Origine delle merci e comunicazione al consumatore
3. Segue Il settore alimentare: eccezione o laboratorio di sperimentazio ne per il futuro?
Nello scenario descritto merita particolare attenzione il settore alimentare, ove le più recenti modifiche normative sembrerebbero invece assecondare in mo- do più netto la crescente richiesta di trasparenza derivante in questo caso anche da ricorrenti timori alimentati dal periodico esplodere di scandali 27 che hanno
spinto – in modo talora irrazionale – verso forme di localismo esasperate.
Le direttive che hanno armonizzato, a partire dalla fine degli anni Settanta, la materia dell’etichettatura, presentazione e pubblicità degli alimenti (cfr., specifi- camente, la direttiva 79/112/CEE 28, poi sostituita dalla direttiva 2000/13/CE 29),
non contenevano, infatti, né una compiuta definizione della nozione di “origi- ne” del prodotto, né una articolata regolamentazione al riguardo. In base a que- ste disposizioni l’omissione della relativa indicazione poteva, infatti, assumere ri- lievo solo ove da ciò avesse potuto discendere un errore sostanziale del consu- matore circa le caratteristiche o l’autenticità dell’alimento, circostanza da accer- tare caso per caso con una complessa valutazione empirica sulla decettività della presentazione complessiva del prodotto.
Il recente regolamento (UE) 1169/2011 concernente le informazioni sugli ali- menti ai consumatori 30, che è succeduto alle direttive citate, ha, invece, intro-
dotto una articolata disciplina in materia, prendendo posizione tanto con rife- 27 Si pensi alla ben nota vicenda della c.d. “mucca pazza”, cui si sono via via affiancati analoghi problemi come i “polli alla diossina” (alimentati con olio minerale), i germogli di soia contenenti un patogeno mortale, ecc. L’incidenza delle preoccupazioni dei consumatori circa l’efficacia delle normative UE nel garantire la sicurezza alimentare ha spinto la Commissione a varare una impo- nente riforma del settore, annunciata con il Libro bianco del 2000 sulla sicurezza alimentare (cfr. COM (1999) 719 def., del 12 gennaio 2000, disponibile on line sul sito http://www.eur-lex.eu), cui ha fatto seguito l’adozione di un regolamento sui principi generali della normativa alimentare UE (cfr. il regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, in
GUCE, L 31 del 1° febbraio 2002, p. 1 ss.). Il programma di riformulazione della normativa UE in
questione è tutt’oggi in corso.
28 Cfr. la direttiva 79/112/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti ali- mentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità, in GUCE, L 33 del 8 feb- braio 1979, p. 1 ss.
29 Cfr. la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, re- lativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la pre- sentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, in GUCE, L 109 del 6 maggio 2000, p. 29 ss., oggi abrogata dal regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumato- ri, cit.
30 Cfr. regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, cit.
rimento alla questione della “nozione di origine” quanto sulle ipotesi che ne im- pongono l’inclusione fra le diciture obbligatorie in etichetta.
Con riferimento al primo profilo, qui di maggiore interesse, il regolamento ha, in primo luogo, incluso fra le definizioni generali (cfr. art. 2) un esplicito rinvio alla nozione “doganale” dell’origine 31, cui viene affiancata l’indicazione alterna-
tiva (in forma facoltativa) di “provenienza” dell’alimento.
La disposizione in questione, se per un verso ha cercato (in modo, come si dirà, approssimativo) di risolvere l’annosa questione della legittimità del richia- mo per via analogica della disciplina doganale anche ai fini pubblicitari e com- merciali, per altro verso può essere interpretata come la volontà di introdurre elementi di flessibilità applicativa proprio laddove consente la sostituzione (in modo discrezionale) del riferimento al luogo di “provenienza” rispetto al crite- rio doganalmente prevalente, ossia (come meglio si spiegherà in prosieguo) quello della c.d. “ultima lavorazione sostanziale” (cfr. l’art. 9 del regolamento n. 1169/ 2011 cit.).
Sulla base del combinato disposto degli articoli in commento, infatti, l’eti- chetta di un prodotto potrà recare, ove necessario, il luogo dell’origine determi- nato in base alle regole “doganali”, ovvero, in alternativa, «qualunque luogo in- dicato come quello da cui proviene l’alimento ma che non è il paese di origine (…)» (cfr. art. 2, par. 2, lett. g) del regolamento).
Si tratta indubbiamente di una indicazione poco precisa (e finanche, come è stato osservato 32, ai limiti del “tautologico”); essa, tuttavia, offre la possibilità per
il produttore di dare conto della filiera in modo potenzialmente più confacente alle aspettative del consumatore “medio”, valorizzando, se del caso, un luogo particolarmente “significativo” per il processo produttivo che, pur non in grado di imprimere al prodotto carattere doganalmente “originario”, possa comunque costituire un “valore aggiunto” meritevole di non essere oscurato dal meno si- gnificativo luogo “dell’ultima trasformazione sostanziale” 33.
31 Cfr. l’art. 2, par. 2, lett. g) del regolamento, a norma del quale per “luogo di provenienza” deve intendersi «qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento, ma che non è il «paese d’origine» come individuato ai sensi degli articoli da 23 a 26 del regolamento (CEE) n. 2913/92». Il rinvio agli artt. da 23 a 26 del regolamento n. 2913/92 (Codice doganale europeo, oggi regolamento n. 952/2011, cit., su cui si tornerà ulteriormente oltre) rende di fatto, seppur incidentalmente, applicabile la relativa disciplina anche ai fini comunicativi.
32 Cfr. P.BORGHI, Indicazione dell’origine, in V.RUBINO (a cura di), Le informazioni sugli ali-
menti …, cit., p. 188.
33 Si pensi ad un particolare luogo di invecchiamento del prodotto, che, pur non costituendo elemento sufficiente a determinare il cambio di codice nella nomenclatura combinata doganale, rivesta comunque agli occhi del consumatore un significato decisamente più elevato rispetto al luogo dove l’alimento è stato realizzato nella sua composizione finale. La proposta interpretazione poggia, comunque, sulla alternatività della nozione di “provenienza” fornita dall’art. 2, par. 2, lett. g) rispetto alla disciplina doganale (richiamata solo per l’origine). Se, infatti, dovesse essere appli- cato il criterio doganale anche per la definizione di “provenienza” questa coinciderebbe con il luogo dell’ultima spedizione, elemento che non pare assumere alcun rilievo pratico per il consu- matore nel contesto di una comunicazione di carattere commerciale.
In aggiunta a quanto sopra l’art. 26 del regolamento “apre” ad un notevole ventaglio di possibili specificazioni delle informazioni sulla filiera, tanto in senso orizzontale quanto verticale o “per prodotti” 34.
In primo luogo vengono estesi a quasi tutte le tipologie di carni fresche 35 gli
obblighi già imposti nei primi anni 2000 per le sole carni bovine 36: per questi
prodotti si rende, quindi, necessario declinare il concetto di “origine” dichia- rando simultaneamente il luogo di allevamento e macellazione dell’animale.
La norma, inoltre, demanda alla Commissione l’adozione di atti di esecuzio- ne per precisare l’origine del c.d. “ingrediente primario” (ossia quello che costi- tuisce più della metà del prodotto) nel caso in cui differisca dall’indicazione vo- lontariamente fornita con riferimento all’alimento finito 37, nonché di presentare
studi di impatto socio-economico 38 e proposte di ulteriori atti legislativi tesi ad
incrementare l’obbligo di discovery sull’origine con riferimento a determinati pro- dotti o ingredienti (quali, a titolo esemplificativo, il latte, i prodotti non trasfor- mati o c.d. “monoingrediente”, le carni usate come ingrediente di altri alimenti composti, ecc.) 39.
Infine, l’art. 39 del Regolamento autorizza gli Stati membri ad adottare (pre-
34 In questa sede l’analisi della norma in questione si limiterà, per evidenti ragioni metodologi- che, ai soli rilievi relativi all’incidenza delle relative disposizioni sulla “nozione” di origine, mentre i profili relativi all’obbligo di includerne l’indicazione nell’etichetta verranno ripresi oltre, in que- sto stesso capitolo.
35 Cfr. l’art. 25, par. 2, lett. b) del regolamento n. 1169/2011. La disciplina è contenuta nel re- golamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013 della Commissione, del 13 dicembre 2013, che fissa le modalità di applicazione del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza delle carni fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in
GUUE, L 335 del 14 dicembre 2013, p. 19 ss.
36 Cfr. il regolamento (CE) n. 1760/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 luglio 2000, che istituisce un sistema di identificazione e di registrazione dei bovini e relativo all’etichet- tatura delle carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine, in GUCE, L 204 dell’11 agosto 2000, p. 1 ss., adottato, come già accennato, sulla scorta dell’emergenza della c.d. “epidemia della mucca pazza”.
37 Si pensi ad un formaggio dichiarato in base alla normativa doganale “Made in Italy” perché fabbricato in Italia, ma ottenuto interamente da latte austriaco.
38 Nel quadro dell’accordo interistituzionale “Legiferare meglio” tra il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea del 16 aprile 2016, (in GUUE, L 123 del 12 maggio 2016, p. 1 ss.) le tre istituzioni hanno notevolmente valorizzato lo strumento delle c.d. “valutazioni di impatto” preventive, finalizzate a stimare la portata e le conseguenze di una de- terminata iniziativa normativa a livello dell’Unione attraverso adeguati studi e, soprattutto, me- diante ampie consultazioni preventive con le parti interessate. L’approccio descritto dovrebbe con- sentire di assecondare le istanze di sussidiarietà e prossimità che i Trattati indicano come veri e propri confini dell’esercizio delle competenze dell’Unione, nonché garantire il rispetto dei diritti fondamentali. Con riferimento al tema qui in esame la Commissione europea ha depositato i primi due studi relativi alla questione dell’ingrediente primario, all’origine delle carni come ingrediente ed al settore del latte il 20 maggio 2015 (tutti consultabili sul sito eur-lex).
via notifica) norme nazionali che impongano ulteriori obblighi nella materia de
qua, a condizione che sussistano esigenze imperative (tassativamente predeter-
minate nella “protezione della salute pubblica”, “tutela dei consumatori”, “pre- venzione delle frodi”, “protezione dei diritti di proprietà industriale e commer- ciale”) nonché la comprovata esistenza di un nesso agro-ambientale che giustifi- chi l’interesse per la discovery della filiera 40.
La disciplina così definita viene quindi a coniugarsi con una serie articolata di disposizioni “verticali” di prodotto previgenti 41, che già contenevano obbli-
ghi – seppur sommari – relativi alla materia qui di interesse, descrivendo un complesso mosaico di situazioni in cui al consumatore viene riconosciuto un di- ritto più o meno ampio di conoscere la “storia” del processo produttivo attra- verso l’indicazione in etichetta dei passaggi più significativi della filiera (e.g. zo- ne di pesca, luogo di raccolta dei frutti, vari passaggi della lavorazione delle car- ni, ecc.).
Sebbene la situazione non possa dirsi ancora pienamente soddisfacente, co- me dimostrano le critiche del Parlamento europeo rivolte alla Commissione per l’eccessivo attendismo nel dare corso ai mandati contenuti nel reg. 1169/2011 42
in considerazione del rischio che «i consumatori possano sentirsi fuorviati nei casi in cui non siano disponibili informazioni sull’etichettatura d’origine obbli- gatoria, e vengano, invece, utilizzate altre indicazioni come le bandiere nazionali etc. (…)» 43, la lettura complessiva dell’evoluzione impressa alla materia dal nuo-
40 Sul punto, su cui si tornerà più diffusamente in prosieguo, è appena il caso di notare che, anche ove le condizioni restrittive imposte fossero effettivamente soddisfatte, allo Stato membro sarebbe concessa la facoltà di imporre l’indicazione di origine “dell’alimento” secondo quanto previsto dall’art. 2, par. 2, lett. g) del regolamento n. 1169/2011 (ossia l’origine “doganale”). Non sembrerebbe, invece, possibile sfruttare questa disposizione per prevedere obblighi ulteriori di “dettaglio” della nozione, pena l’insanabile contrasto con la disciplina doganale richiamata.
41 Cfr. il regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 di- cembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, in GUUE, L 347 del 20 dicembre 2013, p. 671 ss. (artt. 75-76) sull’origine dei prodotti ortofrutticoli freschi (e le sue disposizioni di attuazione contenute nel regolamento di esecuzione (UE) n. 543/2011 della Com- missione, del 7 giugno 2011, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007 nei settori degli ortofrutticoli freschi e degli ortofrutticoli trasformati, in GUUE, L 157 del 15 giu- gno 2011, p. 1 ss.); il regolamento (UE) n. 1379/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013 relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura, in GUUE, L 354 del 28 dicembre 2013, p. 1 ss.; il regolamento 29/2012 di esecuzione concernente gli oli di oliva, cit.; il regolamento (CE) n. 589/2008 della Commissio- ne, del 23 giugno 2008, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio per quanto riguarda le norme di commercializzazione applicabili alle uova, in GUUE, L 163 del 24 giugno 2008, p. 6 ss.; la direttiva 2001/110/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2001, concernente il miele, in GUCE, L 10 del 12 gennaio 2002, p. 47 ss.; il regolamento 1760/2000 del Consiglio sulle carni bovine, cit.
42 Cfr. il testo della risoluzione del Parlamento europeo approvata il 12 maggio 2016, n. 2016/2583 (RSP), disponibile on line all’indirizzo http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-
//EP//NONSGML+TA+P8-TA-2016-0225+o+DOC+PDF+VO//IT (ultima consultazione 17 mar-
zo 2017).
vo quadro giuridico sembrerebbe evidenziare la netta volontà di cambiare ap- proccio al tema: per un novero crescente di prodotti la trasparenza sembrerebbe ormai divenuta un “canone” della presentazione dei prodotti sul mercato, seb- bene questa possa comportare anche alcune limitazioni della libertà economica delle imprese (e, inevitabilmente, dell’integrazione “classica” dei mercati).
Va peraltro riconosciuto che il settore alimentare gode, in questo particolare ambito, di una sorta di specialità legata alla natura stessa dei beni di consumo: il particolare impatto che possono avere sulla salute, ed il fatto che si tratta di so- stanze destinate ad essere “incorporate” attraverso il gesto quotidiano del “man- giare” conferiscono a questi prodotti uno status che, se per un verso rende parti- colarmente “sofisticata” la relativa disciplina, per altro verso impone di approc- ciare i diversi problemi dell’etichettatura con una specifica sensibilità per le istan- ze di chi ne è destinatario finale.
Ad ogni modo, per quanto incompleta ed in parte eccezionale possa dirsi la materia qui in discussione, non pare privo di significato il fatto che il regolamen- to (UE) 1169/2011 abbia dedicato al tema dell’origine uno spazio così ampio, sì da potervi cogliere, unitamente alle (più timide) aperture registrate negli altri settori analizzati, un segnale di portata più ampia nella direzione di una evolu- zione “in corso” dell’approccio UE alla questione del “Made in”.