

l’Europa è stata descritta come «il continente della libertà, della solidarietà e so- prattutto della diversità, il che implica il rispetto per le lingue, la cultura e le tra- dizioni altrui».

Sebbene sia stato avanzato il dubbio che l’inclusione della cultura e dei suoi aspetti sociali nella Carta non costituisca in realtà un “rafforzamento” del suo ruolo rispetto alle regole del mercato interno (per via della natura della Carta di mera “codificazione scritta” di diritti comunque già presenti nell’ordinamento giuridico dell’Unione 46 e riconosciuti dalla giurisprudenza UE) o, addirittura,

che l’inclusione nella Carta, accanto ai diritti fondamentali, anche di un esplicito richiamo alle libertà economiche possa essere letta come “elevazione” di queste ultime al rango dei diritti in questione (onde consentirne un bilanciamento so- stanzialmente “paritario” fra i fattori sociali e quelli economici) 47, appare prefe-

ribile la posizione di chi ha individuato, al contrario, nell’ampiezza delle previ- sioni in materia culturale una chiara volontà di elevarle anche rispetto alla pon- derazione con le libertà fondamentali, sì da imporne una rivalutazione (anche giudiziaria) come uno dei perni dell’integrazione europea del futuro 48.

In effetti anche solo la numerosità delle disposizioni dedicate a temi in qual- che misura connessi alla cultura sembrerebbe consentire una interpretazione di questo tipo.

Come si avrà modo di illustrare in prosieguo, infatti, oltre al ruolo centrale del già citato art. 22, disposizioni rilevanti per il tema qui in esame possono es- sere individuate nei Titoli 2, 3 e 4 (libertà, eguaglianza e solidarietà), e, specifi- camente, negli artt. 10 (libertà di pensiero, coscienza e religione), 11 (libertà di espressione ed informazione), 13 (libertà delle arti e delle scienze), 14 (educa- zione) e 21 (non discriminazione).

Molte di queste norme sono state, peraltro, elaborate avendo come riferi- mento la CEDU (e.g. gli artt. 10, 11 e 13, che hanno lo stesso significato degli artt. 9 e 10 CEDU), sì da rafforzarne i contenuti per effetto della giurisprudenza di Strasburgo.

Le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona ai testi del TUE e del TCE precedenti confermano, infine, l’orientamento circa la rinnovata centralità del tema: l’art. 3, par. 3, del nuovo TUE prevede, infatti, che l’Unione «rispetta la 46 Cfr., in questo senso, S.WEATHERILL Commentando l’art. 38 della Carta, in S.PEERS,T. HERVEY,J.KENNER,A.WARD (eds.), The EU Charter of Fundamental Rights: A Commentary, Ox-

ford, Hart Publishing, p. 179 ss., segnala che tutt’al più, l’inclusione di un riferimento specifico a questi diritti nella Carta potrebbe “blindare” la giurisprudenza della Corte in merito, che si era già mostrata in numerose circostanze molto più “accomodante” verso i fattori giustificativi di natura “culturale” rispetto al passato.

47 Cfr. in proposito J.MORIJN, Fundamental Rights and Culture, in E. PSYCHOGIOPOULOU (ed.), Cultural Governance and the European Union. Protecting and Promoting Cultural Diversity

in Europe, New York, Palgrave Macmillan, 2015, p. 151 ss. e, spec., pp. 159-160.

48 Cfr. S.J.CURZON, Internal market derogations in light of the newly binding character of the

EU Charter of Fundamental Rights, in G.DI FEDERICO (ed.), The EU Charter of Fundamental

ricchezza della sua diversità culturale e linguistica, e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo».

L’art. 4 TUE ha ripreso la clausola del rispetto delle identità nazionali già con- tenuto nel precedente art. 6 (che il Presidium pone come riferimento per l’art. 22 CDFUE nelle proprie spiegazioni alla norma); il novellato art. 6, conferman- do il recepimento nell’acquis UE dei diritti fondamentali individuati dalle diver- se fonti del diritto internazionale pertinenti, rafforza ulteriormente il quadro.

Infine il nuovo art. 167 TFUE ribadisce come compito specifico dell’Unione il contributo allo sviluppo delle diversità nazionali attraverso, in particolare, l’infor- mazione e le azioni volte a conservare il patrimonio culturale di importanza europea. Sicché pare ragionevole ipotizzare una incidenza maggiore rispetto al passato del “discorso culturale” nella valutazione del bilanciamento con il commercio nel mercato interno.

4. La giurisprudenza della Corte di giustizia sulla valenza dei diritti cul-

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