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Segue La disciplina dell’Unione europea.

commerciali sleal

10. Segue La disciplina dell’Unione europea.

La tutela del consumatore e della concorrenza sul mercato è assicurata da una pluralità di fonti nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea.

Tralasciando in questa sede le norme di carattere assolutamente generale contenute nel Trattato sul funzionamento dell’Unione e nella Carta dei diritti fondamentali (su cui, per ragioni sistematiche, si tornerà oltre, nel prossimo ca- pitolo) preme qui anzitutto sottolineare come lo sviluppo progressivo dell’inte- grazione europea abbia determinato nel tempo una stratificazione “alla rovescia” delle disposizioni di diritto derivato che solo di recente sono state organizzate in modo coerente e sistematico dal Legislatore UE.

Nella prima fase della costruzione del mercato unico, infatti, le regole sulla correttezza nell’etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti e nella comunicazione commerciale erano riguardate essenzialmente dal punto di vista della necessità della rimozione degli ostacoli tecnici alla circolazione delle merci, mentre la protezione del consumatore, in assenza di una iniziale competenza co- munitaria in materia, era essenzialmente concepita come parametro per misura- re le proporzionalità degli interventi regolatori nazionali o dell’armonizzazione (parziale) compiuta dalle varie norme comunitarie.

Fino alla metà degli anni Ottanta si assiste, così, al proliferare di disposizioni verticali dedicate ai vari settori merceologici (di cui si è già dato conto sinteti- camente nella prima parte di questo lavoro), all’interno delle quali trovavano col- locamento varie norme di contrasto alla decettività delle informazioni rese in me- rito al prodotto, riferibili, ovviamente, anche alla sua origine o alle sue caratteri- stiche di tradizionalità.

rettiva in materia di pubblicità (direttiva 84/450/CEE 159) che richiama il con-

sumatore solo nel 5° considerando 160 dopo svariate considerazioni sull’inciden-

za economica negativa della mancanza di armonizzazione delle normative nazio- nali sulla comunicazione commerciale, ed opta altresì per la formula della “ar- monizzazione minima”, stabilendo nella parte finale dell’art. 7 che «la direttiva non si oppone al mantenimento o all’adozione da parte degli Stati membri di di- sposizioni che abbiano lo scopo di garantire una più ampia tutela dei consuma- tori, delle persone che esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, nonché del pubblico in generale» 161.

D’altra parte la stessa direttiva aveva previsto una ulteriore fase evolutiva, lad- dove nel 6° considerando aveva preannunciato la successiva adozione di una disci- plina in merito alla pubblicità sleale, nonché – se necessario – alla pubblicità com- parativa, in base a proposte appropriate presentate dalla Commissione, per le qua- li, in verità, ci sono voluti più di venti anni, potendo così dirsi concluso il percorso solo con l’adozione della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali.

Quest’ultima norma, infatti, intervenendo in senso ampio sia in chiave cor- rettiva/integrativa della disciplina generale della pubblicità, sia, in senso più spe- cifico, con riferimento agli standard di diligenza e correttezza nei rapporti com- merciali fra professionisti e consumatori, ha assunto nella materia che qui inte- ressa un ruolo assolutamente centrale.

La direttiva 2005/29/CE costituisce l’esito di vaste consultazioni avviate dalla Commissione con il Libro Verde del 1996 “Comunicazione commerciale nel mer- cato interno” 162, il successivo Libro Verde del 2001 “sulla tutela dei consumato-

ri nell’Unione europea” 163, nonché le Comunicazioni “Seguito dato al Libro Ver-

de sulla tutela dei consumatori nell’U.E.” 164 e “Strategia della politica dei con-

sumatori 2002-2006” 165.

159 Cfr. la direttiva del Consiglio del 10 settembre 1984, relativa al ravvicinamento delle dispo- sizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità in- gannevole, in GUCE, L 250 del 19 settembre 1984, p. 17 ss.

160 Cfr. il 5° considerando della direttiva che ricorda come il secondo programma della Comu- nità economica europea per una politica di protezione e d’informazione del consumatore preveda l’adozione di misure atte a proteggere il consumatore dalla pubblicità ingannevole e sleale.

161 La questione del livello di armonizzazione in materia è stato a lungo dibattuto, e discende in parte anche dalla difficoltà di identificare una chiara competenza comunitaria in materia. La recente direttiva 2011/83/UE, cit. ha cercato di invertire l’approccio, ma vi è riuscita solo parzialmente.

162 Cfr. il Libro Verde della Commissione denominato “La comunicazione commerciale nel mercato interno”, COM (96) 192 def. del 8 maggio 1996, reperibile on line sul sito eur-lex.eu.

163 Cfr. il Libro Verde della Commissione europea “sulla tutela dei consumatori nell’Unione europea”, COM (2001) 531 def. del 2 ottobre 2001, reperibile sul sito eur-lex.eu.

164 Cfr. la Comunicazione della Commissione europea “Seguito dato al Libro Verde sulla tutela dei consumatori nell’U.E.”, COM (2002) 289 def. del 11 giugno 2002, reperibile sul sito eur-lex.eu.

165 Cfr. la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo ed al Comitato delle regioni “Strategia della politica dei consumatori 2002-2006”, COM (2002) 208 def., pubblicata in GUCE, C 137 del 8 giugno 2002, p. 2 ss.

L’insieme dei documenti citati muove dalla constatazione della frammenta- rietà delle disposizioni relative alle pratiche commerciali nei confronti dei con- sumatori ed in particolare delle regole sulla comunicazione, che aveva consenti- to lo sviluppo di approcci nazionali differenziati tanto nel metodo (disposizioni generali vs. norme di dettaglio) quanto nel merito (in relazione al grado più o meno elevato di precisione regolatoria e severità nella delimitazione delle con- dotte del professionista ritenute ammissibili).

La soluzione in definitiva proposta dalla Commissione affronta queste critici- tà sotto entrambe i profili, individuando come soluzione ottimale un “approccio misto”, caratterizzato dalla elaborazione di una “norma-quadro” sugli obblighi di correttezza e diligenza nei rapporti commerciali con i consumatori, e disposi- zioni di carattere settoriale per regolare gli aspetti più specifici dei rapporti di consumo.

La direttiva 2005/29/CE, che assume in questo senso la funzione di cornice generale della materia, si caratterizza, inoltre, per l’abbandono della formula dell’armonizzazione “minima”, che aveva a lungo generato discussioni circa l’ef- ficacia degli strumenti comunitari in tema, per sposare una tecnica più articola- ta, che coniuga la regola portante della nuova disciplina (introduzione di un unico divieto generale di quelle pratiche commerciali sleali che falsano il com- portamento del consumatore) con una delimitazione del suo campo di applica- zione che impone il raccordo in termini di complementarietà con le molteplici disposizioni verticali già presenti nell’ordinamento comunitario o nelle legisla- zioni nazionali in materia (cfr. art. 3 della direttiva 166).

L’insieme delle disposizioni così strutturate dovrebbe garantire al contempo un livello di tutela dei consumatori elevato ad un costo accettabile per le impre- se, assicurare la flessibilità giuridica richiesta dalla accelerazione sempre più di- namica del mercato nonché il requisito della certezza giuridica negli scambi tran- sfrontalieri, indispensabile per assicurare la crescita della fiducia nelle relazioni commerciali B2C fra soggetti residenti in Stati membri differenti.

Più in generale, appare interessante notare l’evoluzione della sensibilità per i diritti dei consumatori nell’arco del decennio descritto.

Se, infatti, nella prima comunicazione del 1996 la preoccupazione prioritaria appariva essere la creazione di un insieme di regole sulla comunicazione com- merciale rispettose dell’art. 10, par. 2 della CEDU o dell’art. 19 del Patto inter- nazionale relativo ai diritti civili e politici (c.d. “Patto ONU”) 167, ossia, in defini-

166 In base all’art. 3 la direttiva lascia impregiudicati il diritto contrattuale (norme sulla forma- zione, validità o efficacia del contratto); l’applicazione delle norme comunitarie o nazionali relati- ve agli aspetti sanitari e di sicurezza dei prodotti, ai servizi finanziari, ai metalli preziosi, nonché ai codici deontologici ed alle norme specifiche sulle professioni regolamentate. Infine la norma con- cedeva agli Stati membri un periodo transitorio di 6 anni, a decorrere dal 12 giugno 2007, in cui era consentita la proroga della applicazione delle disposizioni nazionali più dettagliate o restrittive rispetto a quelle contenute nella direttiva.

tiva, alla libertà di espressione di chi deve comunicare, mentre i consumatori ve- nivano visti come soggetti «destinati a beneficiare dell’aumento degli scambi in- tracomunitari e dell’attenuarsi degli effetti di frammentazione giuridica» 168, così

evidenziando una visione del problema ancora strettamente legata al “mercato”, nelle comunicazioni che hanno concluso questa fase (e, di fatto, condotto all’a- dozione della direttiva), la prospettiva tende ad invertirsi.

La centralità del consumatore e dei suoi diritti stabiliti dal Trattato (informa- zione, educazione, ed organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi) di- ventano i drivers di un approccio rinnovato, in cui i consumatori «devono essere in grado di accedere facilmente ai beni ed ai servizi promossi, offerti e vendu- ti» 169, così che, anche grazie ai vantaggi offerti dalle nuove tecnologie e dalla cre-

scente informazione, essi possono diventare il motore di una nuova competitivi- tà in un circolo virtuoso che porti beneficio ad entrambe le parti.

In questo contesto la direttiva 2005/29/CE si pone, quindi, al servizio della realizzazione delle condizioni necessarie alla “liberazione” del consumatore-in- dividuo, di cui intende rafforzare i diritti fondamentali in un mercato sempre più competitivo e dinamico 170.

Con questo obiettivo (dichiarato già nel suo primo considerando) la norma assume, dunque, una connotazione “trasversale” rispetto all’eterogenea serie di disposizioni che l’hanno preceduta riferite agli aspetti commerciali e comunica- tivi fra professionisti e consumatori, talché il rapporto fra questa e le singole di- rettive settoriali non può che essere letto in chiave di coordinamento e comple- tamento, come peraltro ben chiarito dal suo 10° considerando introduttivo 171.

esplicitamente che una restrizione ad una pubblicità ricade nel campo di applicazione dell’art. 10 CEDU, facendo riferimento alle sentenze 5 settembre 1991 (ric. n. 16632/90) Colman c. Regno

Unito, e 2 dicembre 1991 (ric. n. 15450/89) Cosado Cocoa c. Regno di Spagna. Sull’incidenza della

CEDU nell’interpretazione del diritto all’informazione commerciale si tornerà più diffusamente

oltre, nel capitolo conclusivo di questo lavoro.

168 Cfr. il Libro Verde del 1996, cit., p. 13, ove la Commissione ulteriormente osserva che «mi- nori costi di marketing e un contesto commerciale più concorrenziale si tradurranno, per i consu- matori, in una più vasta scelta ed in prezzi più vantaggiosi. I singoli individui, le aziende o altri pro- fessionisti del settore saranno in grado di prendere decisioni sulla base di informazioni più esau- rienti in merito ad un’ampia gamma di prodotti o servizi pubblicizzati». La stessa visione “accomu- nante” di professionisti e consumatori tradisce una lettura prevalentemente “economica” del tema.

169 Cfr. la Comunicazione sulla tutela dei consumatori, cit., p. 3.

170 Cfr. sul punto L.ROSSI CARLEO, Dalla comunicazione commerciale …, cit., p. 9 ss., ed ivi anche M.L.MAGNO, Ruolo e funzione della pubblicità nell’ambito della direttiva sulle pratiche

commerciali sleali, p. 119 ss.

171 Il 10° considerando afferma che «è necessario garantire un rapporto coerente tra la presen- te direttiva e il diritto comunitario esistente, soprattutto per quanto concerne le disposizioni det- tagliate in materia di pratiche commerciali sleali applicabili a settori specifici (…). Di conseguen- za, la presente direttiva si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario spe- cifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di in- formazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore. Essa of- fre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una specifica legislazione di set-

La disciplina sulle pratiche commerciali sleali è, dunque, al contempo capace di orientare la lettura delle norme più specifiche, conformandole ad una elevata tutela del consumatore ed integrarle nei profili eventualmente mancanti in un rapporto di specialità bilaterale, ma si dichiara “cedevole” rispetto alle disposi- zioni particolareggiate, ove presenti, che esauriscano nel proprio ristretto ambi- to i profili regolatori di interesse per le relazioni commerciali “B2C”.

Così, a titolo puramente esemplificativo, la Corte di giustizia nella già men- zionata sentenza Perenicova 172, pur ribadendo la completezza della direttiva 93/

13/CE 173 sulle clausole contrattuali abusive nei contratti al consumo (sì da esclu-

derne l’integrazione con le disposizioni contenute nella direttiva 2005/29/CE), afferma che il giudice nazionale può comunque tenere conto dei parametri valu- tativi della diligenza del professionista indicati dalla direttiva sulle pratiche com- merciali sleali al fine di ricostruire la natura abusiva delle clausole contrattuali controverse 174.

In altre parole, pur dovendosi ammettere la completezza della disciplina spe- cifica, la direttiva finisce, nell’applicazione pratica, per conformare ai propri

standard le valutazioni giudiziarie nei diversi settori con cui può interagire, allar-

gando notevolmente gli effetti protettivi in favore del consumatore-soggetto de- bole.

Nello specifico ambito della comunicazione pubblicitaria, poi, la direttiva 2005/29/CE è stata ritenuta capace di integrare la direttiva 2006/114/CE sulla pubblicità comparativa 175, sì che la Corte ha ritenuto ingannevole «segnatamen-

te in forza dell’articolo 4, lettera a), della direttiva 2006/114, in combinato di- sposto con l’articolo 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2005/29, una pubblicità che ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale, o che occulti un’informazione del genere o la presenti in modo oscuro, incomprensibi- le, ambiguo o intempestivo, e che, di conseguenza, può indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altri- menti preso» 176.

tore e vieta ai professionisti di creare una falsa impressione sulla natura dei prodotti. Ciò è parti- colarmente importante per prodotti complessi che comportano rischi elevati per i consumatori, come alcuni prodotti finanziari. La presente direttiva completa pertanto l’acquis comunitario ap- plicabile alle pratiche commerciali lesive degli interessi economici dei consumatori».

172 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia 15 marzo 2012, causa C-453/10, Perenicova e Pere-

nic, cit.

173 Cfr. la direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, cit.

174 Cfr. la sentenza Perenicova, cit., punti 41-46.

175 Cfr. la direttiva 2006/114/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, cit.

176 Cfr la sentenza della Corte di giustizia 8 febbraio 2017, causa C-562/15, Carrefour Hyper-

marchés SAS c. ITM Alimentaire International SASU, in Racc. digit., ECLI:EU:C:2017:95, punto

Il ruolo e la funzione della direttiva 2005/29/CE descritti consentono di va- lutare anche ai fini che qui più interessano (tematica del “Made in” e delle varie pratiche commerciali distorsive del significato dell’attestazione) quale rapporto possa intercorrere fra questa disposizione e le norme contenute di volta in volta nelle discipline verticali di prodotto concernenti le corrette modalità di etichet- tatura, presentazione e pubblicità di quanto offerto al pubblico.

Al riguardo la giurisprudenza risalente della Corte di giustizia aveva optato per l’applicazione del principio di specialità, ritenendo di non dover prendere in considerazione la direttiva orizzontale sulla pubblicità (di cui la direttiva 2005/ 29/CE costituisce integrazione e per certi profili specificazione) in favore del- l’applicazione diretta delle norme verticali del settore alimentare e cosmetico.

Nella sentenza Sterbenz e Haug 177, ad esempio, la Corte aveva esplicitamente

affermato che gli artt. 2 e 15 della direttiva 79/112/CEE sulla etichettatura, pre- sentazione e pubblicità degli alimenti, vietando le indicazioni idonee ad indurre il consumatore in errore sulle caratteristiche essenziali del prodotto descritto, costituivano «un regime di repressione delle frodi che va interpretato come una lex specialis rispetto alla lex generalis in materia di tutela contro la pubblicità in- gannevole (…). Ne consegue che per risolvere le questioni pregiudiziali la Corte deve limitarsi alla interpretazione della direttiva 79/112/CEE» 178.

L’interpretazione, ribadita – seppur con qualche incertezza 179 – anche in al-

tre circostanze 180, potrebbe oggi essere riconsiderata proprio in relazione alle mo-

dalità con cui la direttiva 2005/29/CE ha orientato il rapporto fra disciplina orizzontale e le norme verticali in questione.

La necessità di garantire una lettura armonica delle diverse disposizioni, im- prontata anzitutto alla tutela dei diritti fondamentali del consumatore come “individuo”, suggerisce infatti di utilizzare la disciplina orizzontale sulle prati- che commerciali sleali come “rinforzo” dei principi di tutela della buona fede consumeristica, della trasparenza e della lealtà commerciale talora solo somma- riamente enunciati nelle disposizioni verticali di settore 181.

177 Cfr. la sentenza 23 gennaio 2003, cause riunite C-421/00, C-426/00 e C-16/01, Renate Ster-

benz e Paul Haug, in Racc., 2003, p. I-01065 ss.

178 Cfr i punti 25-26 della sentenza Sterbenz e Haug.

179 Nella sentenza 13 gennaio 2000, causa C-220/98, Estée Lauder, cit., la Corte, in modo mol- to sintetico, richiama in sede di applicazione delle disposizioni verticali sulla pubblicità dei cosme- tici i principi generali stabiliti dalla direttiva 84/450/CEE sulla decettività dei marchi o delle de- nominazioni di prodotto (cfr. il punto 27 della sentenza), lasciando così intendere l’opportunità di una lettura della direttiva sui cosmetici “orientata” dalla disciplina generale sulla pubblicità. Sulla apparente mancanza di linearità degli orientamenti giurisprudenziali in esame si veda, per ulteriori riflessioni, A.DI LAURO, Comunicazione pubblicitaria e informazione nel settore agro-alimentare, Milano, Giuffrè, 2005, p. 336 e nota 69.

180 Cfr., a titolo esemplificativo, le sentenze della Corte di giustizia 24 ottobre 2002, causa C- 99/01, Gottfried Linhart e Hans Biffl., in Racc., 2002, p. I-09375 ss.; 23 gennaio 2003, causa C- 221/00, Commissione c. Repubblica d’Austria, in Racc., 2003, p. I-01007 ss.

Con riferimento alla tutela del “Made in” l’art. 6 della direttiva 2005/29/CE prevede che sia considerata ingannevole una pratica commerciale che possa in- durre in errore – anche solo attraverso la presentazione complessiva del prodot- to – il consumatore “medio”, con particolare riguardo alle caratteristiche prin- cipali del bene offerto in vendita, fra cui il metodo di fabbricazione, la sua com- posizione e l’origine geografica.

L’indicazione, pur se sostanzialmente sovrapponibile a numerose norme sul- l’etichettatura dei prodotti, conferma di fatto la rilevanza ormai indiscussa nel- l’ordinamento dell’Unione del tema della trasparenza sulla localizzazione della filiera produttiva anche e soprattutto ai fini della salvaguardia del diritto dei consumatori a vedere protetti i meccanismi psicologici di “preferenza” che pos- sono essere connessi a questo elemento.

La questione, dunque, deve essere affrontata volta per volta sulla base dei criteri di discernimento sottesi ad individuare tanto le reazioni del c.d. “soggetto mediamente informato ed accorto” di fronte a determinate suggestioni “territo- riali”, quanto, in senso oggettivo, con riferimento alla rilevanza di un determina- to richiamo geografico sul piano della comunicazione.

Sotto il primo profilo, come si è già avuto modo di chiarire, la Corte di giu- stizia ha stabilito che il giudice, chiamato a definire la singola controversia, può fare ricorso a valutazioni astratte di carattere “qualitativo” su modelli compor- tamentali che ormai sono stati ampiamente studiati dalle scienze sociali e dalla psicologia, ricorrendo a concrete indagini demoscopiche o peritali solo laddove ritenga di non disporre di sufficienti elementi per formarsi un autonomo con- vincimento circa le dinamiche comunicative nel caso concreto 182.

Più complessa appare, invece, l’analisi del tema della rilevanza oggettiva del riferimento geografico ai fini della qualificazione della fattispecie.

L’art. 5 della direttiva afferma, infatti, che una pratica commerciale deve es- sere considerata sleale se “a) è contraria alle norme di diligenza professionale, e b) è falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto del consumatore medio che raggiunge (…)». Il successi- vo par. 4 precisa poi che fra le pratiche commerciali sleali rientrano senz’altro come emerge dall’analisi delle numerose sentenze sul rapporto fra la direttiva 2005/29/CE e le norme verticali su prodotti e servizi offerti ai consumatori, fra le quali sia consentito richiamare a titolo meramente esemplificativo le recenti pronunce 30 marzo 2017, causa C-146/16, Verband

Sozialer Wettbewerb eV c. DHL Paket GmbH, in Racc. digit., ECLI:EU:C:2017:243, relativa alla

omissione di informazioni rilevanti nella pubblicità a mezzo stampa di vendite on line di vari pro- dotti; 26 ottobre 2016, causa C-611/14, Canal Digital Danmark A/S, in Racc. digit., ECLI:EU: C:2016:800, relativa alla vendita di abbonamenti televisivi digitali; 19 settembre 2013, causa C- 435/11, CHS Tour Services GmbH c. Team4 Travel GmbH, in Racc. digit., ECLI:EU:C:2013:574, relativa alla reclamizzazione di pacchetti-soggiorno alberghieri in “esclusiva”; 12 maggio 2011, causa C-122/10, Konsumentombudsmannen c. Ving Sverige AB, in Racc., 2011, p. I-03903 ss., con- cernente la pubblicità di voli aerei tramite un giornale.

182 Per una più approfondita disamina del tema sia consentito rinviare a quanto già illustrato a proposito della “figura del consumatore” nel primo capitolo di questo lavoro.

quelle che riguardano i profili oggetto degli artt. 6 e 7, in cui rientra la questione

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