commerciali sleal
5. Segue La difficile distinzione fra le indicazioni geografiche “semplici” e quelle “qualificate”.
Alla luce di quanto indicato sul significato e la portata delle denominazioni geografiche regolamentate dal diritto dell’Unione europea appare necessario, anche in questo ambito, valutare fino a che punto la disciplina in questione, di fatto almeno in parte sovrapponibile a varie forme di tutela “nazionale” delle denominazioni toponomastiche dei prodotti e dei riferimenti geografici alla loro origine, possa dirsi munita di esaustività tale da inibire ogni iniziativa degli Stati membri al riguardo.
La lettura dei considerando introduttivi dei diversi regolamenti evidenzia co- me la protezione dei toponimi sia elemento costitutivo delle diverse politiche del- l’Unione volte a rafforzare il reddito delle popolazioni rurali, garantire al consu- matore l’autenticità dei prodotti acquistati e le caratteristiche attese, nonché con-
59 Cfr. le conclusioni dell’Avvocato generale Jacobs presentate il 14 marzo 2002, in causa C- 325/00, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica federale di Germania, in Racc., 2002, p. I-9980 ss.
tribuire alla tutela del patrimonio culturale enogastronomico europeo 61. Di con-
seguenza l’unitarietà del sistema diviene elemento fondamentale per garantirne la coerenza e l’affidabilità (elementi essenziali per la sua efficacia).
La Corte di giustizia nelle sentenze Pistre 62, Warsteiner 63, Bud 64, Salame Feli- no 65, e, da ultimo, Port Charlotte 66 ha quindi costantemente affermato che l’im-
magine dei prodotti tutelati deve essere garantita attraverso una disciplina coe- rente, di cui la natura “esauriente” non può che essere fondamento giuridico es- senziale.
La funzionalità della natura giuridica dei regolamenti esaminati all’obiettivo descritto, peraltro, ha imposto una lettura restrittiva della loro portata, in parti- colare con riferimento al relativo campo di applicazione.
Nella sentenza sulla birra tedesca Warstainer la Corte afferma che «il rego- lamento (CEE) n. 2081/92 ha ad oggetto solo le indicazioni geografiche per le quali esiste un nesso diretto tra una particolare qualità, la reputazione o un’altra caratteristica del prodotto, da un lato, e la sua origine geografica specifica, dal- l’altro (…). È pacifico che le indicazioni geografiche semplici, che, secondo i termini usati dal giudice nazionale nella questione pregiudiziale, non implicano nessun rapporto fra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica non rientrano in questa definizione e non possono, pertanto, trovare protezione in virtù del regolamento 2081/92. Tuttavia, non vi è nulla nel regolamento 2081/92 che indichi che tali indicazioni di origine geografica non possano essere tutelate in forza di una disciplina nazionale di uno Stato membro» 67.
In sostanza, mentre la semplice “rinomanza” consente di attrarre il toponimo del prodotto alimentare nell’alveo del regolamento come “IGP”, le denominazio- ni geografiche che nell’opinione comune non assumano alcuna valenza partico-
61 Cfr. il 1°, il 2° ed il 4° considerando del regolamento (UE) n. 1151/2012, cit. riprodotti con espressioni simili in tutti i regolamenti che si occupano della materia.
62 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia CE 7 maggio 1997, cause riunite da C-321/97 a C- 324/94, Jaque Pistre et al., cit., punto 39.
63 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia CE 7 novembre 2000, causa C-312/98, Schutzverband
gegen Unwesen in der Wirtschaft eV c. Warsteiner Brauerei Haus Cramer GmbH & Co. KG., in Racc., 2000, p. I-09187 ss.
64 Cfr le due sentenze della Corte di giustizia CE 18 novembre 2003, causa C-216/01, Budéjo-
vický Budvar, národní podnik c. Rudolf Ammersin GmbH (c.d. “Bud I”), in Racc., 2003, p. I-13617
ss., punto 76, e 8 settembre 2009, causa C-478/07, Bud II, cit., punto 110.
65 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia CE 8 maggio 2014, causa C-35/13, Assica c. Associa-
zioni fra produttori per la tutela del «Salame Felino» e altri, cit., punto 29.
66 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia UE 14 settembre 2017, causa C-56/16P, Ufficio del-
l’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) c. Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto,
cit., avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza del Trib. UE 18 novembre 2015, causa T- 659/14, Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto C. Bruichladdich Distillery (Port Charlotte), in
Racc. digit., EU:T:2015:863.
lare (perché utilizzate senza una tradizione retrostante 68, o senza che si voglia
con ciò richiamare una specifica caratteristica mutuata dal “territorio” del pro- dotto 69) non sono assoggettate al regime giuridico in questione, e possono esse-
re oggetto di regolamentazione nazionale nei limiti, ovviamente, di quanto con- sente l’eccezione ex art. 36 TFUE concernente i titoli di proprietà industriale o commerciale.
Nella successiva sentenza BUD II la Corte ha poi ulteriormente precisato che la disciplina sulla protezione dei toponimi che ricadano nell’ambito di applica- zione del regolamento ha natura esauriente, poiché, a differenza dei marchi (per i quali è la stessa normativa derivata dell’Unione a prevedere un “doppio regi- me” – nazionale e dell’Unione – a seconda dell’ampiezza degli effetti della regi- strazione che l’interessato vuole ottenere), nel caso delle DOP-IGP la sussisten- za dei presupposti della tutela impedisce agli Stati membri di mantenere (ed at- tivare) un analogo sistema di protezione “nazionale”, ostando il regolamento a qualsivoglia norma interna che possa creare in materia forme di riconoscimento o tutela potenzialmente competitive con quelle dell’Unione europea 70.
In dottrina è stata manifestata perplessità rispetto a questa soluzione appa- rentemente poco chiara, poiché, com’è stato giustamente osservato 71, «la repu-
tazione del prodotto designato, da un lato è caratteristica sufficiente, ove dipen- da dai nessi con un dato territorio, a qualificare la denominazione geografica con- sentendole di aspirare alla protezione comunitaria come IGP; dall’altro, è anche
68 Si pensi al caso affrontato dall’AGCM relativo al formaggio “Caseificio Busti, Pascoli di
Pienza”, su cui si tornerà oltre, in questo stesso capitolo.
69 Sia consentito rinviare a quanto si osserverà in merito oltre, in questo stesso capitolo, con ri- ferimento al noto caso del formaggio “Fiorella del Gargano”.
70 Cfr. la sentenza BUD II, cit., punto 111. La Corte deduce questa specifica caratteristica del regolamento in esame da numerosi fattori. Oltre alla già segnalata differenza d’impostazione nor- mativa rispetto ai marchi (ove, per l’appunto, il desiderio delle istituzioni UE di lasciare agli Stati membri uno spazio “autonomo” di protezione su base nazionale ha condotto allo “sdoppiamen- to” delle discipline, con l’approvazione di un regolamento sul c.d. “marchio europeo” ed una di- rettiva sui marchi nazionali) è stato ulteriormente sottolineato che la procedura complessa per la registrazione del toponimo consente agli Stati membri di accordare al nome geografico “candida- to” alla registrazione comunitaria solo una “protezione transitoria” (fino a conclusione dell’iter a Bruxelles) valida solo sul territorio nazionale, circostanza che evidentemente deriva dalla limita- zione della capacità degli Stati membri di imporre qualsivoglia privativa su base meramente inter- na per i toponimi in questione fuor dell’ambito descritto. Infine la Corte ha ricavato argomenti a favore della esaustività del regolamento anche dalle c.d. “disposizioni transitorie” che consentiva- no agli Stati membri entro un certo termine dalla sua entrata in vigore di trasmettere la lista dei toponimi già protetti su scala nazionale per l’iscrizione automatica nel registro europeo; scaduto il termine la normativa in questione prevedeva la perdita di ogni protezione, ad ulteriore riprova dell’incapacità degli Stati membri di mantenere un regime giuridico autonomo su base nazionale per i medesimi nomi geografici. In merito si vedano in particolare i punti 121-128 della sentenza.
71 Cfr. G.COSCIA, Considerazioni sulla portata esauriente del regolamento n. 510/2006, in L. COSTATO,P.BORGHI,L.RUSSO,S.MANSERVISI (a cura di), Dalla riforma del 2003 alla PAC dopo
Lisbona. I riflessi sul diritto agrario, alimentare e ambientale, Napoli, Jovene, 2011, spec. pp. 440-
la ragione che secondo il diritto comunitario legittima le legislazioni nazionali a proteggere le denominazioni geografiche semplici come diritti di proprietà intel- lettuale» 72.
In effetti, come si avrà modo di illustrare più dettagliatamente oltre 73, nella
propria consolidata giurisprudenza sugli ostacoli tecnici alla libera circolazione delle merci derivanti dalle norme nazionali che riservano l’utilizzo di toponimi ai soli prodotti realizzati nella relativa area geografica, la Corte si era già espres- sa a favore della tutelabilità di queste denominazioni (e.g. “Torrone di Alicante”, oggetto della sentenza Exportur 74) richiamando la natura di diritti di proprietà
industriale dei nomi geografici muniti di una certa notorietà, ed affermando che la negazione di una simile possibilità si trasformerebbe nella ingiustificata perdi- ta di qualsiasi protezione per denominazioni che, pur in assenza di legami uni- voci con il territorio quali quelli propri delle DOP-IGP, possono «ciò nondime- no godere di una grande reputazione presso i consumatori, e costituire per i produttori stabiliti nei luoghi che esse designano un mezzo essenziale per costruir- si una clientela» 75.
Sicché, in effetti, la definizione del confine fra una fattispecie e l’altra diven- terebbe una questione di sfumature, con le ovvie conseguenze in termini di in- certezza giuridica che da ciò possono derivare.
La supposta natura “esauriente” della disciplina in commento è stata altresì criticata anche in relazione alla base giuridica dei regolamenti in questione uti- lizzata dalle istituzioni CE al momento della loro adozione.
Lamentando la mancanza di ogni considerazione per la genesi “storica” del primo regolamento sulle DOP-IGP, parte della dottrina 76 ha infatti ritenuto che
72 Cfr. G.COSCIA, op. ult. cit., p. 441.
73 Per ragioni metodologiche pare opportuno segnalare che l’argomento viene qui anticipato ai soli fini della risoluzione del problema dell’esaustività dei regolamenti UE sulle DOP-IGP, men- tre verrà ripreso con maggiore dovizia di riferimenti giurisprudenziali e di dottrina nel prossimo paragrafo in merito alla compatibilità dei c.d. “marchi collettivi geografici” con la disciplina sulla libera circolazione sulle merci.
74 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia 10 novembre 1992, causa C-3/91, Exportur SA, cit., su cui si vedano i commenti di M.MAROÑO GARGALLO, Las indicaciones de procedencia y el prin-
cipio comunitario de libre circulación de mercancias, in Actas de Derecho Industrial, 1993, p. 205 ss.;
O.W.BROUWER, Comment on Exportur S.A., in Common Market Law Rev., 1993, p. 1209 ss.;I. MILANS DEL BOSCH PORTOLES, Cooperación bilateral y Derecho comunitario en materia de protec-
ción de las denominaciones geográficas, in La ley – Comunidades Europeas, 1994, p.1 ss.; P.QUAIA,
La tutela delle denominazioni geografiche tra diritto nazionale e diritto comunitario, in Dir. com. sc. int. int., 1996, p. 277 ss.; F.ALBISINNI, L’aceto balsamico di Modena, il Torrone di Alicante e la Bir-
ra di Warstein (denominazioni geografiche e regole del commercio alimentare), in Rivista di diritto agrario, 2001, I, p. 101 ss.
75 Cfr. la sentenza Exportur, cit., punto 28.
76 Cfr. F.CAPELLI, La Corte di giustizia, in via interpretativa, attribuisce all’Unione europea una
competenza esclusiva in materia di riconoscimento delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette, riferite ai prodotti agroalimentari mediante la sentenza BUD II motivata in mo- do affrettato, contraddittorio e per nulla convincente, in Dir. com. sc. int., 2010, p. 401 ss. Sulla sen-
la Corte non abbia adeguatamente tenuto conto nella sentenza BUD II della vo- lontà degli Stati membri di dar vita esclusivamente ad uno strumento di “prote- zione omogenea” 77 su tutto il territorio comunitario (oggi dell’Unione) dei nomi
geografici nazionali, senza rinunciare alle proprie prerogative in materia.
La posizione della Corte viene, in questo senso, ritenuta giuridicamente fra- gile in relazione al fatto che la base giuridica su cui è stata costruita la disciplina in questione (art. 37 TCE, oggi 43 TFUE, ossia “politica agricola”) risulterebbe inadatta ad attribuire il potere di uniformare una materia intrinsecamente con- nessa alla proprietà industriale per la quale, prima del Trattato di Lisbona, l’U- nione non possedeva una competenza esplicita 78, sì da inibire di fatto (e para-
dossalmente) ogni protezione “locale” a toponimi potenzialmente registrabili co- me DOP-IGP laddove, al contrario, la stessa protezione potrebbe essere accor- data ex art. 36 TFUE a denominazioni geografiche prive delle medesime caratte- ristiche (e, quindi, meno “pregiate”).
Al di là della questione della base giuridica (che avrebbe potuto, tutt’al più, essere ricondotta ad un problema di validità del regolamento (CEE) n. 2081/92 per violazione delle forme sostanziali ove la finalità indicata fosse risultata effet-
tenza in questione si vedano anche i commenti di F.GENCARELLI, Il caso Budweiser: competenze
comunitarie e nazionali in materia di indicazioni geografiche dei prodotti alimentari, in Diritto e giu- risprudenza agraria alimentare e dell’ambiente, 2010, p. 237 ss.; V.RUZEK, Dispositifs de protection
communautaire des indications géographiques, in Revue de droit rural, 2010, p. 27 ss.
77 Cfr. F.CAPELLI, La Corte di giustizia …, cit., ritiene che l’esito della vicenda sia stato in par- te condizionato dal mancato intervento nella causa di paesi quali la Francia, l’Italia e la Spagna che più avevano da perdere da una simile determinazione e che in precedenti controversie aveva- no sostenuto posizioni diverse. In effetti nella controversia Chiciak e Fol (cfr. sentenza della Corte di giustizia 9 giugno 1998, cause riunite C-129/97 e C-130/97, Yvon Chiciak e Fromagerie Chiciak
e Jean Fol, in Racc., 1998, p. I-3315), gli Stati in questione avevano sostenuto la possibilità di far
coesistere con la protezione DOP-IGP regimi nazionali di tutela meno estesi. La risposta della Cor- te, seppur incidentale (siccome l’oggetto del quesito era altro), lasciava intravedere già l’orienta- mento successivamente consolidatosi, dato che nella sentenza si afferma che gli Stati membri per- dono ogni influenza (e potere) nei confronti di una indicazione geografica registrata a livello co- munitario, le cui modifiche vanno, di conseguenza, chieste secondo le procedure stabilite dal re- golamento.
78 Cfr. F.CAPELLI, La Corte di giustizia …, cit., il quale fonda il suo ragionamento sulla consta- tazione che in materia di marchi l’allora Comunità europea era dovuta ricorrere alla procedura ex art. 308 TCE (oggi 352 TFUE) o all’art. 100 A TCE (oggi 114 TFUE), mentre la disciplina sulle DOP-IGP, pur istituendo di fatto dei titoli di proprietà industriale e commerciale, non farebbe alcun riferimento a queste disposizioni. L’A. conclude osservando che «in quarant’anni di applica- zione della disciplina relativa (…) alle organizzazioni comuni di mercato, negli oltre venti settori regolamentati, non è mai stata inserita, nei provvedimenti relativi, alcuna disposizione che si riferi- sce alle indicazioni geografiche, perché la materia esulava in modo evidente dalle finalità dei rego- lamenti agricoli in materia di organizzazioni comuni di mercato» (cfr. p. 442 e nota 91). La mate- ria della P.I. è stata, tuttavia, sempre considerata “disponibile” per il mercato interno (di cui i pro- dotti in questione pur sempre fanno parte). Semmai l’intervento di uniformazione in discussione poteva confliggere con l’art. 295 TCE (oggi 345 TFUE) secondo il quale le discipline comunitarie lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli ordinamenti giuridici degli Stati membri.
tivamente preponderante 79) va detto che il tema ha perso oggi in larga misura di
attualità per effetto delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, il cui nuo- vo art. 118 TFUE non solo riconosce esplicitamente la possibilità di ricorrere al- l’armonizzazione anche nel settore della proprietà industriale e commerciale per soddisfare le esigenze del mercato interno, ma fa rientrare questa attività nella procedura legislativa ordinaria, scongiurando così le problematiche procedurali legate alla adozione degli atti della PAC (che, a loro volta, prevedono ormai il coinvolgimento del Parlamento europeo come co-legislatore).
La richiamata giurisprudenza dovrebbe quindi essere ricondotta ai confini che ragionevolmente la Corte voleva tracciare, ossia non l’inibizione assoluta a regolare a livello nazionale i nessi agroambientali fra prodotti e territori attraverso i toponi- mi 80, bensì strutturare le materia in tre distinte categorie: le c.d. indicazioni geogra-
fiche “qualificate”, espressione di un legame univoco con il territorio, disciplinate dai regolamenti sulle DOP-IGP; le indicazioni geografiche c.d. “semplici” (pro- teggibili a livello nazionale in base all’eccezione ex art. 36 TFUE sulla proprietà in- dustriale e commerciale) per i prodotti che, privi delle caratteristiche indicate dai regolamenti UE, assumano comunque nell’opinione del consumatore medio un cer- to valore per effetto di una notorietà improvvisa o di altri fattori sociali non ricon- ducibili a quelli costitutivi di una DOP-IGP; infine le c.d. “denominazioni generi- che”, che possono corrispondere a nomi di pura fantasia (e.g. l’associazione per scopi puramente di marketing di un nome geografico ad un prodotto effettivamen- te lì realizzato, ma che non possieda né caratteristiche tradizionali, né qualità speci- fiche derivanti dal territorio, né particolare notorietà commerciale) o a denomina- zioni “volgarizzate” (e.g. il c.d. “ragù alla bolognese”, ormai corrispondente ad una mera “ricetta”) per le quali l’unica forma di “controllo” pubblico potrebbe consi- stere nella verifica del rispetto delle regole generali sulla correttezza della comuni- cazione attraverso la normativa sull’etichettatura o sulla pubblicità commerciale.
Nella segmentazione descritta troverebbero coerente riconciliazione tutte le questioni giuridiche apparentemente ancora irrisolte.
79 La Corte di giustizia ha più volte affermato che «se l’esame di un atto comunitario dimostra che esso persegue una duplice finalità o che esso ha una doppia componente e se una di queste è identificabile come principale o preponderante, mentre l’altra è solo accessoria, l’atto deve fon- darsi su una sola base giuridica, ossia quella richiesta dalla finalità o componente principale o pre- ponderante» (Cfr. la sentenza della Corte di giustizia CE 17 marzo 1993, causa C-110/03, Regno
del Belgio c. Commissione, in Racc., 2005, p. I-02801 ss.). Si tenga peraltro conto che la Corte ha
anche sottolineato come «il solo fatto che siano interessati l’instaurazione o il funzionamento del mercato interno non è sufficiente affinché vada applicato l’articolo 100 del Trattato (…) infatti (…) non è giustificato il rinvio all’articolo 100 A allorché l’atto da adottare abbia solo accessoria- mente come effetto quello di armonizzare le condizioni del mercato all’interno della Comunità» (cfr. la sentenza della Corte di giustizia del 17 marzo 1993, causa C-155/91, Commissione c. Con-
siglio, in Racc., 1993, p. I-00939 ss. In precedenza si veda anche la sentenza 4 ottobre 1991, causa
70/88, Parlamento c. Consiglio, in Racc., 1991, p. 4529 ss., punto 17).
80 In questo senso si è espresso F.GENCARELLI, I segni distintivi di qualità nel settore agroali-
In primo luogo le problematiche relative alla evoluzione delle tecniche pro- duttive nel tempo, che hanno dato origine al già accennato considerevole con- tenzioso nazionale in sede di riconoscimento delle DOP-IGP, verrebbero rias- sorbite dalla configurazione dei regolamenti dell’Unione in chiave, per così dire, “dinamica”: le norme in oggetto, infatti, tutelerebbero i prodotti di qualità (e le relative denominazioni) non in ragione di una sorta di retaggio culturale arcaico, ingessato dalla metodica produttiva tramandata nei secoli, ma, come affermato dalla nostra giurisprudenza amministrativa, quale espressione di un alimento che mantiene con il territorio un legame talora di tipo qualitativo, talaltra di caratte- re puramente storico/folcloristico, di cui assicurerebbero essenzialmente l’au- tenticità, consentendo, per il resto, tanto l’innovazione tecnologica quanto la pro- duzione industriale.
In secondo luogo la conservazione in capo agli Stati membri del potere di tu- telare le indicazioni geografiche non “volgarizzate” nella loro consistenza “mi- nima” (ossia prima che acquisiscano le caratteristiche proprie delle DOP-IGP) garantirebbe il rispetto del principio di sussidiarietà, risolvendo il dualismo con- flittuale Stati membri – Unione europea descritto in modo coerente con il qua- dro giuridico internazionale in materia 81.
Ciò potrebbe avvenire attraverso le norme sulla concorrenza quanto al signi- ficato “intrinseco” dei toponimi in questione (attestazione della effettiva prove- nienza dei prodotti da un determinato luogo) e con quelle sulla proprietà indu- striale (e.g. art. 29 del nostro Codice della Proprietà Industriale) quando i con- tenuti del toponimo giustifichino, in coerenza con gli orientamenti della Corte, una protezione di carattere più “formale” (e, quindi, più ampia rispetto a quella legata alle percezioni di un “consumatore medio”).
La lettura della situazione proposta farebbe salvo anche il possibile contrasto con l’art. 345 TFUE in relazione alla necessità di evitare che la supposta esausti- vità della disciplina dell’Unione in discussione travolga inopinatamente i diritti di proprietà (seppur “collettivi”) legati a queste denominazioni, azzerando di fat- to in certe condizioni la tutela per le indicazioni geografiche che non abbiano ottenuto una protezione europea 82.
81 Mi riferisco, in particolare, al rispetto dell’art. 22 TRIPs, che, come è noto, impone la tutela delle indicazioni geografiche fissando, tuttavia, uno standard “minimo” di protezione, che gli Stati aderenti possono comunque superare con norme più restrittive. Non essendo possibile in questa sede approfondire questo aspetto sia consentito rinviare alle considerazioni di G.COSCIA, The
International Framework of GIs and DOs Protection and the European Approach, in Studi sull’in- tegrazione europea, 2009, p. 615 ss.; J.M.CORTÉS MARTIN, The World Trade Organization and the
negotiations to establish a multilateral register for geographical indications, in A.GERMANÒ;V.RU- BINO (eds.), La tutela dell’origine …, cit., p. 84 ss.